PITTURA DEL SILENZIO
LA VITA, LA SUA LUCE E IL SUO SPAZIO
SU UNA TELA
di Fabrizio
Mastio
L’esplorazione delle opere d’arte
nell’arco dei secoli costituisce
sempre un itinerario che non mescola
esclusivamente luci, colori e stili,
ma esprime le differenti traiettorie
culturali e sociali caratterizzanti
distinti ambiti temporali e
geografici.
La
storia dell’arte offre la
possibilità di percorrere tempo e
spazio, attraverso i sentieri
interpretativi dell’estetica,
permettendo un accostamento tra le
opere di artisti appartenenti a
periodi e scuole diverse, ma legati
fra loro dalla tensione verso
l’espressione di un’idea e dalla
rappresentazione di un’intimità
sociale, ossimoro solo in apparenza.
In questo contesto, una delle
ipotetiche chiavi di lettura può
rinvenirsi nello svelamento del
connubio luce e silenzio. La pittura
del silenzio può, in tal modo,
considerarsi come la sinestesia che
descrive l’arte, fra identità e
alterità. Un percorso artistico di
luce e silenzio può essere
analizzato attraverso le opere di
tre maestri, appartenenti a distinte
dimensioni spazio-temporali, ma
uniti da un sottile filo rosso che
permea le loro opere: Jan Vermeer (Delft,
1632 - 1675), Vilhelm Hammershøi
(Copenaghen, 1864 - 1916) e Edward
Hopper (Nyack, 1882 - New York,
1967).
Un artista che preconizza
esteticamente i concetti di luce e
silenzio presenti nei tre maestri
citati, è Dosso Dossi (San
Giovanni del Dosso oppure Tramuschio,
1486 circa - Ferrara, 1542) con il
dipinto Giove pittore di
farfalle, Mercurio e la Virtù (1515-1518).

Dossi,
artista del primo Cinquecento,
attivo nella corte ferrarese degli
Este, dipinge tre figure: Giove (in
realtà, il Duca Alfonso d’Este),
Mercurio e la Virtù. Giove dipinge
su una tela le farfalle, ossia la
fugacità della vita, come effimero
appare sullo sfondo di un cielo
plumbeo, un arcobaleno, altro invito
alla riflessione sulla caducità
dell’esistenza umana. Ai piedi di
Giove si trovano le saette, mentre
l’altro protagonista, Mercurio, al
centro, invita al silenzio la Virtù,
figura femminile che si affaccia
nella parte inferiore del dipinto.
La Virtù pare irrompere trafelata
sulla scena per portare una notizia
o, forse, per distogliere Giove
dall’attività pittorica, ma
Mercurio, nel portare l’indice sul
proprio volto, pare invitare la
stessa a non interferire. Giove
dipinge la vita, non può essere
disturbato. La natura avvolge il
dipinto: le farfalle sono vita
fugace, l’arcobaleno è volatilità,
lo sfondo emerge in una dimensione
quasi arcadica, ma in aperto
contrasto con la tonalità cupa del
cielo. Nell’opera c’è anche la luce:
pervade la scena e conferisce
plasticità ai corpi, con qualche
elemento tipicamente caravaggesco, ante
litteram. Il dipinto diviene
allegoria della vita nella sua
precarietà e simbolo di una natura
matrigna, abilmente rappresentata
dall’artista ferrarese.
Silenzio e quotidianità
Ascrivibile alla scuola del Seicento
olandese, Jan Vermeer
riproduce su tela la quotidianità
semplice della borghesia di un’epoca
contrassegnata dall’intensificarsi
dei traffici commerciali. L’artista
di Delft, pur non vantando un numero
cospicuo di dipinti, lasciò
un’impronta indelebile nella storia
dell’arte e, riscoperto
nell’Ottocento dopo un anomalo
oblio, va sicuramente annoverato fra
i grandi nomi della pittura.
Un’opera di Vermeer, in particolare,
trasmette luce e silenzio, elementi
magistralmente interpretati, tanto
da riuscire quasi a generare una
sorta di atmosfera sospesa: La
Lattaia (1658-1660 circa).

Il
dipinto, raffigurazione di una
placida scena domestica all’interno
di un’umile dimora, mostra una donna
in abiti da lavoro, intenta a
eseguire ordinarie faccende
domestiche: versa del latte da una
brocca in un recipiente su un tavolo
apparecchiato dove si trova un
contenitore e un cesto contenente
del pane. I muri della stanza
riprendono tonalità di colore tenui,
complementari rispetto alla foggia
degli abiti della figura femminile,
discretamente corpulenta e ornata da
dettagli cromatici che spiccano
rispetto all’ambiente circostante.
La scena presenta una luce
proveniente dalla finestra con vetro
rotto, collocata al lato della
domestica, che illumina,
evidenziando per contrasto un angolo
ombroso, la donna che, assorta,
versa il latte nel recipiente posto
sul tavolo. Intorno, ad accompagnare
la naturale luminosità, il silenzio,
palpabile e fermo nei secoli, è una
quiete di quotidiana abitudine. I
muri, tiepidi e scarni, mostrano
chiodi appesi nel chiarore e qualche
utensile nell’ombra. Per terra un
altro oggetto e il blu delle
mattonelle, modesti ornamenti nella
rarefazione della stanza immersa in
un’aura intrisa di sacralità
nell’umile esecuzione delle consuete
faccende domestiche.
Nel dipinto la luce sembra
accarezzare il silenzio di “una
natura morta con esseri umani”, come
ebbe modo di affermare Ernst
Gombrich, riferendosi allo stile di
Vermeer.
Silenzio e introspezione
Tra gli artisti che studiarono le
produzioni di Vermeer e, più in
generale, il Seicento olandese e
fiammingo, non si può non citare
Vilhelm Hammershøi, forse il più
grande pittore danese, esponente
della Scuola di Copenaghen.
Hammershøi, proveniente da un’agiata
famiglia di armatori di religione
luterana, fin da giovane dedito
all’arte della pittura, farà tesoro
di quanto appreso durante i vari
soggiorni all’estero finalizzati
alla conoscenza diretta dei percorsi
artistici dell’epoca. I dipinti
dell’artista danese rispecchiano lo
stile nordico, caratterizzato dalla
raffigurazione di interni, con o
senza la presenza di figure umane,
mediante l’utilizzo di pochi colori
e sfondo neutro in un’ambientazione
domestica frugale ed estremamente
spoglia. La presenza di finestre e
vetrate costituisce un altro aspetto
presente in varie opere di
Hammershøi e contribuisce ad
arricchire le ambientazioni di un
ulteriore elemento, fondamentale ai
fini della loro interpretazione
sotto il profilo psicologico ed
estetico: la luce. Nel dipinto Interno
in Strandgade, luce del sole sul
pavimento (1901), custodito
presso il Museum for Kunst a
Copenaghen, una donna seduta a un
tavolo, rappresentata di spalle,
tratto comune presente anche nelle
opere del pieno Romanticismo, sembra
intenta in un’attività di cucito o,
forse, di lettura.

Dalla figura femminile, vestita di
scuro, con un lungo abito sobrio
sotto il profilo cromatico, in
sintonia con l’austerità
dell’ambiente circostante, traspare
pensiero e introspezione nella
cornice del silenzio, illuminato
dalla fioca luce nordica, proiettata
con discrezione dall’ampia vetrata
ornata dalle nivee tende, sul
pavimento. Prevalgono i colori
neutri e una cromaticità essenziale,
costituita da pochi colori. Il capo
chino della protagonista conferisce
al contesto una dimensione dimessa e
un distacco evidenziato dalla tenue
luce che non illumina la figura
femminile, relegata in un angolo
della stanza, quasi smarrita nei
dedali del proprio mondo interiore.
Nella rappresentazione pittorica è
presente un equilibrio geometrico,
visibile nei quadri sul muro, nei
riquadri della finestra e della
porta, entrambe chiuse, ma
attribuibile più alla percezione di
un tempo sospeso che a una
dimensione claustrofobica. La
postura e l’impossibilità di
scorgere il volto della donna
lasciano spazio all’immaginazione
dell’osservatore: le sue fattezze e
l’espressione o l’inespressività
possono esclusivamente essere
intuite. Ciò che emerge è silenzio,
meditazione, luce, quasi una
dimensione materica del pensiero. Il
poeta e scrittore ceco Rainer Maria
Rilke ha sottolineato la capacità di
Hammershøi di esprimere una pittura
semplice ed essenziale, che in
realtà riesce a cogliere
l’imperscrutabilità dell’animo
umano, tipica delle profonde
narrazioni di Dostoevskij.
Silenzio e alienazione
Il sentiero del silenzio dal Nord
Europa giunge in America, al
cospetto di Edward Hopper,
artista nato come illustratore, ma
fautore di uno stile pittorico
personale, con connotazione
impressionista e realista, nel
dipingere il microcosmo americano
nell’epoca delle metropoli in
espansione verticale. In Hopper
vengono rappresentati con maestria
soprattutto i rapporti sociali
immersi nel silenzio
dell’interiorità umana in mezzo al
fragore urbano e alla modernità.
Caratteristici, in tal senso, sono
dipinti come Benzina (1940),
nel quale appare evidente il
contrasto tra un distributore di
carburante lungo una strada del New
England, rischiarato da luce
artificiale, e la circostante zona
campestre, illuminata da naturale
luce crepuscolare, culminante in
tetri boschi. L’opera del pittore
statunitense dalla quale, tra le
altre, traspare la rappresentazione
del silenzio e il manifestarsi della
luce è Nottambuli (1942), un
olio su tela ambientato in un locale
popolare che si affaccia su una buia
strada cittadina.

Una
luce al neon illumina uno scenario
teatrale, dove lo spettatore può
osservare, attraverso le ampie
vetrate, gli avventori del locale:
un uomo e una donna che ricordano
Humphrey Bogart e Lauren Bacall nel
film di Howard Hawks, Il grande
sonno (1946), il barman e un
uomo solitario seduto, col capo
chino, sul bancone. La coppia pare
sfiorarsi le mani, ma gli sguardi
sono assenti, rivolti altrove. Nella
scena emerge una solitudine
condivisa: la distanza è emozionale,
non meramente fisica. La luce
artificiale pare esaltare
l’alienazione dei rapporti in una
cornice disumanizzante nella quale
vita ed esistenza sembrano non
coincidere. La penombra della strada
si pone in contrasto con la
luminosità artefatta, in
un’apparenza che cela inquietudine e
insoddisfazione quotidiana.
L’esterno del bar è sormontato da
un’insegna pubblicitaria su una
popolare marca americana di sigari, Phillies,
in uno scenario di ordinaria
ripetitività, in un luogo qualunque,
in un giorno qualsiasi.
Il dipinto esprime silenzio, disagio
e incomunicabilità, in una
proiezione di elementi
autobiografici dell’autore a livello
sociale. L’osservatore non partecipa
alla scena: l’ingresso del
ristorante non appare. Chi guarda il
dipinto non è meno solo dei
protagonisti della raffigurazione.
Hopper descrive con maestria
sensazioni, sentimenti e percezioni
nell’ambito di una parabola sociale.
Dipinge mondi in cui insiste
l’assenza e la trama diviene cornice
di anime vuote, alienate, in preda a
una solitudine palpabile nelle
atmosfere artificiali di contesti
urbani che si configurano come
confini del sofisticato animo umano,
tra l’attribuzione di un senso al
silenzio e di un significato alla
luce.
Arte e vita
Il percorso tracciato attraverso le
opere di artisti vissuti in periodi
e contesti differenti riflette, in
tal modo, il rapporto e il reciproco
condizionamento tra individualità e
categorizzazione sociale,
permettendo di riflettere,
attraverso una delle infinite chiavi
interpretative della storia umana,
sulla complessità dei percorsi
esistenziali che non sono avulsi
dall’arte perché la stessa non è
esclusivamente espressione del
visibile immaginato, è vita.
Riferimenti bibliografici:
Gombrich, E.H., La storia
dell’arte, Phaidon, 2008.
Farthing, S., 1001 dipinti. Una
guida completa ai capolavori della
pittura, Atlante Srl,
Valsamoggia (BO), 2021.
Bolpagni, P., Hammershøi, Art e
Dossier, Anno XL, n°429 - marzo
2025, Giunti Editore, Firenze.
Baratta, I., Vilhelm Hammershøi,
il pittore del silenzio che anticipò
Edward Hopper, Finestre
sull’arte - Arte antica e
contemporanea
(www.finestresullarte.info), 2019.