[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 208 / APRILE 2025 (CCXXXIX)


arte

PITTURA DEL SILENZIO
LA VITA, LA SUA LUCE E IL SUO SPAZIO SU UNA TELA

di Fabrizio Mastio

 

L’esplorazione delle opere d’arte nell’arco dei secoli costituisce sempre un itinerario che non mescola esclusivamente luci, colori e stili, ma esprime le differenti traiettorie culturali e sociali caratterizzanti distinti ambiti temporali e geografici. La storia dell’arte offre la possibilità di percorrere tempo e spazio, attraverso i sentieri interpretativi dell’estetica, permettendo un accostamento tra le opere di artisti appartenenti a periodi e scuole diverse, ma legati fra loro dalla tensione verso l’espressione di un’idea e dalla rappresentazione di un’intimità sociale, ossimoro solo in apparenza.

In questo contesto, una delle ipotetiche chiavi di lettura può rinvenirsi nello svelamento del connubio luce e silenzio. La pittura del silenzio può, in tal modo, considerarsi come la sinestesia che descrive l’arte, fra identità e alterità. Un percorso artistico di luce e silenzio può essere analizzato attraverso le opere di tre maestri, appartenenti a distinte dimensioni spazio-temporali, ma uniti da un sottile filo rosso che permea le loro opere: Jan Vermeer (Delft, 1632 - 1675), Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864 - 1916) e Edward Hopper (Nyack, 1882 - New York, 1967).

Un artista che preconizza esteticamente i concetti di luce e silenzio presenti nei tre maestri citati, è Dosso Dossi (San Giovanni del Dosso oppure Tramuschio, 1486 circa - Ferrara, 1542) con il dipinto Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù (1515-1518).

 

 

Dossi, artista del primo Cinquecento, attivo nella corte ferrarese degli Este, dipinge tre figure: Giove (in realtà, il Duca Alfonso d’Este), Mercurio e la Virtù. Giove dipinge su una tela le farfalle, ossia la fugacità della vita, come effimero appare sullo sfondo di un cielo plumbeo, un arcobaleno, altro invito alla riflessione sulla caducità dell’esistenza umana. Ai piedi di Giove si trovano le saette, mentre l’altro protagonista, Mercurio, al centro, invita al silenzio la Virtù, figura femminile che si affaccia nella parte inferiore del dipinto. La Virtù pare irrompere trafelata sulla scena per portare una notizia o, forse, per distogliere Giove dall’attività pittorica, ma Mercurio, nel portare l’indice sul proprio volto, pare invitare la stessa a non interferire. Giove dipinge la vita, non può essere disturbato. La natura avvolge il dipinto: le farfalle sono vita fugace, l’arcobaleno è volatilità, lo sfondo emerge in una dimensione quasi arcadica, ma in aperto contrasto con la tonalità cupa del cielo. Nell’opera c’è anche la luce: pervade la scena e conferisce plasticità ai corpi, con qualche elemento tipicamente caravaggesco, ante litteram. Il dipinto diviene allegoria della vita nella sua precarietà e simbolo di una natura matrigna, abilmente rappresentata dall’artista ferrarese.

Silenzio e quotidianità


Ascrivibile alla scuola del Seicento olandese, Jan Vermeer riproduce su tela la quotidianità semplice della borghesia di un’epoca contrassegnata dall’intensificarsi dei traffici commerciali. L’artista di Delft, pur non vantando un numero cospicuo di dipinti, lasciò un’impronta indelebile nella storia dell’arte e, riscoperto nell’Ottocento dopo un anomalo oblio, va sicuramente annoverato fra i grandi nomi della pittura. Un’opera di Vermeer, in particolare, trasmette luce e silenzio, elementi magistralmente interpretati, tanto da riuscire quasi a generare una sorta di atmosfera sospesa: La Lattaia (1658-1660 circa).

 

 

Il dipinto, raffigurazione di una placida scena domestica all’interno di un’umile dimora, mostra una donna in abiti da lavoro, intenta a eseguire ordinarie faccende domestiche: versa del latte da una brocca in un recipiente su un tavolo apparecchiato dove si trova un contenitore e un cesto contenente del pane. I muri della stanza riprendono tonalità di colore tenui, complementari rispetto alla foggia degli abiti della figura femminile, discretamente corpulenta e ornata da dettagli cromatici che spiccano rispetto all’ambiente circostante. La scena presenta una luce proveniente dalla finestra con vetro rotto, collocata al lato della domestica, che illumina, evidenziando per contrasto un angolo ombroso, la donna che, assorta, versa il latte nel recipiente posto sul tavolo. Intorno, ad accompagnare la naturale luminosità, il silenzio, palpabile e fermo nei secoli, è una quiete di quotidiana abitudine. I muri, tiepidi e scarni, mostrano chiodi appesi nel chiarore e qualche utensile nell’ombra. Per terra un altro oggetto e il blu delle mattonelle, modesti ornamenti nella rarefazione della stanza immersa in un’aura intrisa di sacralità nell’umile esecuzione delle consuete faccende domestiche.

Nel dipinto la luce sembra accarezzare il silenzio di “una natura morta con esseri umani”, come ebbe modo di affermare Ernst Gombrich, riferendosi allo stile di Vermeer.

Silenzio e introspezione

Tra gli artisti che studiarono le produzioni di Vermeer e, più in generale, il Seicento olandese e fiammingo, non si può non citare Vilhelm Hammershøi, forse il più grande pittore danese, esponente della Scuola di Copenaghen. Hammershøi, proveniente da un’agiata famiglia di armatori di religione luterana, fin da giovane dedito all’arte della pittura, farà tesoro di quanto appreso durante i vari soggiorni all’estero finalizzati alla conoscenza diretta dei percorsi artistici dell’epoca. I dipinti dell’artista danese rispecchiano lo stile nordico, caratterizzato dalla raffigurazione di interni, con o senza la presenza di figure umane, mediante l’utilizzo di pochi colori e sfondo neutro in un’ambientazione domestica frugale ed estremamente spoglia. La presenza di finestre e vetrate costituisce un altro aspetto presente in varie opere di Hammershøi e contribuisce ad arricchire le ambientazioni di un ulteriore elemento, fondamentale ai fini della loro interpretazione sotto il profilo psicologico ed estetico: la luce. Nel dipinto Interno in Strandgade, luce del sole sul pavimento (1901), custodito presso il Museum for Kunst a Copenaghen, una donna seduta a un tavolo, rappresentata di spalle, tratto comune presente anche nelle opere del pieno Romanticismo, sembra intenta in un’attività di cucito o, forse, di lettura.

 


Dalla figura femminile, vestita di scuro, con un lungo abito sobrio sotto il profilo cromatico, in sintonia con l’austerità dell’ambiente circostante, traspare pensiero e introspezione nella cornice del silenzio, illuminato dalla fioca luce nordica, proiettata con discrezione dall’ampia vetrata ornata dalle nivee tende, sul pavimento. Prevalgono i colori neutri e una cromaticità essenziale, costituita da pochi colori. Il capo chino della protagonista conferisce al contesto una dimensione dimessa e un distacco evidenziato dalla tenue luce che non illumina la figura femminile, relegata in un angolo della stanza, quasi smarrita nei dedali del proprio mondo interiore.

Nella rappresentazione pittorica è presente un equilibrio geometrico, visibile nei quadri sul muro, nei riquadri della finestra e della porta, entrambe chiuse, ma attribuibile più alla percezione di un tempo sospeso che a una dimensione claustrofobica. La postura e l’impossibilità di scorgere il volto della donna lasciano spazio all’immaginazione dell’osservatore: le sue fattezze e l’espressione o l’inespressività possono esclusivamente essere intuite. Ciò che emerge è silenzio, meditazione, luce, quasi una dimensione materica del pensiero. Il poeta e scrittore ceco Rainer Maria Rilke ha sottolineato la capacità di Hammershøi di esprimere una pittura semplice ed essenziale, che in realtà riesce a cogliere l’imperscrutabilità dell’animo umano, tipica delle profonde narrazioni di Dostoevskij.

Silenzio e alienazione

Il sentiero del silenzio dal Nord Europa giunge in America, al cospetto di Edward Hopper, artista nato come illustratore, ma fautore di uno stile pittorico personale, con connotazione impressionista e realista, nel dipingere il microcosmo americano nell’epoca delle metropoli in espansione verticale. In Hopper vengono rappresentati con maestria soprattutto i rapporti sociali immersi nel silenzio dell’interiorità umana in mezzo al fragore urbano e alla modernità. Caratteristici, in tal senso, sono dipinti come Benzina (1940), nel quale appare evidente il contrasto tra un distributore di carburante lungo una strada del New England, rischiarato da luce artificiale, e la circostante zona campestre, illuminata da naturale luce crepuscolare, culminante in tetri boschi. L’opera del pittore statunitense dalla quale, tra le altre, traspare la rappresentazione del silenzio e il manifestarsi della luce è Nottambuli (1942), un olio su tela ambientato in un locale popolare che si affaccia su una buia strada cittadina.

 

 

Una luce al neon illumina uno scenario teatrale, dove lo spettatore può osservare, attraverso le ampie vetrate, gli avventori del locale: un uomo e una donna che ricordano Humphrey Bogart e Lauren Bacall nel film di Howard Hawks, Il grande sonno (1946), il barman e un uomo solitario seduto, col capo chino, sul bancone. La coppia pare sfiorarsi le mani, ma gli sguardi sono assenti, rivolti altrove. Nella scena emerge una solitudine condivisa: la distanza è emozionale, non meramente fisica. La luce artificiale pare esaltare l’alienazione dei rapporti in una cornice disumanizzante nella quale vita ed esistenza sembrano non coincidere. La penombra della strada si pone in contrasto con la luminosità artefatta, in un’apparenza che cela inquietudine e insoddisfazione quotidiana. L’esterno del bar è sormontato da un’insegna pubblicitaria su una popolare marca americana di sigari, Phillies, in uno scenario di ordinaria ripetitività, in un luogo qualunque, in un giorno qualsiasi.

Il dipinto esprime silenzio, disagio e incomunicabilità, in una proiezione di elementi autobiografici dell’autore a livello sociale. L’osservatore non partecipa alla scena: l’ingresso del ristorante non appare. Chi guarda il dipinto non è meno solo dei protagonisti della raffigurazione. Hopper descrive con maestria sensazioni, sentimenti e percezioni nell’ambito di una parabola sociale. Dipinge mondi in cui insiste l’assenza e la trama diviene cornice di anime vuote, alienate, in preda a una solitudine palpabile nelle atmosfere artificiali di contesti urbani che si configurano come confini del sofisticato animo umano, tra l’attribuzione di un senso al silenzio e di un significato alla luce.

Arte e vita


Il percorso tracciato attraverso le opere di artisti vissuti in periodi e contesti differenti riflette, in tal modo, il rapporto e il reciproco condizionamento tra individualità e categorizzazione sociale, permettendo di riflettere, attraverso una delle infinite chiavi interpretative della storia umana, sulla complessità dei percorsi esistenziali che non sono avulsi dall’arte perché la stessa non è esclusivamente espressione del visibile immaginato, è vita.


Riferimenti bibliografici:

Gombrich, E.H., La storia dell’arte, Phaidon, 2008.
Farthing, S., 1001 dipinti. Una guida completa ai capolavori della pittura, Atlante Srl, Valsamoggia (BO), 2021.
Bolpagni, P., Hammershøi, Art e Dossier, Anno XL, n°429 - marzo 2025, Giunti Editore, Firenze.
Baratta, I., Vilhelm Hammershøi, il pittore del silenzio che anticipò Edward Hopper, Finestre sull’arte - Arte antica e contemporanea (www.finestresullarte.info), 2019.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]