Pirati di ieri e di oggi
alle radici dell'homo oeconomicus
di Titti
Brunori Zezza
Il Mediterraneo per la sua
particolare conformazione geografica
nell’antichità fu importante mare di
scambi commerciali tra Europa, Asia
e Africa. Ora invece, in seguito
alla esplosiva espansione
dell’economia di mercato avvenuta a
livello globale negli ultimi
trent’anni, esso è diventato
piuttosto un mare di transito.
Ultimamente, però, vari fattori come
guerre, pandemie e cambiamento
climatico hanno inciso negativamente
su questa nostra economia
globalizzata.
Il Canale di Panama, importante
snodo del traffico commerciale
mondiale, ha visto qualche tempo fa’
ridotte le sue potenzialità a causa
di una siccità che ha costretto le
Autorità preposte a ridurre il
numero delle imbarcazioni in
transito. Anche le persistenti
tensioni tra l’isola di Taiwan e la
Cina, i frequenti scontri di
quest’ultima con i pescatori
filippini, il mar Nero infestato da
mine a causa del conflitto tra
Russia e Ucraina e da ultimo lo
scoppio delle ostilità tra lo Stato
d’Israele e la Palestina controllata
da Hamas stanno rendendo oggi
insicura la navigazione commerciale
in alcune aree cruciali del globo
terrestre.
In questi ultimi due secoli si è
rivelata di notevole importanza nel
favorire gli scambi commerciali
internazionali una via di trasporto
marittimo che collega i mercati
asiatici con quelli europei.
Privilegiata dalle enormi
navi-portacontainer che fanno la
spola tra Shanghai e Rotterdam essa
passa attraverso il Mar Rosso,
quindi il Mediterraneo e infine,
superato lo Stretto di Gibilterra e
risalito l’oceano Atlantico,
raggiunge il porto olandese di
destinazione. Ciò è divenuto
possibile grazie alla realizzazione
nella seconda metà del XIX secolo
del Canale di Suez raccordante il
Mediterraneo con una di quelle due
piccole insenature con cui il mar
Rosso si spinge verso nord mentre a
sud esso si apre invece sulle acque
dell’Oceano Indiano attraverso lo
Stretto di Bab el Mandeb.
Da più di un anno, lungo questa
rotta, dopo i ripetuti attacchi ai
convogli commerciali in transito da
parte di un gruppo armato
filo-iraniano sostenitore della
Palestina, quello degli Houthi, il
traffico di merci si è andato
contraendo sia per il conseguente
rialzo del costo del trasporto delle
merci dovuto al rincaro delle
polizze assicurative pagate da chi
vuole rischiare, come pure per la
scelta forzata di una rotta
alternativa molto più lunga, ma più
sicura, da parte di varie Compagnie
di navigazione. Queste ultime hanno
preferito, infatti, ripiegare su
quella che in passato fu la usuale
rotta di collegamento tra l’Europa e
l’Oriente che comporta la
circumnavigazione dell’Africa.
In veste di novelli pirati, quei
guerriglieri sono yemeniti che
vengono identificati oggi con il
nome del loro laeder, Abdulmalix al
Houty il quale ispirandosi allo
ayatollah iraniano Khomeini ha
mirato a imporre a tutto lo Yemen
una egemonia politica, religiosa e
culturale da parte del suo gruppo
ricercando una visibilità
internazionale oggi indubbiamente
raggiunta.
A lungo quel Paese è stato dilaniato
da una sanguinosa guerra civile a
seguito del colpo di Stato avvenuto
nel 1962 con cui venne rovesciato l’imamato
che governava da mille anni lo
Yemen. Allora la parte
settentrionale del Paese, roccaforte
degli Houti che si ritengono eredi
di quell’antico assetto politico, si
separò da quella del sud dove invece
si era formato un nuovo Governo che
da subito aveva ottenuto il
riconoscimento internazionale e il
sostegno degli Emirati arabi e dei
Sauditi, mentre gli Houti trovarono
sostegno politico e militare
nell’Iran di fede sciita come la
loro. Solo nel 1990 si è arrivati a
una riunificazione di quel Paese con
la fusione dei due territori sotto
forma di una repubblica
parlamentare, riconoscendo come
capitale dello Stato yemenita quella
che fu in un lontano passato la
splendida città di Sana’a situata
nel nord del Paese, mentre Aden, a
sud, affacciata sul golfo che ne ha
preso il nome, ne diventava il
centro economico. Ma proprio per il
fatto che quelle due componenti del
popolo yemenita hanno vissuto storie
diverse, anche dopo la sua
riunificazione, il Paese è stato a
più riprese, e ancora lo è, soggetto
a instabilità politica e ciò ha
inciso negativamente sulla sua
economia e sulle condizioni di vita
della popolazione attualmente molto
precarie.
Chi poteva immaginare che una
componente della società di un Paese
attualmente ancora molto arretrato
sarebbe stata in grado di
condizionare una rotta commerciale
internazionale così importante lungo
la quale transitavano sino a pochi
mesi fa migliaia di navi all’anno
corrispondenti a circa il 30% degli
scambi a livello mondiale?
Situato nella parte meridionale
della penisola arabica che
fronteggia il Corno d’Africa, al di
la dello Stretto di Bab el Mandeb
(in lingua araba significante “Porta
del lamento funebre” probabilmente
per le sue acque insidiose) lo Yemen
presenta lungo il mar Rosso e il
Golfo di Aden uno sviluppo costiero
di 2mila kilometri che racchiude un
territorio dalle caratteristiche
contrastanti: oasi dalla vegetazione
lussureggiante si sostituiscono a
roventi paesaggi desertici e a vasti
altipiani prospicienti il mare.
La particolare posizione di questo
Paese, al crocevia di intensi
traffici commerciali (e oggi anche
di importanti vie di quella nostra
comunicazione iperconnessa grazie ai
cavi adagiati sul fondo del mare
antistante la costa), ha fatto sì
che i suoi abitanti da sempre si
siano rapportati con molte culture:
quella africana, greca, romana,
indiana, cinese e persino
indonesiana. Il suo nome venne
associato all’inizio ai suoi alberi
di “Boswellia sacra” fornitori di
quell’incenso che occupava il primo
posto tra i prodotti aromatici più
commercializzati nel mondo antico a
cui per primi avevano aspirato anche
gli antichi Egizi.
A lungo lo Yemen fu associato anche
alla figura, più leggendaria che
reale, della regina di Saba la
quale, secondo il biblico Libro dei
Re (10.1-10) si recò a Gerusalemme
nell’anno 950 a.C. per incontrare
Salomone “con un numerosissimo
seguito e con cammelli carichi di
essenze profumate e grandi quantità
di oro e di pietre preziose da
offrire a quel re”. Non tutte quelle
mercanzie provenivano realmente da
quella terra, ma poiché i Sabei
erano addentro alla loro
commercializzazione e ne sembravano
i possessori, i Romani la
battezzarono Arabia Felix.
Quell’area geografica, oggetto oggi
di tanta attenzione da parte nostra,
risulta dunque aver rivestito anche
in un periodo assai lontano, quando
il Canale di Suez era ancora al di
là da venire, un’importanza
commerciale notevole.
Riandiamo allora per un momento con
il pensiero proprio a quel contesto
geografico considerando un
eccezionale ritrovamento avvenuto
qualche tempo fa: una iscrizione
latina risalente al periodo
imperiale romano, più precisamente
al II secolo d.C. È un reperto
archeologico individuato
nell’arcipelago delle isole Farasan
che fronteggiano nel mar Rosso la
costa dell’estremo sud dell’Arabia
Saudita, pressoché al confine con lo
Yemen.
Si tratta di una “vexillatio”,
ovvero della consacrazione al
proprio Imperatore di un nuovo
accampamento appena costruito da
parte di un contingente militare
romano. La data riportata è il 144
d.C e l’imperatore a cui si fa
riferimento è dunque Antonino Pio.
Dediche di questo tipo non
risultavano inusuali allora. Ciò che
invece colpisce di questa è che il
dedicante sia un distaccamento
militare della famosa II Legione
Traiana allora di stanza in Egitto,
dunque a più di mille chilometri di
distanza da quell’arcipelago, a cui
era stato assegnato il compito di
garantire la sicurezza della
navigazione in quel tratto di mare.
Anche in precedenza l’imperatore
Traiano, una volta annesso il regno
dei Nabatei situato più a nord,
volendo implementare la vita
economica dell’Impero con un
ulteriore sviluppo degli scambi
commerciali, aveva posizionato una
flotta, sempre nel Mar Rosso, per
tenere sotto controllo militare la
costa della penisola arabica nord
occidentale.
È una conferma questa che attraverso
quel mare in epoca romana era già in
atto un importante traffico
commerciale tra l’Oriente e il
Mediterraneo e che da parte del
potere centrale di Roma c’era la
volontà di supportarlo tutelandolo
da eventuali atti di pirateria
allora non infrequenti. Infatti a
sud, nella parte più stretta del Mar
Rosso, tale pericolo aveva da tempo
costretto le navi mercantili a
dotarsi della presenza a bordo di
arcieri per difendersi dai pirati
che infestavano le coste
frastagliate di quel tratto di mare
dove essi trovavano rifugio. Quella
iscrizione conferma quindi il
perdurare di una politica imperiale
romana mirante a mantenere sicura
quell’importante via commerciale che
raccordava Oriente e Occidente.
Ebbene le ragioni economiche che
avevano spinto allora Roma ad
assicurarsi il controllo di quel
tratto di costa sono le medesime per
cui proprio di questi tempi è in
atto un pattugliamento in quelle
medesime acque da parte di due
contingenti militari internazionali
al fine di contrastare le
aggressioni ai convogli commerciali
in transito da parte degli Houti,
anche se questi oggi sono mossi da
motivazioni prettamente politiche.
Due sono le missioni dai nomi
altisonanti: la “Prosperity Guardian”
a guida statunitense e la seconda,
denominata “Aspides”, a guida
italiana, che da qualche mese
pattugliano quelle acque. Da un lato
la potenza di Paesi che
rappresentano circa la metà
dell’economia mondiale, dall’altro
una organizzazione di alcune decine
di migliaia di armati.
Ma ritorniamo all’epoca imperiale
romana quando, non essendoci ancora
un collegamento diretto via mare tra
Mediterraneo e mar Rosso attraverso
il canale di Suez, in Occidente
l’approdo o la partenza per le
imbarcazioni commerciali avveniva in
due porti situati lungo la sponda
africana del mar Rosso: Berenike il
primo e, in misura minore
successivamente, anche quello di
Hyos Hormos. Il materiale
archeologico ritrovato in loco ci
svela la portata e l’intensità dei
traffici commerciali indo-romani che
risalivano quel mare alla volta di
Alessandria e quindi del
Mediterraneo.
Sono stati individuati a Berenike
ormeggi per grandi navi tra le
quali, si intuisce, ci dovevano
essere anche delle tozze e ampie
imbarcazioni dall’elevato pescaggio
utilizzate per il trasporto degli
elefanti africani tanto apprezzati
dai Tolomei. Era quella una vivace
città portuale in cui si ritrovavano
egizi, greci, africani di Axum,
arabi del sud, nabatei, indiani e
persino alcuni commercianti
provenienti da Ceylon. Si parlavano
molte lingue: il greco era quello
più frequentemente usato trovandosi
il porto nell’ambito dell’Impero
romano d’Oriente, ma si comunicava
anche in arabo, latino, tamil e
nella lingua africana di Axum.
L’uno e l’altro erano solo porti
intermedi per cui le merci dovevano
poi raggiungere la costa del
Mediterraneo o da questa partire
attraversando a dorso di cammello un
tratto di deserto e giovandosi di un
breve tratto del Nilo che lo
collegava con la costa del
Mediterraneo, vale a dire con
Alessandria la cui prosperità si
fondava proprio sul vivace scambio
commerciale non solo con la Grecia,
Roma e la Siria, ma proprio anche
con i mercati asiatici ed etiopi. La
zona era pattugliata da soldati
romani che avevano allestito torri
di guardia; c’erano cisterne per
raccogliere le rare acque piovane;
c’erano taverne per rifocillare
uomini e cammelli nonché ambienti
dove custodire le merci che erano
molto spesso pregiate. Quelle
provenienti dall’Oriente erano in
buona parte beni molto costosi come
le spezie, tra cui in particolare il
pepe nero, che richiedeva il
pagamento in oro, le sete, l’avorio,
le perle, ma anche le pietre
preziose.
Da Occidente invece giungevano sui
mercati asiatici vino, proveniente
dalla Siria, ma anche dall’Arabia e
dalla Campania e olio d’oliva
dall’alto Adriatico, così come
frutta secca, mele, pesche, prugne e
olive nonché stagno e rame per
ottenere il bronzo. Tra i prodotti
provenienti dall’Oriente le sostanze
odorose e i profumi, in particolare
l’incenso, si imposero su tutti.
L’uso di quest’ultimo era
inizialmente legato a pratiche
religiose o rituali, ma
successivamente fu dettato dalla
volontà di soddisfacimento di
esigenze igieniche o voluttuarie.
Sia ai Greci che ai Romani erano ben
noti gli usi relativi alla cosmesi
dei popoli orientali e la massiccia
commercializzazione allora di tali
sostanze in tutto il bacino del
Mediterraneo è documentata da
numerosi reperti archeologici, come
piccoli aryballoi o vasetti di
bucchero per unguenti e profumi,
ritrovati in grande quantità. È noto
che nel IV secolo a.C. lo stesso
Alessandro Magno aveva sequestrato a
Gaza grandi quantità di incenso e
mirra per farne dono al suo maestro
Aristotele. E ancora all’epoca di
Antonino Pio e della “vexillatio” a
cui abbiamo fatto cenno, questi
prodotti erano molto
commercializzati nell’area
geografica che si affaccia sul
cosiddetto Mare d’Arabia. Sono i
primi segnali della futura rete
marittima globale dei nostri giorni.
Quel traffico commerciale tra area
mediterranea e mercati asiatici già
a partire dal Principato di
Ottaviano si era fatto
progressivamente sempre più attivo,
e ancor più lo diventerà proprio
quando i naviganti cominceranno a
saper sfruttare la forza propulsiva
del monsoni, quei venti periodici
che consentiranno loro di abbreviare
il tempo del viaggio tanto da poter
essere effettuato in un solo anno il
percorso di andata e ritorno tra
l’Europa e l’Oriente. Ciò era stato
possibile grazie a un mercante greco
esperto navigatore, di nome Hippalos,
a cui si attribuisce il merito di
aver capito e sfruttato per primo il
comportamento dei monsoni e quindi
di essersi felicemente avventurato
attraverso l’Oceano Indiano verso la
foce dell’Indo attorno al 20 d.C.
Con il suo nome intere successive
generazioni di marinai greci
identificheranno il monsone spirante
da sud-ovest.
Di quei primi viaggi resta a noi una
strabiliante, particolareggiata,
descrizione di un altro mercante
greco-egiziano dal nome ignoto il
quale, oltre a parlarci proprio di
Hippalos, pragmaticamente ci offre
vivide immagini di quel percorso,
così come della fiorente rete
commerciale già in atto allora tra i
due mondi. Periplous tes Eruthras
thalasses è il titolo originale
di tale resoconto di viaggio dove
con il termine “mar Eritreo” egli
indicava quello che per noi oggi è
l’Oceano Indiano.
L’intensificarsi di quei traffici
commerciali tra Roma e l’Oriente si
accompagnerà a un dinamismo
produttivo che coinvolgerà le varie
regioni dell’Impero. L’accumulo di
ricchezza proveniente dagli scambi
commerciali, comprovata dall’aumento
del numero di cittadini romani
appartenenti all’ordine equestre,
susciterà però anche molte critiche
rivolte da parte di alcuni
intellettuali alla sopravvenuta
mollezza di costumi di alcuni
componenti della società romana. I
loro rapidi arricchimenti infatti
avevano portato a un mutamento dei
costumi, alla ostentazione del
proprio potere economico attraverso
la preziosità dell’abbigliamento, la
sontuosità delle dimore e la
raffinatezza dei conviti che
contrastava con l’antica sobrietà
repubblicana.
All’iniziale scambio commerciale
terrestre tra Oriente e Occidente
praticato attraverso le vie
carovaniere si era ora affiancato
quell’altro modo più rapido di
procurarsi le merci provenienti dai
Paesi asiatici, anche se quelle
prime vie commerciali continueranno
comunque a esercitare ancora per
molti secoli a venire il loro
importante ruolo di tramite tra quei
mercati. Ricordiamo che in età
augustea i Romani avevano voluto
inglobare nel loro territorio
proprio quella grande città-emporio
che era allora Palmira, adagiata nel
deserto siriano, al fine di
controllare l’importante via
carovaniera che a essa faceva capo
per imporre dazi sulle merci
provenienti dalle regioni asiatiche.
Allo stesso modo ricordiamo anche
che già nel I secolo a.C. lo Yemen
era collegato anche con Petra
attraverso il porto romano di Leuke
Kome, situato di fronte a Berenike
sulla costa orientale del mar Rosso,
dove veniva scaricato l’incenso per
essere poi trasportato via terra.
Nei secoli a venire gli scambi
commerciali tra Oriente e Occidente,
come sappiamo, si amplieranno
enormemente e molte altre tipologie
di merci saranno oggetto di
commercializzazione. Tramontate
infine le vie carovaniere prevarrà
il trasporto marittimo, che oggi è
alla base della globalizzazione dei
mercati a cui si è affiancato in
misura minore il trasporto con i
treni merci e con gli aerei cargo,
soluzioni alternative provvidenziali
nel momento del maggior pericolo per
il passaggio delle navi-cargo nel
mar Rosso.
Ancor oggi per la nostra Europa i
mercati asiatici restano in assoluto
i più importanti, ma nel frattempo
questi ultimi hanno ampliato
enormemente il loro raggio d’azione
espandendosi anche negli altri
continenti.
Purtroppo, però, abbiamo
sperimentato come fenomeni esogeni
quali pandemie, guerre e tensioni
geopolitiche abbiano sempre avuto un
impatto significativo a livello
mondiale sul business e sulla
logistica. Le diverse modalità di
trasporto sono strettamente
correlate tra loro e una qualsiasi
tensione pur relativa a una sola
modalità ha un riverbero immediato
sulle altre. I disordini di
carattere globale determinano sempre
incertezza sui mercati.
Ci si chiede: ma oggi il comune
interesse economico che ritenevamo
elemento di stabilizzazione nei
rapporti tra i vari Paesi è forse
tramontato? Si renderà quindi
necessaria una riconfigurazione
della globalizzazione nei prossimi
anni? In questo intricato gigantesco
rapporto tra domanda e offerta di
cui l’homo eoconomicus è
stato l’artefice tali domande
implicano una riflessione. Già nel
1976 in un suo saggio intitolato
Il limite dell’utile, il
filosofo francese George Battaille,
confrontando la nostra civiltà
attuale con le società primitive,
confessava di aver riconosciuto in
tutto il mondo moderno una sorta di
cecità, forse per noi fatale, poiché
legata al predominio indiscusso
della categoria dell’utile a cui
tutto veniva subordinato.
Oggi nell’età dell’abbondanza,
secondo uno tra i maggiori esperti
mondiali di scienze comportamentali,
Michael Easter, noi siamo
addirittura in trappola in quanto
diventati ormai animali perennemente
desideranti.