[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 212 / AGOSTO 2025 (CCXLIII)


arte

PITTURA DELLA MONTAGNA
sentieri artistici da giotto a monet
di Fabrizio Mastio

 

Quale significato assume la montagna nella storia dell’arte? La cima può essere raggiunta attraverso diversi sentieri. La montagna offre scenari che è possibile ammirare attraverso una selezione di opere mai definitiva, ma densa di vedute. É possibile scalare la vetta con Caspar David Friedrich, Arnold Böcklin, Giovanni Segantini e Ferdinand Hodler, oppure attraverso itinerari meno battuti, ma ugualmente significativi: un cammino costellato da spiritualità, mito, sublime atmosferico e percezione.
 
Giotto di Bondone (Colle di Vespignano Vicchio, 1267 - Firenze, 8 gennaio 1337), Nicolas Poussin (Les Andelys, 15 giugno 1594 - Roma, 19 novembre1665), William Turner (Londra 23 aprile 1775 - Chelsea, 19 dicembre 1851) e Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 - Giverny, 5 dicembre 1926) dipingono la montagna attraverso percorsi iconografici e iconologici che fondono condizione dell’esistenza e visione dell’esistente.
 
Montagna e spiritualità

 
Giotto, interprete del superamento della barriera fra scultura e pittura, innovò il canone bizantino con l’introduzione di un nuovo stile artistico caratterizzato da profondità e conferimento di una maggiore espressività nella rappresentazione delle figure umane. La reazione e l’immaginazione umana di fronte all’evento sacro persegue una concezione della pittura improntata a un nuovo realismo.La scena si presenta all’osservatore, che vi assiste come un testimone reale, portatore di un’emozione. L’avvenimento diviene coinvolgimento.
 
Nell’opera Fuga in Egitto (200x185 cm), affresco databile intorno al 1303-1305, facente parte del ciclo della Capella degli Scrovegni a Padova, viene raffigurato il viaggio in Egitto della Sacra Famiglia per sfuggire alla strage degli innocenti, narrata nel Vangelo secondo Matteo (2,1-16), nel quale Erode il Grande, Re di Giudea, ordina l’uccisione di tutti i neonati allo scopo di eliminare il futuro Messia. Giuseppe, invitato da un angelo a trovare rifugio in Egitto con la famiglia, riuscì a trarre in salvo Gesù.
 


Nella rappresentazione pittorica la scena centrale è occupata da Maria che, sul dorso dell’asino, accoglie tra le sue braccia Gesù, legato al suo corpo con una sciarpa rigata. Un uomo vestito di nero, con una borraccia legata alla cintura, guida l’asino mentre conversa con Giuseppe che porta un bastone sulla mano sinistra e un cesto sulla mano destra. Sulla sezione a sinistra, tre attendenti di Maria parlano tra loro. In alto, a destra, un angelo guida la Sacra Famiglia verso la salvezza, con una gestualità che pare indicare con sicurezza la strada da percorrere. In alto, si stagliano le montagne, spoglie, con la presenza isolata di qualche piccolo albero, che sembrano sovrastare la scena, giungendo quasi al vertice dell’affresco. Una prima montagna, illuminata, appare al centro dell’immagine, appena dietro Maria, mentre in lontananza appare la seconda montagna, in una zona d’ombra. La montagna viene dipinta come sfondo che conferisce maestosità al paesaggio e racchiude l’evento in una cornice piramidale culminante nello sperone roccioso. L’azzurro del cielo chiude l’affresco con una cromaticità delicata che pare bilanciare certi tratti scultorei presenti nelle figure umane. Nella Bibbia la montagna assurge a luogo in cui Dio si manifesta: sul Sinai Mosè riceve le tavole della Legge. Giotto trasmette tale sacralità con la rappresentazione della montagna che non è solo sfondo, ma manifestazione del sacro.
 
Montagna e mito

 
Nicolas Poussin, esponente del neoclassicismo, dipinge un paesaggio caro alla mitologia greco-romana. Il dipinto Pastori d’Arcadia (85x121cm), olio su tela del 1650, custodito presso il Museo del Louvre a Parigi, riprende il tema delle Bucoliche di Virgilio descritto nell’Ecloga quinta: “Dafni ammira splendente l’inconsueta soglia d’Olimpo, e vede sotto i suoi piedi le nubi e le stelle. Quindi un’alacre gioia pervade le selve e tutte le campagne e Pan e i pastori e le fanciulle Driadi. Il lupo non tende insidie al gregge, né le reti ingannano i cervi: il buon Dafni ama la pace. Anche le intatte montagne lanciano gridi di letizia alle stelle, le stesse rupi e gli arbusti risuonano del verso: “un Dio, quegli è un Dio, Menalca!”.
 


Il poeta latino descrive l’Arcadia, regione montuosa del Peloponneso, scenario di numerosi miti, che dalla nascita di Zeus al culto di Demetra, diviene trasfigurazione di una terra di cultura e colture, dove la vita assume una connotazione di irenica esistenza tra i pascoli e i frutti offerti dalla natura. L’opera di Poussin rappresenta tre giovani pastori con serti e vincastri e una giovane pastora con vesti nobili, che catturano i colori della terra e del cielo, davanti a una tomba. Uno dei pastori, inginocchiato, studia un’iscrizione tombale, ET IN ARCADIA EGO (io, la morte regno anche in Arcadia), mentre il pastore sulla destra indica la stessa alla pastora, assorta e quasi rassegnata come traspare dal capo reclinato. Le figure umane sono tratte dalla scultura classica; riproducono le sembianze delle divinità. La donna presenta i capelli raccolti e un portamento caratterizzato da composta dignità. Quattro giovani sostano intorno a un monumento funebre, in un accostamento ossimorico fra vita e morte, in un panorama edenico che ricorda come la morte faccia parte della vita anche in quel luogo di pace. L’intera composizione rispetta un ordine geometrico evidenziato dalla linea dell’orizzonte, dalla diagonale che parte in basso a sinistra e dai triangoli visivi disegnati dalla disposizione dei protagonisti. Sullo sfondo si intravedono le cime montuose e alcuni alberi. Il cielo è attraversato da nuvole passeggere. Nel dipinto si può leggere una sorta di memento mori, dove la morte non è condanna, ma inevitabile fine dell’esistenza.
 
Montagna e sublime

 
Le vette innevate delle Alpi costituiscono una tappa del cammino che William Turner, maestro del Romanticismo, riesce ad esprimere con l’opera Bufera di neve: Annibale varca le Alpi col suo esercito (1812), olio su tela (145x236,5 cm) custodito presso il Tate di Londra. La scena fonde magistralmente pittura storica e paesaggistica. L’evento, tramandato dagli storici Tito Livio e Polibio, richiama l’invasione cartaginese in Italia avvenuta nel 218 a.C., che segnò il principio della Seconda guerra punica. In realtà la riproduzione su tela di uno scenario dai contorni apocalittici manifestava il timore percepito dagli inglesi nei confronti dell’inarrestabile avanzata di Napoleone Bonaparte e delle sue truppe, assumendo in tal modo una connotazione attuale rispetto al periodo in cui l’artista britannico concepì il dipinto.
 


L’opera riproduce un panorama pervaso da una drammaticità atmosferica, con un contrasto visivamente forte tra la luce, resa con tonalità chiare, nella parte sinistra del quadro e l’oscurità, dipinta con tonalità scure, nella parte superiore e destra. Il sole penetra il buio delle nubi che incombono sul paesaggio alpino, mentre le figure umane sembrano emergere dalle rocce sul terreno. Le truppe cartaginesi cercano un riparo, mentre si intravede un elefante morto. Si scorge il riflesso di torce e armature di altri militi, ma le figure umane si confondono con gli agenti atmosferici in un’ambientazione in cui spazio e profondità vengono raffigurati mediante la mescolanza di luce e colore. La natura, rappresentata nella sua immensità, sembra soverchiare i guerrieri cartaginesi, impotenti di fronte alla bufera di neve, resa da pennellate decise e vorticose.
Non c’è un ordine geometrico o prospettico definito, ma una massa di elementi cromatici grigio-verdi e neri che dipingono stati d’animo.
 
Montagna e percezione

 
Con Claude Monet, celebre interprete dell’Impressionismo, che conosceva le opere di Turner e l’importanza preminente dell’impatto della luce e dell’atmosfera rispetto al soggetto, la montagna non si impone, si percepisce. Il pittore applica i principi della pittura en plein air, tratto tipico dell’Impressionismo, e durante un soggiorno in Norvegia scopre una montagna non imponente, evocativa del Fuji-Yama: il Monte Kolsaas (1895), olio su tela (65x100cm), oggi custodito presso il Musée Marmottan Monet. Il soggetto, ripreso in tredici tele catalogate, rimanda alle Trentasei vedute del Monte Fuji (1831-1834) di Hokusai, artista apprezzato da Monet.
 


Il dipinto cattura luce e colore, con la raffigurazione degli alberi come una massa dalla tonalità verde-scura, il bianco della neve e un cielo terso di colore giallo pallido. La montagna occupa lo spazio centrale della tela, mentre il cielo conferisce ampiezza alla veduta. I colori (giallo, verde e blu) disegnano un’atmosfera calda e intensa. L’assenza di figure animate trasmette l’immensità di una natura immune dall’intervento umano. Le pennellate sono visibili e presentano una ridotta messa a fuoco dei dettagli, ma la scala cromatica trasmette una mappa sensoriale di un luogo calato nella natura incontaminata, dove terra e cielo divengono cornice del percepito. In effetti, un cronista dell’epoca affermò: “Il motivo, avrebbe dichiarato Monet, è per me una cosa secondaria; ciò che voglio riprodurre è quello che c’è fra il motivo e me”. Sebbene il dipinto sia meno noto rispetto ad altre opere della ricca produzione del pittore francese, il Monte Kolsaas rappresenta una tappa evolutiva del suo percorso artistico e la manifestazione di un’idea del rapporto fra esistenza umana e natura. Nell’illustrazione l’uomo non compare: la natura può essere ammirata e rispettata.
 
La scalata continua

 
Il tragitto montano tracciato tra spiritualità, mito, sublime e percezione si snoda tra consapevolezza e scoperta: ogni artista, nel dipingere, esprime estetica dell’esistente ed essenza del percepito. Il mito di Sisifo sintetizza in modo crudo il rapporto tra umani e montagna: la montagna come meta e destino, metafora della vita. Sisifo simboleggia la strenua opposizione dell’uomo al proprio destino. Inviso agli dei per averli sfidati, subisce la proverbiale condanna: trascinare un masso fino alla cima di una montagna, solo per vederlo rotolare ogni volta a valle, in un ciclo eterno di fatica e tormento. La montagna nel mito viene elevata a simbolo delle difficoltà della vita che ogni essere vivente deve affrontare e la lotta perenne contro le avversità, uno degli aspetti che ci rende così profondamente umani.
 
 
Riferimenti bibliografici:
 
Gombrich E.H., La storia dell’arte, Phaidon, 2008.
Farthing S., Arte. La storia completa, Atlante Srl, Valsamoggia (Bo), 2018.
Farthing, S., 1001 dipinti. Una guida completa ai capolavori della pittura, Atlante Srl, Valsamoggia (BO), 2021.
Mazzocca F., Romanticismo, Art e Dossier, inserto Dossier n°360 - dicembre 2018, Giunti Editore, Firenze.
Mettais V., Turner. Coffret l’essentiel, Éditions Hazan, 2021.
Virgilio, Bucoliche, I classici del pensiero libero, Greci e Latini-16, RCS MediaGroup S.p.A.. Milano, 2012.
Ferrari, A., Dizionario di mitologia greca e latina, UTET S.p.A., Torino, 1999.
Wildenstein D., Monet. Il trionfo dell’Impressionismo, TASCHEN GmbH, Köln, 2023.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]