[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 160 / APRILE 2021 (CXCI)


arte

tra stile e devozione

perino del vaga nella cappella del santissimo crocifisso

di Eleonora Zagaria

 

Questo lavoro si occupa degli affreschi eseguiti dall’artista fiorentino Perino del Vaga, tra il 1523 e il 1539 circa, per la cappella del Santissimo Crocifisso, su commissione dell’omonima Confraternita, collocati all’interno della chiesa di San Marcello al Corso a Roma. In particolare, si tenterà di illustrare i molteplici fattori che indussero il pittore a modificare in corso d’opera il programma decorativo generale. Egli, infatti, apportò alcune variazioni iconografiche rilevanti tanto sul piano stilistico quanto su quello iconografico.

 

Per comprendere meglio il contesto in cui si inserisce questa vicenda, è opportuno dapprima fornire delle coordinate storiche generali. La Confraternita del Santissimo Crocifisso fu fondata a Roma nel 1526, quando il papa Clemente VII approvò ufficialmente gli statuti dell’ordine. L’associazione nacque con la precisa missione di curare la devozione del Crocifisso miracoloso, da sempre custodito nella chiesa romana di San Marcello al Corso. Si tratta, infatti, di una scultura lignea quattrocentesca raffigurante Cristo sulla croce, che venne miracolosamente rinvenuta intatta tra le rovine della chiesa, che venne distrutta da un terribile incendio nella notte tra il 22 e il 23 maggio del 1519. Ma i suoi prodigi non si esaurirono così.

 

Nel 1522 il cardinale Guglielmo Raimondo de Vich, titolare di San Marcello al Corso, decise di condurla in processione verso San Pietro per scongiurare la fine della terribile ondata di peste che stava affliggendo Roma. La cessazione immediata dell’epidemia confermò la natura miracolosa del Crocifisso e fece crescere di molto la devozione da parte dei fedeli romani. Tale culto si conserva fino ai nostri giorni, poiché è lo stesso Crocifisso davanti al quale Papa Francesco ha pregato in diretta televisiva nel marzo 2020 per invocare la fine della pandemia.

 

Per ricostruire la chiesa distrutta e onorare degnamente la prestigiosa reliquia, i padri Serviti di San Marcello si occuparono da subito di commissionare interventi di abbellimento e decorazione dell’intero edificio, coinvolgendo numerosi artisti. Uno di questi fu proprio il pittore fiorentino Perino del Vaga, illustre rappresentante della maniera tosco-romana di quegli anni, e apprezzato disegnatore e decoratore.

 

Come testimonia il Vasari nelle Vite, egli ricevette dapprima l’incarico di decorare un’altra cappella della medesima chiesa, per valorizzare un’icona mariana, anch’essa salvatasi dall’incendio del 1519. Tuttavia, queste pitture furono distrutte in breve tempo, per una causa che ancora oggi resta ignota, e di esse non rimane più traccia. Comunque, il fiorentino venne richiamato dalla Confraternita poco dopo il 1523, in seguito a un breve soggiorno presso la sua città natale.

 

 

Cappella del Santissimo Crocifisso, San Marcello al Corso, Roma

 

Dall’analisi dei diversi contratti pervenuti, è possibile ottenere una ricostruzione della commissione. Infatti, un primo documento risale al 6 febbraio del 1525 quando “la venerabile società del Crocifisso” precisa che il pittore aveva già avviato un progetto di decorazione, ma che i lavori si erano interrotti poco dopo per problemi finanziari, («iam incepta est pintari et hornari magistrum Perinum de Bonacorsi pictorem florentinum ‘propter impotentiam societati», così si legge nel contratto conservato presso l’Archivio dell’Arciconfraternita del Crocifisso, Ind. XIII, mensis februari die VI 1525, Instrumentum super pictura Capelle pro Societate Crucifixi, che viene riportato interamente da Elena Parma Armani nell’Appendice della monografia del 1986 Perin del Vaga: l’anello mancante-Studi sul Manierismo).

 

I lavori subirono ulteriori rimandi, poiché Perino mise mano alle pitture solamente poco prima di fuggire dal Sacco di Roma del 1527, eseguendo però, soltanto una piccola porzione della volta. La decorazione venne finalmente ripresa al suo rientro a Roma nel 1539 e definitivamente portata a termine dal suo allievo e collaboratore Daniele da Volterra entro il 1543.

 

Un’idea dell’iniziale progetto concepito da Perino, si può riscontrare in un disegno conservato a Berlino (Staatliche Museum Kupferlichekabinett n. 22004), eseguito a penna, inchiostro nero e acquerello marrone. Esso presenta un riquadro centrale con Dio Padre Benedicente e agli angoli i quattro Evangelisti.

 

Figura 2

Perino del Vaga, Dio Padre e i quattro Evangelisti,

Berlino, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett, inv. 2204.

Riprodotto in E. Parma Armani, Perin del Vaga: tra Raffaello e Michelangelo, Electa, Milano 2001, p. 165

 

Questo studio lascia comprendere che si tratta di un’impostazione tradizionale della decorazione di una volta, con un’architettura classica sullo sfondo che accoglie monumentali figure panneggiate. Infatti, l’Eterno emerge dalla finta apertura centrale, come se stesse incedendo verso l’interno stesso della cappella, sostenuto e trasportato da un piccolo gruppo di dense nubi. Presenta i tradizionali attributi del volto anziano e barbuto, e le intrecciate pieghe della veste e del mantello accompagnano ed enfatizzano i suoi movimenti.

 

Nella mano sinistra regge un libro e con la destra impartisce la benedizione. Agli angoli vi sono i quattro Evangelisti assisi in trono, proprio come i Profeti michelangioleschi della volta della cappella Sistina. Già in questo disegno sono disposti nelle due combinazioni di coppie che poi si ritroveranno negli affreschi finali. Nel lato destro, (che risulta più difficilmente leggibile per la presenza di alcune macchie sul foglio), vi sono il San Marco e il San Giovanni, mentre a sinistra San Matteo e San Luca.

 

Tutti e quattro sono affiancati dal simbolo del Tetramorfo che li identifica, e al centro di ogni coppia si trovano due puttini disposti attorno a un candeliere. Nell’insieme la visione risulta unificata dalla figura di Dio Padre, il fulcro attorno a cui gli Evangelisti conversano. Secondo lo studioso Oberhuber, (nel suo articolo Observation on Perino del Vaga as a Draughtsman, del 1966), questo disegno rappresenta una testimonianza importante perché fa capire come Perino in quegli anni fosse già in grado di rielaborare spunti diversi in maniera personale e nuova. Infatti, è evidente l’influenza degli affreschi realizzati da Raffaello nella cappella Chigi dell’altra chiesa romana di Santa Maria della Pace, soprattutto nella posa dell’angelo e del San Matteo, così concentrati e ispirati nel dialogo.

 

Figura 3

Raffaello, Sibille e Angeli, Cappella Chigi, Santa Maria della Pace, Roma

 

L’angelo, in particolare, con le ali sollevate e il braccio piegato, riprende quello al centro dell’arcone della cappella Chigi che tiene in mano la tavoletta su cui sta scrivendo la Sibilla Persica. Nel San Luca, invece, viene recuperato il dettaglio del libro in scorcio appoggiato sulle ginocchia che ritroviamo nella Sibilla Tiburtina del Sanzio.

 

 

Figure 4 

Confronto tra i due angeli

 

 

 

Figure 5

Confronto tra il San Luca e la Sibilla Tiburtina

 

Inoltre, l’impianto complessivo, che presenta quattro figure disposte attorno a un riquadro principale, risente in maniera determinante dell’impostazione delle Storie della Genesi che compongono la volta della Sistina di Michelangelo. Perino, dunque, mantiene la grazia e l’equilibrio dello stile del Raffaello fiorentino, fondendoli con le novità del Raffaello romano, e li ricombina, a loro volta, come filtro per mediare la forza e la drammaticità del Buonarroti. Un meccanismo stilistico che il pittore saprà sviluppare nel corso dei suoi successivi soggiorni romani, arrivando a raffinatissimi esiti di eleganza e varietà.

 

Credo che la questione più rilevante sia, dunque, indagare le ragioni per cui questo primo progetto, elaborato e compiuto, subì cospicue modifiche nel corso della realizzazione degli affreschi. Alcuni dati importanti sono forniti dagli stessi contratti, come già accennato in precedenza, perché nell’aprile del 1539 fu la stessa Confraternita a stabilire che la decorazione della volta dovesse essere divisa in tre riquadri principali: quello al centro con la Creazione di Eva, e i due laterali, che scendono verso le pareti della cappella, con i quattro Evangelisti.

 

Una semplificazione non indifferente rispetto alla decorazione unitaria e più audace dell’intera superficie che era prevista nel disegno di Berlino. Quindi, un primo fattore che condusse a questo cambiamento fu sicuramente la questione pratica degli eccessivi ritardi accumulati nel corso dei lavori. Infatti, la Compagnia aveva urgenza di terminare al più presto la decorazione per poter svolgere al meglio i vari riti e cerimonie legate al culto della scultura.

 

Un secondo elemento fondamentale da tenere in considerazione, e che va ben oltre la dimensione esecutiva, è che la decisione di cambiare l’iconografia da un generico Dio Padre Benedicente a una più specifica Creazione di Eva, provenne direttamente dalla stessa Confraternita. Per analizzare la faccenda è importante seguire le ricerche di Antonio Vannugli, (pubblicate nel suo contributo del 1984, L’arciconfraternita del SS. Crocifisso e la sua cappella in San Marcello), che ha spiegato come le novità degli affreschi della Sistina di Michelangelo non furono soltanto un modello imprescindibile per l’operato artistico di Perino, ma catturarono direttamente l’interesse della stessa Congregazione, che ne comprese da subito l’importanza storica, tanto da volerne un eloquente riferimento da porre in ravvicinato dialogo con il loro prodigioso Crocifisso.

 

Sin dai primi tempi del Cristianesimo, esiste una lunga tradizione di studi teologici che associa l’episodio della Creazione di Eva alla nascita della Chiesa. Alla base del collegamento tra le due scene vi è l’identificazione di Cristo come secondo Adamo, enunciata da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati», (I Cor. XV, 22). Secondo la dottrina della concordanza tra Vecchio e Nuovo Testamento, la nascita di Eva dalla costola di Adamo sarebbe la prefigurazione della miracolosa fuoriuscita di sangue e acqua dal costato di Cristo, provocata dal colpo di lancia del centurione poco dopo la Crocifissione, come è narrato nel Vangelo: «Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua», (Giovanni 19, 33-34).

 

Tale episodio, a sua volta, simboleggia la nascita della Chiesa stessa, e da qui proviene, appunto, il parallelismo tra Eva e la Chiesa. Questa corrispondenza teologica Eva- Ecclesia giunse nel mondo delle arti figurative a partire dal XIII secolo, quando nelle illustrazioni della Bible moralisèe e della Biblia pauperum, si verificò l’esplicito affiancamento delle due scene. Mentre nella prima tipologia di Bibbie alla nascita della Progenitrice si affianca la rappresentazione allegorica della Chiesa come figura femminile incoronata che fuoriesce dal fianco di Cristo crocifisso, nella seconda alla Creazione di Eva si accosta il primo livello di significato, ovvero la prefigurazione della prodigiosa perdita di acqua e sangue dal costato di Cristo, con la raffigurazione dell’episodio avvenuto sul Golgota.

 

Figura 6

Michelangelo, Creazione di Eva, volta della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano

 

Riguardo all’ambito dell’analisi stilistica, invece, il modello imprescindibile per Perino fu, appunto, la Creazione di Eva di Michelangelo. Sappiamo per certo che egli si recò più volte a osservare e studiare gli affreschi del Buonarroti, poiché si conservano alcuni disegni di sua mano in cui ne riproduce vari schemi e figure.

 

Grazie agli studi di Hartt, (Lignum vitae in medio Paradisi. The stanza d’Heliodoro and the Sistine Ceiling del 1950) si è compreso chi ebbe un ruolo decisivo nell’ideazione del programma iconografico della cappella Sistina, accompagnando e guidando i lavori del Buonarroti.

 

 Figura 7

Perino del Vaga, Schizzi dalla volta della cappella Sistina,

Firenze, Uffizi, n. 16 E.

(Riprodotto in Davidson B., Pouncey Chiarini F., Mostra di disegni di Perino del Vaga e la sua cerchia,

Olschki, Firenze 1966, pp. 19-20)

 

Si tratta di Marco Vigerio della Rovere, cardinale e teologo francescano, e consigliere di Giulio II, che nel 1507 pubblicò il trattato «Decachordum Christianum». In esso spiega i numerosi collegamenti, allegorie e rimandi scritturali. In particolare, in un passo l’autore si sofferma sulla citata corrispondenza Eva-Ecclesia, con queste parole: «De latere primi Adae formata est Eva. Et de latere regis Messiae cum fuerit exaltatus in cruce. filiae tuae omnes ecllesiae credentium populorum: quae de sinagoga quasi de matre nascuntur tunc surgent quando fluentibus aqua et sanguine de latere quod lancea miles aperiet indicabatur redemptionem humani generis esse completa».

 

Non è un caso, dunque, che nella volta Sistina alla scena della Creazione di Eva sia dedicato uno spazio specifico tra i riquadri con la Creazione di Adamo e il Peccato Originale. Nella cappella dedicata all’Assunta, alla nascita della Chiesa come Madre, prefigurata nell’episodio della Genesi, corrisponde la personificazione della Chiesa come Sposa Incoronata di Cristo, scelta in Maria Assunta.

 

Un’ulteriore sottigliezza teologica da osservare è che nel soffitto di Michelangelo la scena della Creazione di Eva è accompagnata dalla figura del Profeta Ezechiele, rappresentato nel peduccio sottostante. Ezechiele, infatti, costituisce un’altra figura tradizionalmente legata alla sequenza Eva-Ecclesia-Maria, la cui presenza consente di stabilire un eloquente collegamento tra la l’Ecclesia intesa come assemblea di tutti i fedeli, e la sua prefigurazione nella nascita della Progenitrice.

 

È suo, infatti, uno dei più celebri brani veterotestamentari, che recita. «Le ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutt’e quattro la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota in mezzo a un’altra ruota. Potevano muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt’e quattro erano pieni di occhi tutt’intorno. Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote», (Ezechiele I, 16-21). Questa descrizione del carro del Signore viene solitamente interpretata come allegoria della Chiesa, da quando San Gregorio Magno sottolineò il nesso con il parallelismo Eva-Ecclesia.

 

Tale disamina dei riferimenti teologici legati alla figura di Eva è importante per capire il repertorio culturale che era a disposizione di Perino come supporto alla variazione iconografica della sua opera. Mentre nella Sistina il legame Eva-Ecclesia si inserisce in una fitta rete di rimandi teologici, al fine di occupare un rilievo specifico all’interno di un programma figurativo più vasto e articolato, nella cappella di San Marcello, la scelta delle iconografie, poiché limitata ad una sola scena, si semplifica e si inserisce in un contesto comprensibile ai devoti del tempo.

 

Qui la colpa della prima peccatrice, infatti, non trova redenzione soltanto nella missione salvifica di Maria, da lei prefigurata, ma soprattutto nella morte del Cristo Crocifisso, che è concretamente presente sull’altare. Il fedele che prega lì vede tutto spiegato davanti ai suoi occhi: l’umanità macchiata della colpa di Eva è stata redenta dal Figlio di Maria che si è sacrificato per tutti.

 

Dalla Crocifissione nasce poi la Chiesa, Madre di tutti i fedeli, che in questa specifica circostanza è rappresentata dai confratelli e devoti che si recano a pregare nella cappella. Così è anche ricordata l’origine della stessa Congregazione: come la Chiesa nasce dal miracolo dell’acqua e del sangue compiuto da Cristo crocifisso, così la loro comunità è nata dai prodigi compiuti da quella specifica effige del Redentore.

 

A un livello più letterale dei rimandi, l’elemento simbolico della lancia che colpisce il costato di Cristo era presente negli affreschi della parete di fondo, dove Perino aveva raffigurato gli angeli in volo che portavano i simboli della Passione, in seguito andati perduti a causa degli interventi ottocenteschi. Se fosse rimasto integro tale muro, risulterebbe ancora più evidente il collegamento tra la scena veterotestamentaria e la Passione di Cristo.

 

Tuttavia, questi simboli sono ancora presenti nella cappella, poiché dipinti sullo sportello esterno del tabernacolo che custodisce la statua. Lì, infatti, nel XVII secolo Luigi Garzi vi rappresentò un gruppo di angeli in volo che reggono tra i vari strumenti della Passione, la Croce e la lancia del soldato.

 

Un ultimo elemento iconografico da considerare è la presenza dell’albero secco presso Adamo. Anche esso ha un modello puntuale nel suo analogo nella Sistina. Lì è posto in opposizione con il vicino albero rigoglioso dell’episodio della Tentazione, sempre secondo l’interpretazione del Vigerio, che li legge come simboli: il primo dell’Adamo della Creazione, che prefigura Cristo, e il secondo dell’Adamo del Peccato Originale. Così scrive: «Delicto consensit primus Adam ne sociam contristaret. Secundus Adam contristatus est: ut sponsam suam ecclesiam aeterna jocunditate saciaret (…) In ligno virenti, et pomis decoro victlus est primus. In ligno arido et horrido vicit secundus».

 

In conclusione, dunque, ritengo importante ribadire la centralità di questa commissione romana all’interno dell’attività di Perino, un artista sempre pronto a trasformare una semplice richiesta di modifica da parte della committenza in una efficace opportunità per aggiornare il proprio stile e dimostrare la sua originalità.

 

Negli interventi in San Marcello, infatti, egli non poté che trovarsi d’accordo con la volontà della Confraternita di creare un esplicito e repentino omaggio al capolavoro di Michelangelo. Far riferimento al famoso affresco sistino significava per la Confraternita da un lato preferire un’iconografia più puntuale e significativa, in grado di comunicare ai fedeli in adorazione del Crocifisso una consapevole scelta devozionale; dall’altro accogliere, osservando un plateale omaggio ad uno degli affreschi della cappella pontificia, la portata innovativa di Michelangelo.

 

Al tempo stesso, per Perino questo richiamo compositivo e stilistico costituiva un’occasione concreta per provare la sua presa di coscienza sulle ultime novità del coevo panorama artistico. La sua originalità, però, va ricercata in una fisionomia costantemente in equilibrio tra la rivoluzione espressiva di Michelangelo e la grazia dello stile di Raffaello, elementi che egli riesce a combinare in soluzioni sempre innovative e personali. Dal primo segno a matita sul foglio all’ultima pennellata sull’affresco, Perino rimane un decoratore armonico ed elegante, e una commissione così peculiare come questa in San Marcello, ci permette ancora oggi di apprezzare tutta la modernità della sua arte.

 

 

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