La
pittura offre una rappresentazione
di scene notturne che divengono
palcoscenico dell’alternanza
simbiotica di luce e oscurità. La
notte attraversa, così, epoche e
stili, tensioni e sogni illuminati
da luci astrali o artificiali, in
una dimensione sospesa tra visioni
oniriche.
Notte e contemplazione
Caspar David Friedrich
(Greifswald,
5 settembre 1774 - Dresda, 7 maggio
1840), nell’olio su tela (35x44,5
cm) Un uomo e una donna davanti
alla Luna (1820), custodito
presso la Alte Nationalgalerie di
Berlino, dipinge uno scenario
notturno che non emerge
dall’oscurità come mera
rappresentazione canonica del
sublime, ma come raffigurazione
della presenza umana al cospetto di
una natura dominante.
L’opera riprende concetti spirituali
ed esistenziali, temi cari
all’artista tedesco, e li colloca
sotto la luce della contemplazione:
un uomo e una donna rappresentano a
pieno titolo l’umanità. Vengono
ritratti di spalle, con abiti dalle
tonalità scure e dimensioni ridotte
rispetto alle dimensioni della tela,
e questo è già significativo:
l’essere umano nella sua solitudine
contempla lo spettacolo della
natura.
La
scena centrale è dominata dal
paesaggio notturno. L’uomo e la
donna osservano la Luna dalla
sezione sinistra del dipinto, mentre
la verticalità delle figure umane e
degli alberi, a sinistra e a destra,
sullo sfondo, sembrano evidenziare
la rappresentazione obliqua della
maestosa quercia sradicata in primo
piano e della roccia collocata al
suo lato. L’albero con fogliame,
probabile simbolo del Cristianesimo,
pare offrire riparo alla coppia,
mentre la quercia, nello sradicarsi,
diviene metafora del passato pagano.
In
una chiave interpretativa scevra da
significati religiosi, potrebbe
leggersi nella scena lo scorrere
ineluttabile del tempo. Nella
quercia si percepisce, secondo
un’altra possibile chiave di
lettura, qualche elemento
antropomorfico: i rami e le radici
sembrano avvolgere l’atmosfera.
In
quest’opera, Friedrich sceglie di
rappresentare figure umane che si
toccano: la donna appoggia
delicatamente il braccio destro
sulla spalla dell’uomo. Lo
accompagna nell’atto di meditazione,
lo sostiene nell’attimo e nel
destino. C’è un elemento dialogico
tra umani e natura, caratterizzato
dal ruolo preminente di
quest’ultima. Gli umani osservano,
ascoltano e contemplano: lei è la
voce, è presente, e illumina. Le
curve dei pendii conferiscono
profondità allo scenario, dove la
luce selenica rischiara, al centro,
il paesaggio. La linearità nervosa
della quercia viene compensata dalle
pennellate con cui vengono
raffigurate le conifere e le figure
umane.
Le
ombre risaltano dal contrasto di
luce e ombra, simbolo della vita,
perché è ciò che Friedrich dipinge:
la vita.
Notte e atmosfera
L’americano James Abbott McNeill
Whistler (Lowell, 10 luglio 1834 -
Londra, 17 luglio 1903), mentore
della corrente pittorica
dell’estetismo inglese, un movimento
emerso verso la metà del XIX secolo
che si discostava dal significato
delle opere, per risaltarne
l’estetica, manifesta una visione
concettuale simile all’approccio
letterario di Oscar Wilde: “la vita
imita l’arte”.
L’autore, contrariamente a
Friedrich, considerava l’arte come
un modo per esprimere una bellezza
senza scopo, attraverso la mera
rappresentazione del soggetto da
parte dell’artista, concepito come
necessariamente distante dalla vita
quotidiana.
Whistler, dunque, dipinge luce,
forma e colore, coglie l’atmosfera
del momento: non svela verità morali
o religiose; rappresenta le emozioni
dello spettatore. Lo fa con maestria
nei suoi Notturni, nei quali
raffigura più volte il Tamigi, tema
caro anche a Turner, ed esprime la
propria adesione all’Estetismo anche
nell’olio su tela (60,5x46,5 cm)
Notturno in nero e oro: il razzo
cadente (1875 ca.), attualmente
conservato presso il Detroit
Institute of Arts, USA.
Il
dipinto rientra nel novero delle
opere più controverse della storia
dell’arte, tanto da essere balzato
agli onori della cronaca giudiziaria
dell’epoca, a causa di una disputa
tra l’autore e il critico d’arte
John Ruskin.
Ruskin nel 1877 recensisce il
quadro, definendolo: “un secchio
di vernice in faccia al pubblico”.
Whistler gli intenta causa in
tribunale e la vincerà, ma il
processo si ripercuoterà
negativamente sulla sua carriera.
L’opera mostra una veduta del Tamigi
dalla sua dimora e riproduce
l’esplosione di fuochi d’artificio
presso il Parco Cremorne Gardens.
Sulla
sinistra, si staglia un imponente
albero e, nelle vicinanze, la
piattaforma di lancio dei razzi. Dal
cielo precipitano scintille che
paiono astri luminosi: luci e colori
vengono disposti nella tela con
tocchi precisi, con grande cura del
dettaglio, in uno scenario di fugace
caduta dell’attimo.
Meraviglia e dissolvimento della
tenebra pervadono l’animo degli
osservatori, in primo piano e
illuminati dalla luce artificiale.
Vapore, nebbia e squarci luminosi
decorano l’etere, tracciando un fumo
denso e facendo echeggiare lo sfondo
acustico dello spettacolo
pirotecnico. Non gli astri disegnano
costellazioni, ma le scie
artificiali dei razzi. Non la Luna
illumina, ma la chimica delle
polveri industriali.
Nella
parte inferiore del dipinto è
visibile accuratezza delle sfumature
e fusione delle tonalità armoniche.
Oro, verde, ocra, grigio e nero
attenuano la nebbia londinese. La
luminosità attraversa l’iride e
genera stati d’animo. Potrebbe
apparire azzardato, ma non privo di
fascino, vedere in quest’opera
persino un’anticipazione di alcuni
tratti dell’estetica di Gustav
Klimt.
La
profonda ammirazione dell’artista
per la musica spiega, inoltre, la
scelta del titolo dell’opera, chiaro
riferimento alle sinfonie di matrice
musicale. Il pittore americano, nel
dipingere la notte, descrive
spettacolo e meraviglia in un
contesto scenico più astratto che
realistico: sceglie l’arte per
l’arte.
Notte e interiorità
Il
cammino notturno prosegue fino al
vate del post-impressionismo,
Vincent Van Gogh
(Zundert,
30
marzo 1853 - Auvers-sur-Oise,
29
luglio 1890), artista che,
come pochi, attraverso la pittura ha
espresso sofferenza e dolore,
elementi autobiografici di fragilità
umana, ma che, al tempo stesso,
dimostrano come proprio nella
tenebra la luce trovi il proprio
spazio.
La
Notte stellata (1889), olio su
tela (73x92 cm), custodito presso il
Museum of Modern Art di New York,
evoca un paesaggio notturno.
L’opera rappresenta un villaggio
rurale immerso in una notte
stellata, illuminata dal nitore
della falce selenica, in alto a
destra, e dal pianeta Venere a
sinistra, vicino all’alto cipresso.
L’albero, col suo svettare, pare
spezzare la scena. Le abitazioni del
paesino sono illuminate, e al centro
si innalza il campanile di una
chiesa, mentre sulla destra e nella
parte centrale del dipinto, la scena
è occupata da un boschetto e dalle
alture circostanti che assumono la
parvenza di un moto ondoso in
procinto di travolgere l’abitato.
Questo aspetto contribuisce a
conferire alla tela dinamicità, resa
magistralmente nella sezione
superiore, mediante pennellate
vorticose, con le quali l’artista
disegna luci e movimento nel cielo:
ricorre a una palette cromatica di
azzurri e gialli, temi, peraltro,
presenti anche in altre sue opere
come, Terrazza del caffè di sera
(1888) e Campo di grano con
corvi (1890). Spicca il cielo,
ma sembra il mare, poiché con la
tumultuosità di questi elementi, il
pittore intende esternare la
propria interiorità.
Un sottile equilibrio permea il
dipinto, donando allo spettatore una
visione sospesa tra buio e luce, tra
verticalità e orizzontalità, dove
l’etere diviene vertice e la vita,
orizzonte: terra, cielo e l’abitato
come urbanesimo dell’animo umano,
sollecitato dalla natura.
Nel quadro non vi è oscurità, ma
speranza e sogno lungo eterei
sentieri. La profondità delle
tonalità scure della notte è la
rimembranza dei tormenti
dell'artista, ma la luce astrale
pare dipingere itinerari di irenica
quiete, perché la luce brilla
nell’oscurità: non si camuffa, sorge
nella notte, come la Luna.
Notte e mistero
Henri Rousseau (Laval, 21 maggio
1844 - Parigi, 2 settembre 1910)
apre un percorso che, dalle notti
europee, porta l’esperienza di notti
di ambientazione esotica,
all’insegna del primitivismo. Questa
corrente culturale, originata
dall’espansione coloniale della fine
del XIX secolo, si distinse per
un’arte semplice e caratterizzata da
immediatezza.
La scoperta di nuove culture,
contestualmente all’affermarsi di un
filone artistico professante la
necessità di distacco dalle
categorie socio-culturali del
Vecchio Continente, diede vita a una
produzione pittorica orientata allo
studio di artisti locali e alla
sperimentazione di stili figurativi
esotici, mediante l’abbandono del
realismo e il ricorso a colori
accesi e piatti, codici simbolici,
un approccio, per certi versi, più
astratto e con venature di
sensualità e mistero.
Nell’olio su tela (169x189,5 cm)
L’incantatrice di serpenti
(1907), attualmente custodito presso
il Musée d’Orsay di Parigi, Rousseau
dipinge una giungla lussureggiante
in uno scenario notturno illuminato
da una Luna piena argentea dai
contorni ben definiti, collocata in
alto a sinistra, nel cielo bruno.
Nella parte sottostante scorre un
fiume con uno sfondo di fitta
vegetazione. La stessa viene
riprodotta nella parte centrale e
destra della tela, con dettagli più
nitidi, resi con bidimensionalità, e
forme chiare che descrivono una
flora tropicale rigogliosa e
variegata. La tecnica utilizzata
prevedeva una pittura a strati, con
la distribuzione delle pennellate
dal cielo fino all’aggiunta di
qualche foglia alla volta, in attesa
che il colore si seccasse.
Pur mancando una prospettiva
lineare, il fogliame e i motivi
floreali brillano rispetto agli
altri elementi, riuscendo a fornire
profondità alla rappresentazione.
Gli esseri viventi protagonisti
della scena vedono la presenza di
una donna, l’incantatrice, della
quale, nell’oscurità del corpo, si
scorgono gli occhi e la lunga chioma
dei capelli ondulata che tocca le
ginocchia. Un serpente avvolge le
sue membra, mentre altri si
producono in una sorta di danza ai
suoi piedi. La donna ricorda Eva nel
Giardino dell’Eden, ma nel dipinto,
il serpente non rappresenta
tentazione o peccato e la stessa
natura è ai suoi piedi.
L’altro essere animato è un
fenicottero, l’unico per il quale
vengono impiegati i colori pastello,
quasi a voler completare la
lucentezza trasmessa dalle foglie e
dai motivi floreali. Il volatile, in
posa statica e catatonica, fissa
l’incantatrice.
Le increspature del fiume evocano
un’immobilità in una dimensione
onirica e allegorica. L’artista
riesce ad imprimere nella
raffigurazione un’aura di mistico
mistero, dove l’oscurità della
vegetazione e del corpo femminile
nasconde il sogno, rischiarato dalla
luce lunare, ancora una volta in
bilico tra inconscio e memoria.
Quel
che resta della notte
Il viaggio in notturna nell’arte
sorvola contemplazione, atmosfera,
interiorità e mistero, ma non si
esaurisce al risveglio: offre vedute
su più dimensioni, proprio come nei
sogni. La notte si mostra come il
rovescio del giorno, al contempo,
inizio e fine, simbolica ciclicità
dell’esistenza.
Questi maestri della pittura
dipingono la notte e la sua luce;
Dante Alighieri, nella Divina
Commedia, evoca oscurità e luce come
parabola esistenziale.
Nell’Inferno, al Canto I,
apre con la tenebra:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita”.
Chiude la cantica con una notte
illuminata:
“E quindi uscimmo a riveder le
stelle”.
Al
termine del viaggio, Dante e
Virgilio lasciano l’Inferno
ed escono per rivedere le stelle:
una notte simbolica, che non è fine,
ma luce e redenzione.
Lo
stesso itinerario attraversa le
cantiche del Purgatorio e del
Paradiso.
Anche
l’arte, in tal senso, offre a ogni
essere umano la libertà di
immaginare i propri percorsi
esistenziali.
Riferimenti bibliografici: