[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 210 / GIUGNO 2025 (CCXLI)


contemporanea

Pirati di ieri e di oggi

alle radici dell'homo oeconomicus
di Titti Brunori Zezza

 

Il Mediterraneo per la sua particolare conformazione geografica nell’antichità fu importante mare di scambi commerciali tra Europa, Asia e Africa. Ora invece, in seguito alla esplosiva espansione dell’economia di mercato avvenuta a livello globale negli ultimi trent’anni, esso è diventato piuttosto un mare di transito. Ultimamente, però, vari fattori come guerre, pandemie e cambiamento climatico hanno inciso negativamente su questa nostra economia globalizzata.

 

Il Canale di Panama, importante snodo del traffico commerciale mondiale, ha visto qualche tempo fa’ ridotte le sue potenzialità a causa di una siccità che ha costretto le Autorità preposte a ridurre il numero delle imbarcazioni in transito. Anche le persistenti tensioni tra l’isola di Taiwan e la Cina, i frequenti scontri di quest’ultima con i pescatori filippini, il mar Nero infestato da mine a causa del conflitto tra Russia e Ucraina e da ultimo lo scoppio delle ostilità tra lo Stato d’Israele e la Palestina controllata da Hamas stanno rendendo oggi insicura la navigazione commerciale in alcune aree cruciali del globo terrestre.

 

In questi ultimi due secoli si è rivelata di notevole importanza nel favorire gli scambi commerciali internazionali una via di trasporto marittimo che collega i mercati asiatici con quelli europei. Privilegiata dalle enormi navi-portacontainer che fanno la spola tra Shanghai e Rotterdam essa passa attraverso il Mar Rosso, quindi il Mediterraneo e infine, superato lo Stretto di Gibilterra e risalito l’oceano Atlantico, raggiunge il porto olandese di destinazione. Ciò è divenuto possibile grazie alla realizzazione nella seconda metà del XIX secolo del Canale di Suez raccordante il Mediterraneo con una di quelle due piccole insenature con cui il mar Rosso si spinge verso nord mentre a sud esso si apre invece sulle acque dell’Oceano Indiano attraverso lo Stretto di Bab el Mandeb.

 

Da più di un anno, lungo questa rotta, dopo i ripetuti attacchi ai convogli commerciali in transito da parte di un gruppo armato filo-iraniano sostenitore della Palestina, quello degli Houthi, il traffico di merci si è andato contraendo sia per il conseguente rialzo del costo del trasporto delle merci dovuto al rincaro delle polizze assicurative pagate da chi vuole rischiare, come pure per la scelta forzata di una rotta alternativa molto più lunga, ma più sicura, da parte di varie Compagnie di navigazione. Queste ultime hanno preferito, infatti, ripiegare su quella che in passato fu la usuale rotta di collegamento tra l’Europa e l’Oriente che comporta la circumnavigazione dell’Africa.

 

In veste di novelli pirati, quei guerriglieri sono yemeniti che vengono identificati oggi con il nome del loro laeder, Abdulmalix al Houty il quale ispirandosi allo ayatollah iraniano Khomeini ha mirato a imporre a tutto lo Yemen una egemonia politica, religiosa e culturale da parte del suo gruppo ricercando una visibilità internazionale oggi indubbiamente raggiunta.

 

A lungo quel Paese è stato dilaniato da una sanguinosa guerra civile a seguito del colpo di Stato avvenuto nel 1962 con cui venne rovesciato l’imamato che governava da mille anni lo Yemen. Allora la parte settentrionale del Paese, roccaforte degli Houti che si ritengono eredi di quell’antico assetto politico, si separò da quella del sud dove invece si era formato un nuovo Governo che da subito aveva ottenuto il riconoscimento internazionale e il sostegno degli Emirati arabi e dei Sauditi, mentre gli Houti trovarono sostegno politico e militare nell’Iran di fede sciita come la loro. Solo nel 1990 si è arrivati a una riunificazione di quel Paese con la fusione dei due territori sotto forma di una repubblica parlamentare, riconoscendo come capitale dello Stato yemenita quella che fu in un lontano passato la splendida città di Sana’a situata nel nord del Paese, mentre Aden, a sud, affacciata sul golfo che ne ha preso il nome, ne diventava il centro economico. Ma proprio per il fatto che quelle due componenti del popolo yemenita hanno vissuto storie diverse, anche dopo la sua riunificazione, il Paese è stato a più riprese, e ancora lo è, soggetto a instabilità politica e ciò ha inciso negativamente sulla sua economia e sulle condizioni di vita della popolazione attualmente molto precarie.

 

Chi poteva immaginare che una componente della società di un Paese attualmente ancora molto arretrato sarebbe stata in grado di condizionare una rotta commerciale internazionale così importante lungo la quale transitavano sino a pochi mesi fa migliaia di navi all’anno corrispondenti a circa il 30% degli scambi a livello mondiale?

 

Situato nella parte meridionale della penisola arabica che fronteggia il Corno d’Africa, al di la dello Stretto di Bab el Mandeb (in lingua araba significante “Porta del lamento funebre” probabilmente per le sue acque insidiose) lo Yemen presenta lungo il mar Rosso e il Golfo di Aden uno sviluppo costiero di 2mila kilometri che racchiude un territorio dalle caratteristiche contrastanti: oasi dalla vegetazione lussureggiante si sostituiscono a roventi paesaggi desertici e a vasti altipiani prospicienti il mare.

 

La particolare posizione di questo Paese, al crocevia di intensi traffici commerciali (e oggi anche di importanti vie di quella nostra comunicazione iperconnessa grazie ai cavi adagiati sul fondo del mare antistante la costa), ha fatto sì che i suoi abitanti da sempre si siano rapportati con molte culture: quella africana, greca, romana, indiana, cinese e persino indonesiana. Il suo nome venne associato all’inizio ai suoi alberi di “Boswellia sacra” fornitori di quell’incenso che occupava il primo posto tra i prodotti aromatici più commercializzati nel mondo antico a cui per primi avevano aspirato anche gli antichi Egizi.

 

A lungo lo Yemen fu associato anche alla figura, più leggendaria che reale, della regina di Saba la quale, secondo il biblico Libro dei Re (10.1-10) si recò a Gerusalemme nell’anno 950 a.C. per incontrare Salomone “con un numerosissimo seguito e con cammelli carichi di essenze profumate e grandi quantità di oro e di pietre preziose da offrire a quel re”. Non tutte quelle mercanzie provenivano realmente da quella terra, ma poiché i Sabei erano addentro alla loro commercializzazione e ne sembravano i possessori, i Romani la battezzarono Arabia Felix.

 

Quell’area geografica, oggetto oggi di tanta attenzione da parte nostra, risulta dunque aver rivestito anche in un periodo assai lontano, quando il Canale di Suez era ancora al di là da venire, un’importanza commerciale notevole.

 

Riandiamo allora per un momento con il pensiero proprio a quel contesto geografico considerando un eccezionale ritrovamento avvenuto qualche tempo fa: una iscrizione latina risalente al periodo imperiale romano, più precisamente al II secolo d.C. È un reperto archeologico individuato nell’arcipelago delle isole Farasan che fronteggiano nel mar Rosso la costa dell’estremo sud dell’Arabia Saudita, pressoché al confine con lo Yemen.

 

Si tratta di una “vexillatio”, ovvero della consacrazione al proprio Imperatore di un nuovo accampamento appena costruito da parte di un contingente militare romano. La data riportata è il 144 d.C e l’imperatore a cui si fa riferimento è dunque Antonino Pio.

Dediche di questo tipo non risultavano inusuali allora. Ciò che invece colpisce di questa è che il dedicante sia un distaccamento militare della famosa II Legione Traiana allora di stanza in Egitto, dunque a più di mille chilometri di distanza da quell’arcipelago, a cui era stato assegnato il compito di garantire la sicurezza della navigazione in quel tratto di mare. Anche in precedenza l’imperatore Traiano, una volta annesso il regno dei Nabatei situato più a nord, volendo implementare la vita economica dell’Impero con un ulteriore sviluppo degli scambi commerciali, aveva posizionato una flotta, sempre nel Mar Rosso, per tenere sotto controllo militare la costa della penisola arabica nord occidentale.

 

È una conferma questa che attraverso quel mare in epoca romana era già in atto un importante traffico commerciale tra l’Oriente e il Mediterraneo e che da parte del potere centrale di Roma c’era la volontà di supportarlo tutelandolo da eventuali atti di pirateria allora non infrequenti. Infatti a sud, nella parte più stretta del Mar Rosso, tale pericolo aveva da tempo costretto le navi mercantili a dotarsi della presenza a bordo di arcieri per difendersi dai pirati che infestavano le coste frastagliate di quel tratto di mare dove essi trovavano rifugio. Quella iscrizione conferma quindi il perdurare di una politica imperiale romana mirante a mantenere sicura quell’importante via commerciale che raccordava Oriente e Occidente.

 

Ebbene le ragioni economiche che avevano spinto allora Roma ad assicurarsi il controllo di quel tratto di costa sono le medesime per cui proprio di questi tempi è in atto un pattugliamento in quelle medesime acque da parte di due contingenti militari internazionali al fine di contrastare le aggressioni ai convogli commerciali in transito da parte degli Houti, anche se questi oggi sono mossi da motivazioni prettamente politiche. Due sono le missioni dai nomi altisonanti: la “Prosperity Guardian” a guida statunitense e la seconda, denominata “Aspides”, a guida italiana, che da qualche mese pattugliano quelle acque. Da un lato la potenza di Paesi che rappresentano circa la metà dell’economia mondiale, dall’altro una organizzazione di alcune decine di migliaia di armati.

 

Ma ritorniamo all’epoca imperiale romana quando, non essendoci ancora un collegamento diretto via mare tra Mediterraneo e mar Rosso attraverso il canale di Suez, in Occidente l’approdo o la partenza per le imbarcazioni commerciali avveniva in due porti situati lungo la sponda africana del mar Rosso: Berenike il primo e, in misura minore successivamente, anche quello di Hyos Hormos. Il materiale archeologico ritrovato in loco ci svela la portata e l’intensità dei traffici commerciali indo-romani che risalivano quel mare alla volta di Alessandria e quindi del Mediterraneo.

 

Sono stati individuati a Berenike ormeggi per grandi navi tra le quali, si intuisce, ci dovevano essere anche delle tozze e ampie imbarcazioni dall’elevato pescaggio utilizzate per il trasporto degli elefanti africani tanto apprezzati dai Tolomei. Era quella una vivace città portuale in cui si ritrovavano egizi, greci, africani di Axum, arabi del sud, nabatei, indiani e persino alcuni commercianti provenienti da Ceylon. Si parlavano molte lingue: il greco era quello più frequentemente usato trovandosi il porto nell’ambito dell’Impero romano d’Oriente, ma si comunicava anche in arabo, latino, tamil e nella lingua africana di Axum.

 

L’uno e l’altro erano solo porti intermedi per cui le merci dovevano poi raggiungere la costa del Mediterraneo o da questa partire attraversando a dorso di cammello un tratto di deserto e giovandosi di un breve tratto del Nilo che lo collegava con la costa del Mediterraneo, vale a dire con Alessandria la cui prosperità si fondava proprio sul vivace scambio commerciale non solo con la Grecia, Roma e la Siria, ma proprio anche con i mercati asiatici ed etiopi. La zona era pattugliata da soldati romani che avevano allestito torri di guardia; c’erano cisterne per raccogliere le rare acque piovane; c’erano taverne per rifocillare uomini e cammelli nonché ambienti dove custodire le merci che erano molto spesso pregiate. Quelle provenienti dall’Oriente erano in buona parte beni molto costosi come le spezie, tra cui in particolare il pepe nero, che richiedeva il pagamento in oro, le sete, l’avorio, le perle, ma anche le pietre preziose.

 

Da Occidente invece giungevano sui mercati asiatici vino, proveniente dalla Siria, ma anche dall’Arabia e dalla Campania e olio d’oliva dall’alto Adriatico, così come frutta secca, mele, pesche, prugne e olive nonché stagno e rame per ottenere il bronzo. Tra i prodotti provenienti dall’Oriente le sostanze odorose e i profumi, in particolare l’incenso, si imposero su tutti. L’uso di quest’ultimo era inizialmente legato a pratiche religiose o rituali, ma successivamente fu dettato dalla volontà di soddisfacimento di esigenze igieniche o voluttuarie.

 

Sia ai Greci che ai Romani erano ben noti gli usi relativi alla cosmesi dei popoli orientali e la massiccia commercializzazione allora di tali sostanze in tutto il bacino del Mediterraneo è documentata da numerosi reperti archeologici, come piccoli aryballoi o vasetti di bucchero per unguenti e profumi, ritrovati in grande quantità. È noto che nel IV secolo a.C. lo stesso Alessandro Magno aveva sequestrato a Gaza grandi quantità di incenso e mirra per farne dono al suo maestro Aristotele. E ancora all’epoca di Antonino Pio e della “vexillatio” a cui abbiamo fatto cenno, questi prodotti erano molto commercializzati nell’area geografica che si affaccia sul cosiddetto Mare d’Arabia. Sono i primi segnali della futura rete marittima globale dei nostri giorni.

 

Quel traffico commerciale tra area mediterranea e mercati asiatici già a partire dal Principato di Ottaviano si era fatto progressivamente sempre più attivo, e ancor più lo diventerà proprio quando i naviganti cominceranno a saper sfruttare la forza propulsiva del monsoni, quei venti periodici che consentiranno loro di abbreviare il tempo del viaggio tanto da poter essere effettuato in un solo anno il percorso di andata e ritorno tra l’Europa e l’Oriente. Ciò era stato possibile grazie a un mercante greco esperto navigatore, di nome Hippalos, a cui si attribuisce il merito di aver capito e sfruttato per primo il comportamento dei monsoni e quindi di essersi felicemente avventurato attraverso l’Oceano Indiano verso la foce dell’Indo attorno al 20 d.C. Con il suo nome intere successive generazioni di marinai greci identificheranno il monsone spirante da sud-ovest.

 

Di quei primi viaggi resta a noi una strabiliante, particolareggiata, descrizione di un altro mercante greco-egiziano dal nome ignoto il quale, oltre a parlarci proprio di Hippalos, pragmaticamente ci offre vivide immagini di quel percorso, così come della fiorente rete commerciale già in atto allora tra i due mondi. Periplous tes Eruthras thalasses è il titolo originale di tale resoconto di viaggio dove con il termine “mar Eritreo” egli indicava quello che per noi oggi è l’Oceano Indiano.

 

L’intensificarsi di quei traffici commerciali tra Roma e l’Oriente si accompagnerà a un dinamismo produttivo che coinvolgerà le varie regioni dell’Impero. L’accumulo di ricchezza proveniente dagli scambi commerciali, comprovata dall’aumento del numero di cittadini romani appartenenti all’ordine equestre, susciterà però anche molte critiche rivolte da parte di alcuni intellettuali alla sopravvenuta mollezza di costumi di alcuni componenti della società romana. I loro rapidi arricchimenti infatti avevano portato a un mutamento dei costumi, alla ostentazione del proprio potere economico attraverso la preziosità dell’abbigliamento, la sontuosità delle dimore e la raffinatezza dei conviti che contrastava con l’antica sobrietà repubblicana.

 

All’iniziale scambio commerciale terrestre tra Oriente e Occidente praticato attraverso le vie carovaniere si era ora affiancato quell’altro modo più rapido di procurarsi le merci provenienti dai Paesi asiatici, anche se quelle prime vie commerciali continueranno comunque a esercitare ancora per molti secoli a venire il loro importante ruolo di tramite tra quei mercati. Ricordiamo che in età augustea i Romani avevano voluto inglobare nel loro territorio proprio quella grande città-emporio che era allora Palmira, adagiata nel deserto siriano, al fine di controllare l’importante via carovaniera che a essa faceva capo per imporre dazi sulle merci provenienti dalle regioni asiatiche. Allo stesso modo ricordiamo anche che già nel I secolo a.C. lo Yemen era collegato anche con Petra attraverso il porto romano di Leuke Kome, situato di fronte a Berenike sulla costa orientale del mar Rosso, dove veniva scaricato l’incenso per essere poi trasportato via terra.

 

Nei secoli a venire gli scambi commerciali tra Oriente e Occidente, come sappiamo, si amplieranno enormemente e molte altre tipologie di merci saranno oggetto di commercializzazione. Tramontate infine le vie carovaniere prevarrà il trasporto marittimo, che oggi è alla base della globalizzazione dei mercati a cui si è affiancato in misura minore il trasporto con i treni merci e con gli aerei cargo, soluzioni alternative provvidenziali nel momento del maggior pericolo per il passaggio delle navi-cargo nel mar Rosso.

 

Ancor oggi per la nostra Europa i mercati asiatici restano in assoluto i più importanti, ma nel frattempo questi ultimi hanno ampliato enormemente il loro raggio d’azione espandendosi anche negli altri continenti.

 

Purtroppo, però, abbiamo sperimentato come fenomeni esogeni quali pandemie, guerre e tensioni geopolitiche abbiano sempre avuto un impatto significativo a livello mondiale sul business e sulla logistica. Le diverse modalità di trasporto sono strettamente correlate tra loro e una qualsiasi tensione pur relativa a una sola modalità ha un riverbero immediato sulle altre. I disordini di carattere globale determinano sempre incertezza sui mercati.

 

Ci si chiede: ma oggi il comune interesse economico che ritenevamo elemento di stabilizzazione nei rapporti tra i vari Paesi è forse tramontato? Si renderà quindi necessaria una riconfigurazione della globalizzazione nei prossimi anni? In questo intricato gigantesco rapporto tra domanda e offerta di cui l’homo eoconomicus è stato l’artefice tali domande implicano una riflessione. Già nel 1976 in un suo saggio intitolato Il limite dell’utile, il filosofo francese George Battaille, confrontando la nostra civiltà attuale con le società primitive, confessava di aver riconosciuto in tutto il mondo moderno una sorta di cecità, forse per noi fatale, poiché legata al predominio indiscusso della categoria dell’utile a cui tutto veniva subordinato.

 

Oggi nell’età dell’abbondanza, secondo uno tra i maggiori esperti mondiali di scienze comportamentali, Michael Easter, noi siamo addirittura in trappola in quanto diventati ormai animali perennemente desideranti.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]