[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


filosofia & religione

LA TOLLERANZA NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA

PIERRE BAYLE / PARTE II

di Simonetta Satornino

 

Bayle non lo si può considerare scettico in modo totalizzante, poiché per tutta la sua esistenza, manifestò, d’essere pieno di convinzione; non apparve vittima del dubbio o preda delle incertezze, ma ebbe la convinzione che ogni uomo avesse bisogno di certezze razionali, non di dogmi e che oltre il reticolo dell’odio confessionale esistesse una pace filosofica che era fonte di tolleranza e di giustizia sia in campo civile che religioso.

 

Il suo fu uno scetticismo produttivo, interrogante e coinvolgente, che lo indusse a sottolineare la funzione apologetica dello stesso, quale rinuncia alla ragione per accogliere una fede nuda, incomprensibile e indimostrabile. In concreto, egli presentò il dubbio come un atteggiamento di cautela e di controllo che deve costantemente accompagnare la credenza, assegnandole un grado di certezza solo probabile e provvisorio, dunque sempre rimodulabile. Il valore di verità o di realtà che gli scettici attribuiscono a questa loro persuasione non è identico a quello cui si riferiscono i dogmatici: non deriva cioè da un criterio infallibile, come l’evidenza cartesiana, ma da una necessità soggettiva e istintiva.

 

Anche in campo teologico, accanto al fideismo estremo emerso in alcuni momenti, trapela nei testi di Bayle una forma di scepsi più moderata, in cui egli attribuì alle credenze religiose lo statuto di opinioni solo ipotetiche, la cui funzione è di salvare o a dar ragione dei fenomeni tanto naturali quanto civili, con la conseguenza esplicita, che tutti i sistemi teologici appaiono altrettanto possibili, se paragonati alla saggezza infinita che ha mezzi infiniti per manifestarsi.

 

Lo scetticismo resta comunque nemico dell’affermativo categorico. Dopotutto la sospensione del giudizio è impraticabile in vista delle scelte esistenziali, poiché il dubbio è una condizione provvisoria. Per contro Bayle non ebbe tentennamenti su quale confessione religiosa seguire, ma il suo scetticismo riguardava più un aspetto del pensiero che della fede.

 

I confini che Bayle traccia tra fede e ragione furono impregnati di rigore: la ragione non può pretendere di criticare la fede, pena il precipitare essa stessa nel pirronismo; ma la fede, dal canto suo, non può strumentalizzare la ragione, pena il cadere nell’incredulità.

 

Possiamo affermare, dunque, che l’idea di Dio non poteva essere fissata in un contenuto di tipo dogmatico già prefissato, ma andava colto nella sua essenza pura legata alle facoltà intellettive di ogni essere umano. Emerge, infine, una chiara distinzione tra fede e ragione; in cui i dogmi appaiono da un lato incommensurabili e dall’altro vanno vagliati criticamente per mostrarne le possibili contraddittorietà.

 

L’argomentazione di Pierre Bayle, riguardo al tema della tolleranza, non si struttura come un’analisi di testi biblici, ma si fonda sulla centralità accordata alla coscienza individuale, sia in ambito morale che in ambito teoretico.

 

Egli pose l’accento sull’aspetto formale dell’agire morale, sottolineando il valore assoluto dell’intenzione: colui che agisce secondo coscienza pone a base della sua azione la cosiddetta regola d’oro, «quello per cui si deve agire secondo coscienza e quello per cui non si deve fare agli altri ciò che non vorremmo ci fosse fatto» che deriva da Dio stesso; disobbedendo ad essa l’uomo si pone contro Dio e disprezza la sua legge.

 

La riflessione di Bayle sulla tolleranza poggia su due cardini: da un lato, la ricerca storica, che mostra le infinite fratture causate dal fanatismo religioso; dall’altro, il rifiuto, su base razionalistica, di accettare, nell’ambito dei fenomeni che concernono lesperienza umana, le imposizioni della rivelazione.

 

Lo scetticismo, che in campo teologico era preambulum fidei, si era affermato come rifiuto della sedicente conoscenza razionale di Dio e della Rivelazione, piuttosto che come vero e proprio rifiuto del mondo dei fatti umani. E la morale è per Bayle, anch’essa, un fatto puramente umano.

 

In Pensieri diversi, Bayle aveva osservato che il riferimento ai Vangeli non aveva impedito ai governi e alle chiese cristiane di macchiarsi dei più deplorevoli delitti. È, quindi, evidente che la morale non dipenda dalla confessione religiosa, poiché gli antichi stati pagani non furono certamente peggiori degli stati cristiani esistenti nella storia, e che uno stato governato da atei non si differenzierebbe da uno fondato su un qualsiasi credo. Pertanto, possiamo dire che il comportamento è influenzato, in massima parte, dalle passioni e dall’abitudine, ma non certamente dalla confessione religiosa.

 

Secondo Bayle, non può esistere l’obbligo di compiere crimini in nome di un credo, dunque il senso letterale di “costringili ad entrare” è contrario ai dettami del Vangelo che invece è una regola verificata sulla base delle idee più rette della ragione. La tolleranza, oltre che lunico mezzo per evitare gli orrori di cui si è macchiata la storia, è vista anche come un dovere morale. In Bayle emergeva la necessità di rispondere con fiducia alla propria coscienza, allontanandosi anche dai propri corregionali, ma mai abbandonando la fiducia in Dio e nella sua Provvidenza.

 

Un vissuto che sovente s’incrociava con il corso della storia, la condizione disastrosa degli ugonotti francesi oppressi da Luigi XIV si incrociava con la vita familiare di Bayle. Fece della lotta contro l’intolleranza una vera ragione esistenziale, tanto da dedicare ad essa la stesura del Commentario. Lotta condotta su due fronti differenti: in prima istanza contro le angherie dei cattolici, operate nei confronti dei riformati; e in seconda istanza contro i teologi riformati che agirono con atteggiamento fazioso; nonostante ciò mantenne sempre un atteggiamento di distacco e non avvalorando nessuna delle correnti in voga in quel periodo.

 

La tesi della tolleranza prende spunto dal versetto del Vangelo “costringili ad entrare”, usate dalla chiesa cristiana e dai sovrani a sostegno delle persecuzioni, ma che Bayle nel suo Commentario, attraverso «otto possibili obiezioni contro la tolleranza, discusse passo per passo ciò che aveva detto SantAgostino». Argomento ripreso ed approfondito successivamente anche nel Supplemento al Commentario per sottolineare che la sua non era battaglia affrontata in difesa dei suoi corregionali, quanto piuttosto in difesa di tutto il genere umano al di là di ogni credenza professata e per rivendicare la libertà di pensiero. Con la convinzione radicata che se ciascuno esercitasse la tolleranza regnerebbe la concordia.

 

Ogni credo merita tolleranza, ma il desiderio di tolleranza forse è un progetto utopico, che tutt’oggi va perseguito. Bayle parve avvalorare la tesi dello scetticismo, ma nella realtà voleva semplicemente collocare la verità in una prospettiva di autenticità dettata dalla coscienza umana. Dall’ambito dell’autenticità erano bandite le costrizioni, i pregiudizi, le menzogne, linganno. Pertanto, il ricorso al concetto di ubbidienza politica per costringere i reietti alla conversione non era ammissibile.

 

La violenza era produttrice – proprio perché incuteva timore – di conversioni esteriori e mai interiori, portando la stessa religione a una dimensione di non autenticità. La religione doveva obbedire a un processo di persuasione interiore dell’anima a Dio e se ciò non avveniva non vi era sincerità; vivere secondo la fede è un viaggiare verso Dio, «per cui la difesa della libertà religiosa sidentifica qui con la difesa del diritto ad essere se stessi in modo autentico».

 

La logica della tolleranza, per il filosofo di Rotterdam, era di grande importanza, poiché essa andava difesa con forza ideologica anche dalla Chiesa cattolica che agisce tramite la costrizione dettata dal ruolo primario che occupa all’interno della storia. La difesa della tolleranza, per Bayle, era compatibile con una politica di tipo assolutistico, che combatte l’ortodossia e le ingerenze clericali. Se la tolleranza appariva agli occhi di alcuni protestanti come il presupposto necessario per il vivere civile, Bayle maturava sempre più l’idea che le ingerenze politiche in campo religioso e viceversa erano pericolose.

 

Nonostante siano trascorsi tre secoli dalla sua morte, Bayle – ricco di contraddizioni – appare oggi più che mai come il teorico più fecondo nel campo della tolleranza. Egli giocò un ruolo primario offrendo ancora oggi una chiave di lettura illuminante e dissonante: «Chi legge oggi Bayle […] non troverà certo una teoria pronta all’uso per affrontare le sfide dei nostri giorni, ma può trovare – se vuole – tutta la ricchezza e la passione di una grande battaglia intellettuale, dai cui stessi limiti e contraddizioni c’è ancora molto da imparare».

 

La lettura delle opere di Pierre Bayle può condurci per mano lungo un cammino di introspezione umano e spirituale. Egli si “concede” attraverso i suoi interrogativi umani e filosofici, facendosi apprezzare per il suo scetticismo ed i suoi dubbi, ma più di ogni altra per la sua apertura all’altro, per la proposta di un’azione di tolleranza concessa a ogni individuo.

 

Egli ci insegna a non sentirci detentori della verità, perché essa abita spesso a metà strada tra me e l’altro.

Ci insegna che la storia di ogni tempo ci appartiene come singoli e come cittadini del mondo.

Ci insegna che anche l’ateo merita la stessa tolleranza di chi ha avuto il dono della fede.

Ci insegna che la diffidenza e l’intolleranza sono sinonimo di ghetto e generatrici di odio.

Ci insegna che l’altro da noi – con le sue caratteristiche umane, caratteriali e religiose – è una ricchezza e mai un impoverimento.

Ci insegna che le scelte personali devono includere sempre il rispetto per la vita altrui.

Ci insegna che non ci può essere costrizione o imposizione per omologarci a un modello ritenuto corretto.

 

Ci insegna che la libertà è il bene più prezioso: di pensiero, di espressione, di parola, di fede e anche fisica; ma per avere la garanzia della libertà non dobbiamo mai smettere di perseguire la tolleranza.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]