Prima dell’ascesa periclea, l’idea
democratica era stata introdotta da
riformatori come Clistene, che alla
fine del VI secolo a.C. aveva
ridimensionato il potere delle
aristocrazie basate sul sangue e
sulla ricchezza terriera. Le sue
riforme avevano ridisegnato la
struttura civica, istituendo tribù
territoriali che garantivano una
partecipazione più ampia e meno
dipendente dai lignaggi. Tuttavia,
quella di Clistene restava una
democrazia giovane, ancora
vulnerabile alle spinte oligarchiche
e alle crisi interne.
Con l’emergere di Pericle, intorno
alla metà del V secolo,
l’esperimento democratico trovò il
suo più determinato difensore. Egli
comprese che la democrazia non si
preserva con le sole leggi: va
radicata nella società, sostenuta
economicamente, alimentata
culturalmente. Il suo obiettivo fu
chiaro: consolidare la sovranità
popolare e disinnescare le ultime
resistenze aristocratiche,
trasformando la democrazia in un
sistema realmente operativo e
accessibile.
Tra le innovazioni più
rivoluzionarie introdotte da Pericle
vi fu la misthoforia, il compenso
economico destinato ai cittadini che
ricoprivano incarichi pubblici.
Prima di questa riforma, partecipare
attivamente alla vita politica era
un privilegio riservato ai più
abbienti: i contadini e gli
artigiani non potevano permettersi
di lasciare il lavoro per giorni
senza compromettere la sussistenza
della famiglia.
La misthoforia abbatté questa
barriera. Concedendo un piccolo ma
significativo stipendio a chi
prestava servizio nei tribunali
popolari (heliaia), nell’Assemblea o
nel Consiglio, Pericle rese
possibile la partecipazione dei
cittadini più umili, come i thetes.
Non si trattava di una semplice
misura assistenziale, ma di un atto
politico di straordinaria
lungimiranza: la democrazia smetteva
di essere un privilegio di classe e
diventava un diritto esercitabile da
tutti.
L’Ekklesia, la Boulé e i tribunali
popolari diventarono così
istituzioni realmente
rappresentative del demos. I
principi di
isonomia (uguaglianza
davanti alla legge) e
isegoria (uguale diritto di
parola) trovarono la loro piena
realizzazione. Pericle aveva
compreso che senza strumenti
concreti di partecipazione, la
democrazia rischiava di essere una
semplice facciata.
Pericle, tuttavia, non concepiva la
democrazia come un mero apparato
istituzionale. La vedeva come un
progetto culturale totalizzante,
capace di riflettersi nella vita
quotidiana e nello spazio urbano. Da
questa visione nacque il grandioso
piano di rinnovamento dell’Acropoli,
finanziato anche con i proventi
della Lega di Delo, che portò alla
costruzione del Partenone, dei
Propilei e di altri capolavori.
Questi monumenti, spesso criticati
dagli avversari come sprechi o come
appropriazioni indebite dei tributi
degli alleati, avevano un duplice
valore. Da un lato celebravano la
potenza di Atene, la sua vittoria
sui Persiani e la protezione della
dea Atena; dall’altro
rappresentavano una forma di
redistribuzione economica: i
cantieri impiegavano migliaia di
lavoratori – artigiani, scultori,
muratori, carpentieri – creando
lavoro e rafforzando il legame tra
cittadini e polis.
In questo senso, Pericle elevò la
bellezza a strumento politico. Atene
non era solo governata dai suoi
cittadini: era costruita da loro e
per loro. La città diventava così un
bene comune, un’opera collettiva che
incarnava la forza della democrazia.
La visione periclea della democrazia
trova la sua espressione più alta
nell’Epitaffio, il celebre discorso
funebre per i caduti del primo anno
della Guerra del Peloponneso,
riportato da Tucidide. In quelle
parole, Pericle tratteggia un
modello politico fondato sulla
partecipazione, sulla libertà e
sulla responsabilità civica: “La
nostra costituzione si chiama
democrazia perché il potere è nelle
mani non di una minoranza, ma
dell’intero popolo.”
Nel discorso celebra un sistema in
cui la povertà non preclude
l’accesso alle cariche pubbliche e
in cui la libertà individuale
convive con il rispetto delle leggi
comuni. Il dibattito pubblico, lungi
dall’essere considerato un intralcio
all’azione, è visto come la
condizione necessaria per decidere
con saggezza: “Qui ad Atene noi
discutiamo le questioni di Stato,
ritenendo che la discussione non sia
un ostacolo all’azione, ma un
presupposto per agire bene.”
Queste parole racchiudono l’essenza
dell’ideale democratico pericleo: la
fiducia nella parola, nella
persuasione (peitho) e nella
capacità del popolo di
autogovernarsi.
Celebrare Pericle come campione
della democrazia richiede di non
ignorarne le contraddizioni. La sua
democrazia “radicale” restava
infatti un sistema esclusivo,
riservato ai maschi adulti nati da
due genitori ateniesi dopo la legge
del 451 a.C. Donne, schiavi e meteci
erano esclusi non solo dal potere
politico, ma anche dal concetto
stesso di cittadinanza.
Inoltre, sebbene le istituzioni
ateniesi fossero formalmente
democratiche, il predominio politico
di Pericle fu così duraturo – fu
eletto stratego per oltre quindici
anni consecutivi – da indurre alcuni
storici moderni a parlare di una
sorta di “democrazia guidata”, in
cui la figura del leader rivestiva
un ruolo quasi carismatico.
Malgrado queste ombre, Pericle
plasmò la democrazia ateniese nella
sua forma più matura e dinamica.
Sotto la sua guida, Atene divenne un
laboratorio politico senza
precedenti, dimostrando che il
governo diretto dei cittadini poteva
generare una straordinaria fioritura
culturale, economica e militare.
La lezione più profonda della sua
opera è che la democrazia non vive
di inerzia: ha bisogno di
istituzioni inclusive, di una
comunità educata alla partecipazione
e di un costante impegno civico.
Pericle seppe coniugare idealismo e
strategia, visione e pragmatismo,
costruendo un modello che, pur
lontano dall’essere perfetto,
continua ancora oggi a parlare alla
nostra idea di società e di libertà.