[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 214 / OTTOBRE 2025 (CCXLV)


arte

PITTURA DELLE STAGIONI
CICLI ARTISTICI TRA RINASCITA E MEMORIA

di Fabrizio Mastio

 

Le stagioni, nel loro alternarsi, non scandiscono esclusivamente il perenne moto temporale dell’esistenza, ma descrivono il rito della vita e la relazione tra protagonisti e scenario in una cornice d’indeterminato divenire. Innumerevoli artisti hanno interpretato il tema nell’arco dei secoli. Tra questi, è possibile volgere lo sguardo all’arte di Sandro Botticelli, Pieter Bruegel il Vecchio, Hans Andersen Brendekilde e Claude Monet per rivivere il trascorrere di un anno, dove l’avvicendarsi delle stagioni è lo stesso di luci e colori.

 

Nella tradizione mitologica greco-romana, Demetra, la dea della terra, protettrice dell’agricoltura e dei suoi frutti, era figlia di Crono, dunque del tempo, e di Rea. Dall’unione di Demetra e Zeus nacque Persefone, destinata per volere dello stesso Zeus ma, ad insaputa della madre, a sposare Ade, dio degli Inferi.  Intenta a cogliere dei fiori nella pianura di Nisa, la giovane Persefone vide aprirsi la terra sotto i piedi, precipitando negli Inferi, rapita da Ade.

 

Demetra, venuta a conoscenza dell’accaduto, abbandonò l’Olimpo e, in preda alla collera, causò un inaridimento della terra, privando il mondo dei suoi frutti. Zeus incaricò allora Ermes, il messaggero degli dei, di riconsegnare Persefone alla madre. Ade, nel ridare la libertà alla fanciulla, le fece dono di una melagrana. Persefone, mangiando la melagrana prima di tornare in superficie, poté far rientro nella terra, ma con la condanna a trascorrere un terzo dell’anno al fianco di Ade e il resto del tempo con la madre. Così la terra riprese a produrre i suoi frutti. Il mito evoca lo scorrere del tempo attraverso i cicli stagionali, simboleggiati da Persefone nella dialettica tra morte e rinascita.

 

Primavera e rinascita

 

Con Sandro Botticelli (Firenze, 1º marzo 1445 - Firenze, 17 maggio 1510), si torna all’origine o alla rinascita attraverso La Primavera (1477-82 circa), tempera su tavola di pioppo (203x314 cm) custodito presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, icona dell’arte che, da simbolo del Rinascimento fiorentino, si eleva ad universale tributo all’estetica del significato e all’espressione di rinascita e bellezza.

 

Così Giorgio Vasari si esprime sull’artista fiorentino, a proposito della Primavera: “Per la città in diverse case fece tondi di sua mano e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora a Castello, luogo del Duca Cosimo fuor di Fiorenza, sono due quadri figurati, l’uno Venere che nasce, e quelle aurei venti che la fanno venire in terra con gli amori, e cosí un’altra Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse”.

 

L’opera è stata variamente interpretata e presenta una galleria di allegorie di matrice classica. La stessa potrebbe essere considerata un polittico composto da cinque rappresentazioni che, secondo una lettura della tela da destra verso sinistra, vede la personificazione di Zefiro, il vento dell’ovest, soffiare sul volto della ninfa Clori.

 

La fredda temperatura cromatica che accompagna il vento pare contrastare con i lineamenti delicati della ninfa, quasi in procinto di spiccare il volo, mentre assume le sembianze di Flora, divinità della Primavera. I fiori sgorgano dalla bocca mentre ha luogo la metamorfosi e la natura fa il suo corso, esprimendo la forza generatrice attraverso la figura di una Venere dipinta con vesti nobili, col ventre pronunciato, secondo alcune interpretazioni allusivo alla maternità, e la mano destra in una posizione simile a quella di Clori.

Sullo sfondo, piante di mirto evocano la fertilità. Un cupido bendato volteggia in aria sopra la dea: nella scena, l’amore emerge come forza dispensatrice di vita.
Le tre Grazie conferiscono alla rappresentazione ciclicità e dinamismo attraverso una danza in cerchio, eseguita in una percezione di levità ultraterrena. I piedi delle dee sfiorano l’erba e gli esili steli dei fiori. Si percepisce una fisicità sognante, quasi orfica, in una cornice triangolare, culminante nell’intreccio delle mani.

 

A sinistra, Hermes, il messaggero degli dei, spazza le nubi che, come un velo, celano la verità, ma nello scenario il significato è la vita, espressa nella sua bellezza e ciclicità, dove lo sfondo floreale e arboreo non è esclusivamente decorazione, ma un arazzo dell’esistenza. In questo emerge anche la rappresentazione di Venere, già protagonista nell’altro celebre dipinto, Nascita di Venere (1485 circa), dipinto a tempera su tela di lino (172,5 × 278,5 cm), dove la bellezza non è mero canone estetico, ma libera interpretazione del tratto resa con grazia e finezza.

La primavera assume, in tal modo, un senso di perenne rinascita, dove la fine non è mai eterna chiusura, ma l’epilogo di un ciclo in attesa di un nuovo inizio.

 

Estate e scoperta

 

Pieter Bruegel il Vecchio (Breda, 1525/1530 circa - Bruxelles, 5 settembre 1569), da molti ritenuto il più grande artista fiammingo del XVI secolo, dipinge scenari pregni di natura e umanità. Le sue tele sono pittura di genere e di paesaggio, evocazione di significati religiosi e rievocazione del mito, come in “Paesaggio con la caduta di Icaro” (1558 circa), luoghi di incontro tra la quotidianità del vissuto e una simbologia da proverbio popolare. Non emerge una netta demarcazione tra umanità e natura, ma quasi un senso di reciproca appartenenza.

 

L’opera La Mietitura, olio su tavola (118×160,7 cm) custodito al Metropolitan Museum di New York, rappresenta appieno una dimensione di armonica convivenza tra famiglie di contadini e un panorama che non è semplice sfondo. La scelta di questo dipinto di Bruegel per raffigurare l’estate trova un significato nella presenza di lavoratori che, nelle campagne dei Paesi Bassi, si cimentano nella raccolta del grano Dinamismo, fatica e vitalità sono parte viva della narrazione. L’estate può essere interpretata anche come metafora di una fase della vita in cui, abbandonata l’infanzia, si scopre il lavoro, il sacrificio e la condivisione.

 

Nel quadro, in basso a sinistra, due contadini, uno di spalle rispetto all’altro, falciano il grano, mentre un altro giunge attraverso un varco con una brocca d’acqua o vino. Alcune contadine raccolgono le messi, in un contrasto tra il moto costante dei lavoratori e la quiete di un gruppo di donne e uomini che, in basso a destra, trovano ristoro all’ombra di un pero.

 

Un uomo, adagiato sul tronco dello stesso albero, riposa mentre una donna prepara il pasto che consumerà insieme agli altri protagonisti di un convivio bucolico.

Altre figure popolano i campi di grano, dipinti con un giallo oro che si confonde con le vesti dei braccianti, mentre la vegetazione viene resa con tonalità verdi e verdastre e il cielo con un chiarore grigio-azzurro che pare tramutarsi in vapore in prossimità del bacino in lontananza.

 

A destra, in mezzo ad alcuni alberi, si intravede una chiesa, chiaro richiamo alla spiritualità presente in diverse opere di Bruegel. Nel paesaggio staticità e dinamicità coesistono con notevole naturalezza: turbinio e pausa esprimono nel loro alternarsi i passi silenziosi del tempo. La scena è reale e priva di idealizzazione. L’arsura estiva è percepita anche attraverso una cromaticità calda.

 

Quest’opera non dipinge esclusivamente il lavoro dei campi, ma, inserita in un ciclo di sei dipinti dedicati alla rappresentazione dei periodi dell’anno, diviene rievocazione di una fase di crescita e raccolta dell’esistenza umana.

 

Autunno e maturità

 

Il danese Hans Andersen Brendekilde (Brændekilde, 7 aprile 1857 - Jyllinge, 30 marzo 1942), lontano parente, secondo alcune fonti biografiche, di Christian Andersen, il celebre scrittore di fiabe, nasce come scultore, ma emerge come esponente di un realismo sociale en plein air attraverso il quale descrive le dure condizioni di vita del mondo rurale. Il passaggio dall’estate alla stagione autunnale può avvenire col dipinto Sentiero alberato in Autunno (1902), olio su tela (69,8 x 91,4 cm), appartenente a una collezione privata.

 

La tela, caratterizzata da morbide pennellate che tratteggiano tonalità calde, raffigura un paesaggio autunnale percorso da un sentiero cosparso di foglie secche di colore marrone chiaro e scuro.

 

In primo piano, una panchina di legno ospita una matura signora la cui foggia del vestire manifesta una composta eleganza. Porta un distinto copricapo con i capelli raccolti, un ombrello e, seduta in posizione eretta, volge lo sguardo in lontananza, verso due personaggi che si allontanano nello sfondo nascosto dalle fronde degli alberi.

 

Il fogliame caduto decora il terreno e sembra contrastare col verde di un arbusto, nei pressi di un corso d’acqua in cui si specchia un altro profilo arboreo. Il cielo è pressoché nascosto dalla vegetazione: il ramo che sormonta la figura femminile pare raffigurare una cornice naturale. Vari alberi attraversano lo scenario, conferendo profondità e lasciando intuire un percorso costituito da terra e acqua, con la presenza del ruscello sulla destra, il cui tragitto può essere esclusivamente immaginato. L’assenza del sole e del cielo, solo accennato nella sezione superiore, a destra, trasmette una sottile malinconia.

 

Nell’opera viene raffigurato l’atto di osservare: lo spettatore guarda il quadro e la protagonista in primo piano osserva i due viandanti in lontananza. O, forse, la signora vede il suo passato e lo scorrere del tempo, nella stagione della maturità, dove le foglie cadute costituiscono l’esito naturale dell’esistenza e il sentiero di ciò che è stato raccoglie i ciottoli canuti dell’esperienza.

 

L’artista non mostra il volto delle figure umane: la donna non guarda l’osservatore e le due figure in lontananza sono sagome quasi indistinguibili. Il dipinto permette di immaginare il ricordo passato e l’assenza futura in un panorama quasi fiabesco nella sua rappresentazione estetica. Brendekilde qui abbandona parzialmente il realismo sociale per abbracciare il reale scorrere del tempo.

 

Inverno e memoria

 

Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 - Giverny, 5 dicembre 1926), con la concezione tipicamente impressionista per la quale la natura muta ogni istante in base al passaggio di una nube o al soffiare del vento, questa volta dipinge l’inverno avvolto in una coltre di neve nell’olio su tela (89x130cm) La Gazza (1868-69), custodito presso il Musée d’Orsay di Parigi.

 

L’opera, rifiutata dalla giuria del Salon nel 1869 per una cromaticità ritenuta troppo chiara e distante dallo stile pittorico in voga in quel periodo, venne realizzata con un impasto di colori ad olio caratterizzato dall’utilizzo di tonalità di ocra e bruno. L’applicazione del grigio e dell’azzurrino contribuisce a un’efficace resa dell’atmosfera invernale, anche grazie all’alternanza di tenui tonalità cromatiche calde e fredde. Le pennellate di ocra chiaro e grigio-azzurro offrono alla vista dello spettatore una luminosità argentea e la presenza di luci e ombre come proiezione del candore della neve.

 

Il dipinto rappresenta un freddo paesaggio rurale nel quale una staccionata con cancello sembra dividere la veduta in una parte inferiore, collocata in basso e coperta da neve e dalle oblique ombre della staccionata, proiettate dalla fioca luce invernale.

Nella parte superiore emerge una verticalità con la presenza di alberi spogli che si perdono in lontananza tra le case coloniche dai tetti innevati.

 

Il cielo stesso pare neve. Sopra il cancello di legno compare l’unico essere vivente: una gazza nera, quasi in contrasto con la lucentezza del manto nevoso.

La presenza umana è rappresentata dagli edifici. Il fogliame autunnale è sepolto e la memoria ha sostituito il ricordo. Emerge il panorama di una fase della vita giunta al termine, anfratti dell’anima in cui le pennellate monocromatiche divengono estetica del tempo.

 

Un confronto tra questo quadro di Monet e Il Mare di ghiaccio (1823-24) di Friedrich permette di riflettere sul fatto che La gazza non è infinita peregrinazione dell’uomo come il naufragio dipinto da Friedrich. L’artista francese dipinge l’impressione dell’attimo en plein air, permettendo alla luce di trasfigurare il crepuscolo, mentre nella tela dell’artista romantico la desolazione e la presenza di un relitto evocano ansia, fragilità, catastrofe e l’impossibilità di sfuggire all’eternità.

 

Non tutto finisce

 

Il ciclo delle stagioni descrive una parabola esistenziale che può essere colta come un eterno affresco di luci, ombre e colori, evocazione di un armonico divenire come nelle note musicali delle Quattro stagioni di Antonio Vivaldi. Oppure, come nelle parole con cui Italo Calvino, in Le città invisibili, quando descrive Isidora: “La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù: lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi”Panta rei. Così, il tempo trascorre, ma non ha fine. Rinasce, scopre e matura. Ciò che resta è imperitura memoria.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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Farthing, S., 1001 dipinti. Una guida completa ai capolavori della pittura, Atlante Srl, Valsamoggia (BO), 2021.

Sciolla G.C., Studiare l’arte. Metodo, analisi e interpretazione delle opere e degli artisti, UTET, De Agostini Editore SpA, Milano, 2025.

Ferrari, A., Dizionario di mitologia greca e latina, UTET S.p.A., Torino, 1999.

Vasari G., Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettiNell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino,

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Wildenstein D., Monet. Il trionfo dell’Impressionismo, TASCHEN GmbH, Köln, 2023.
Mazzocca F., Romanticismo, Art e Dossier, inserto Dossier n°360 - dicembre 2018, Giunti Editore, Firenze.

Zanchi M., Arte e ironia, Art e Dossier, inserto Dossier n°430 - aprile 2025, Giunti Editore, Firenze.

Calvino I., Le città invisibili, Eredi Calvino e Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2015. I edizione Oscar Moderni ottobre 2016.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]