PITTURA DELLA MONTAGNA
sentieri artistici da giotto a monet
di Fabrizio
Mastio
Quale significato assume la montagna
nella storia dell’arte? La cima può
essere raggiunta attraverso diversi
sentieri. La montagna offre scenari
che è possibile ammirare attraverso
una selezione di opere mai
definitiva, ma densa di vedute. É
possibile scalare la vetta con
Caspar David Friedrich, Arnold
Böcklin, Giovanni Segantini e
Ferdinand Hodler, oppure attraverso
itinerari meno battuti, ma
ugualmente significativi: un cammino
costellato da spiritualità, mito,
sublime atmosferico e
percezione.
Giotto di Bondone (Colle di
Vespignano Vicchio, 1267 - Firenze,
8 gennaio 1337), Nicolas Poussin
(Les Andelys, 15 giugno 1594 - Roma,
19 novembre1665), William Turner
(Londra 23 aprile 1775 - Chelsea, 19
dicembre 1851) e Claude Monet
(Parigi, 14 novembre 1840 - Giverny,
5 dicembre 1926) dipingono la
montagna attraverso percorsi
iconografici e iconologici che
fondono condizione dell’esistenza e
visione dell’esistente.
Montagna e spiritualità
Giotto, interprete del superamento
della barriera fra scultura e
pittura, innovò il canone bizantino
con l’introduzione di un nuovo stile
artistico caratterizzato da
profondità e conferimento di una
maggiore espressività nella
rappresentazione delle figure umane.
La reazione e l’immaginazione umana
di fronte all’evento sacro persegue
una concezione della pittura
improntata a un nuovo realismo.La
scena si presenta all’osservatore,
che vi assiste come un testimone
reale, portatore di un’emozione.
L’avvenimento diviene
coinvolgimento.
Nell’opera Fuga in Egitto
(200x185 cm), affresco databile
intorno al 1303-1305, facente parte
del ciclo della Capella degli
Scrovegni a Padova, viene
raffigurato il viaggio in Egitto
della Sacra Famiglia per sfuggire
alla strage degli innocenti, narrata
nel Vangelo secondo Matteo (2,1-16),
nel quale Erode il Grande, Re di
Giudea, ordina l’uccisione di tutti
i neonati allo scopo di eliminare il
futuro Messia. Giuseppe, invitato da
un angelo a trovare rifugio in
Egitto con la famiglia, riuscì a
trarre in salvo Gesù.

Nella rappresentazione pittorica la
scena centrale è occupata da Maria
che, sul dorso dell’asino, accoglie
tra le sue braccia Gesù, legato al
suo corpo con una sciarpa rigata. Un
uomo vestito di nero, con una
borraccia legata alla cintura, guida
l’asino mentre conversa con Giuseppe
che porta un bastone sulla mano
sinistra e un cesto sulla mano
destra. Sulla sezione a sinistra,
tre attendenti di Maria parlano tra
loro. In alto, a destra, un angelo
guida la Sacra Famiglia verso la
salvezza, con una gestualità che
pare indicare con sicurezza la
strada da percorrere. In alto, si
stagliano le montagne, spoglie, con
la presenza isolata di qualche
piccolo albero, che sembrano
sovrastare la scena, giungendo quasi
al vertice dell’affresco. Una prima
montagna, illuminata, appare al
centro dell’immagine, appena dietro
Maria, mentre in lontananza appare
la seconda montagna, in una zona
d’ombra. La montagna viene dipinta
come sfondo che conferisce
maestosità al paesaggio e racchiude
l’evento in una cornice piramidale
culminante nello sperone roccioso.
L’azzurro del cielo chiude
l’affresco con una cromaticità
delicata che pare bilanciare certi
tratti scultorei presenti nelle
figure umane. Nella Bibbia la
montagna assurge a luogo in cui Dio
si manifesta: sul Sinai Mosè riceve
le tavole della Legge. Giotto
trasmette tale sacralità con la
rappresentazione della montagna che
non è solo sfondo, ma manifestazione
del sacro.
Montagna e mito
Nicolas Poussin, esponente del
neoclassicismo, dipinge un paesaggio
caro alla mitologia greco-romana. Il
dipinto Pastori d’Arcadia
(85x121cm), olio su tela del 1650,
custodito presso il Museo del Louvre
a Parigi, riprende il tema delle
Bucoliche di Virgilio descritto
nell’Ecloga quinta: “Dafni ammira
splendente l’inconsueta soglia
d’Olimpo, e vede sotto i suoi piedi
le nubi e le stelle. Quindi
un’alacre gioia pervade le selve e
tutte le campagne e Pan e i pastori
e le fanciulle Driadi. Il lupo non
tende insidie al gregge, né le reti
ingannano i cervi: il buon Dafni ama
la pace. Anche le intatte montagne
lanciano gridi di letizia alle
stelle, le stesse rupi e gli arbusti
risuonano del verso: “un Dio, quegli
è un Dio, Menalca!”.

Il poeta latino descrive l’Arcadia,
regione montuosa del Peloponneso,
scenario di numerosi miti, che dalla
nascita di Zeus al culto di Demetra,
diviene trasfigurazione di una terra
di cultura e colture, dove la vita
assume una connotazione di irenica
esistenza tra i pascoli e i frutti
offerti dalla natura. L’opera di
Poussin rappresenta tre giovani
pastori con serti e vincastri e una
giovane pastora con vesti nobili,
che catturano i colori della terra e
del cielo, davanti a una tomba. Uno
dei pastori, inginocchiato, studia
un’iscrizione tombale, ET IN ARCADIA
EGO (io, la morte regno anche in
Arcadia), mentre il pastore sulla
destra indica la stessa alla
pastora, assorta e quasi rassegnata
come traspare dal capo reclinato. Le
figure umane sono tratte dalla
scultura classica; riproducono le
sembianze delle divinità. La donna
presenta i capelli raccolti e un
portamento caratterizzato da
composta dignità. Quattro giovani
sostano intorno a un monumento
funebre, in un accostamento
ossimorico fra vita e morte, in un
panorama edenico che ricorda come la
morte faccia parte della vita anche
in quel luogo di pace. L’intera
composizione rispetta un ordine
geometrico evidenziato dalla linea
dell’orizzonte, dalla diagonale che
parte in basso a sinistra e dai
triangoli visivi disegnati dalla
disposizione dei protagonisti. Sullo
sfondo si intravedono le cime
montuose e alcuni alberi. Il cielo è
attraversato da nuvole passeggere.
Nel dipinto si può leggere una sorta
di memento mori, dove la morte non è
condanna, ma inevitabile fine
dell’esistenza.
Montagna e sublime
Le vette innevate delle Alpi
costituiscono una tappa del cammino
che William Turner, maestro del
Romanticismo, riesce ad esprimere
con l’opera Bufera di neve:
Annibale varca le Alpi col suo
esercito (1812), olio su
tela (145x236,5 cm) custodito presso
il Tate di Londra. La scena fonde
magistralmente pittura storica e
paesaggistica. L’evento, tramandato
dagli storici Tito Livio e Polibio,
richiama l’invasione cartaginese in
Italia avvenuta nel 218 a.C., che
segnò il principio della Seconda
guerra punica. In realtà la
riproduzione su tela di uno scenario
dai contorni apocalittici
manifestava il timore percepito
dagli inglesi nei confronti
dell’inarrestabile avanzata di
Napoleone Bonaparte e delle sue
truppe, assumendo in tal modo una
connotazione attuale rispetto al
periodo in cui l’artista britannico
concepì il dipinto.

L’opera riproduce un panorama
pervaso da una drammaticità
atmosferica, con un contrasto
visivamente forte tra la luce, resa
con tonalità chiare, nella parte
sinistra del quadro e l’oscurità,
dipinta con tonalità scure, nella
parte superiore e destra. Il sole
penetra il buio delle nubi che
incombono sul paesaggio alpino,
mentre le figure umane sembrano
emergere dalle rocce sul terreno. Le
truppe cartaginesi cercano un
riparo, mentre si intravede un
elefante morto. Si scorge il
riflesso di torce e armature di
altri militi, ma le figure umane si
confondono con gli agenti
atmosferici in un’ambientazione in
cui spazio e profondità vengono
raffigurati mediante la mescolanza
di luce e colore. La natura,
rappresentata nella sua immensità,
sembra soverchiare i guerrieri
cartaginesi, impotenti di fronte
alla bufera di neve, resa da
pennellate decise e vorticose.
Non c’è un ordine geometrico o
prospettico definito, ma una massa
di elementi cromatici grigio-verdi e
neri che dipingono stati d’animo.
Montagna e percezione
Con Claude Monet, celebre interprete
dell’Impressionismo, che conosceva
le opere di Turner e l’importanza
preminente dell’impatto della luce e
dell’atmosfera rispetto al soggetto,
la montagna non si impone, si
percepisce. Il pittore applica i
principi della pittura en plein air,
tratto tipico dell’Impressionismo, e
durante un soggiorno in Norvegia
scopre una montagna non imponente,
evocativa del Fuji-Yama: il
Monte Kolsaas (1895), olio
su tela (65x100cm), oggi custodito
presso il Musée Marmottan Monet. Il
soggetto, ripreso in tredici tele
catalogate, rimanda alle Trentasei
vedute del Monte Fuji (1831-1834) di
Hokusai, artista apprezzato da
Monet.

Il dipinto cattura luce e colore,
con la raffigurazione degli alberi
come una massa dalla tonalità
verde-scura, il bianco della neve e
un cielo terso di colore giallo
pallido. La montagna occupa lo
spazio centrale della tela, mentre
il cielo conferisce ampiezza alla
veduta. I colori (giallo, verde e
blu) disegnano un’atmosfera calda e
intensa. L’assenza di figure animate
trasmette l’immensità di una natura
immune dall’intervento umano. Le
pennellate sono visibili e
presentano una ridotta messa a fuoco
dei dettagli, ma la scala cromatica
trasmette una mappa sensoriale di un
luogo calato nella natura
incontaminata, dove terra e cielo
divengono cornice del percepito. In
effetti, un cronista dell’epoca
affermò: “Il motivo, avrebbe
dichiarato Monet, è per me una cosa
secondaria; ciò che voglio
riprodurre è quello che c’è fra il
motivo e me”. Sebbene il dipinto sia
meno noto rispetto ad altre opere
della ricca produzione del pittore
francese, il Monte Kolsaas
rappresenta una tappa evolutiva del
suo percorso artistico e la
manifestazione di un’idea del
rapporto fra esistenza umana e
natura. Nell’illustrazione l’uomo
non compare: la natura può essere
ammirata e rispettata.
La scalata continua
Il tragitto montano tracciato tra
spiritualità, mito, sublime e
percezione si snoda tra
consapevolezza e scoperta: ogni
artista, nel dipingere, esprime
estetica dell’esistente ed essenza
del percepito. Il mito di Sisifo
sintetizza in modo crudo il rapporto
tra umani e montagna: la montagna
come meta e destino, metafora della
vita. Sisifo simboleggia la strenua
opposizione dell’uomo al proprio
destino. Inviso agli dei per averli
sfidati, subisce la proverbiale
condanna: trascinare un masso fino
alla cima di una montagna, solo per
vederlo rotolare ogni volta a valle,
in un ciclo eterno di fatica e
tormento. La montagna nel mito viene
elevata a simbolo delle difficoltà
della vita che ogni essere vivente
deve affrontare e la lotta perenne
contro le avversità, uno degli
aspetti che ci rende così
profondamente umani.
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