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										filosofia & religione 
										
										
										
										pandemia e pedobattesimola peste antonina come chiave di lettura
 di 
										Francesco Arduini
										
										  
										
										L’evento epidemico che devastò l’Impero 
										romano sotto Marco Aurelio ebbe delle 
										notevoli conseguenze religiose. 
										Condividendo il consensus quasi 
										unisono secondo cui non è possibile 
										rintracciare nelle primitive comunità 
										cristiane un battesimo dei bambini, 
										l’ipotesi qui avanzata è che tali 
										conseguenze diedero impulso allo 
										sviluppo di una teologia del battesimo 
										che includesse anche i bambini e gli 
										infanti. 
										  
										
										Seguendo quella che è la ricerca 
										antropologica e storica, certamente 
										diversa dalla visione del problema 
										teologico, si può ipotizzare che la 
										“peste antonina” si sia presentata ai 
										cristiani come evento critico e 
										polarizzante, che spinse le comunità ad 
										interrogarsi sulla mortalità infantile 
										come mai prima. Le comunità modificarono 
										la loro prassi battesimale fino a 
										giungere ad una diffusa accettazione del 
										battesimo degli infanti. Mai come oggi, 
										a seguito dell’emergenza sanitaria 
										causata dal Coronavirus (COVID-19), ci 
										rendiamo conto di quanto le epidemie 
										riescano a condizionare e stravolgere le 
										abitudini e i costumi delle popolazioni 
										colpite, e questo vale altresì per la 
										vita religiosa e le attuali “pratiche di 
										pietà” (cfr ilsole24ore.com - 11 
										aprile 2020). Anche da un punto di vista 
										storico sono numerose le evidenze di un 
										cambio di prassi comportamentale da 
										imputarsi alle pandemie passate: dalla 
										peste che devastò l’Europa nel XIV 
										secolo stravolgendo numerosi settori 
										della vita civile, alla pestilenza che 
										imperversò durante il regno di 
										Giustiniano, a metà del VI secolo, 
										costringendo persino Goti e Bizantini ad 
										interrompere la guerra combattuta nella 
										penisola italiana. 
										  
										
										Sappiamo che verso il 165 d.C., durante 
										il regno di Marco Aurelio, l’impero 
										romano fu colpito da quella che viene 
										definita la prima devastante epidemia 
										della sua storia, la cosiddetta “peste 
										antonina”, che fu verosimilmente la 
										prima apparizione del vaiolo in 
										Occidente. L’origine di tale pandemia è 
										probabilmente da collocarsi vicino 
										all’attuale Baghdad, nella città di 
										Seleucia, sul fiume Tigri. Secondo 
										l’ipotesi maggiormente accreditata, i 
										soldati romani inviati per sedare una 
										rivolta ritornarono trionfanti spargendo 
										la peste lunga la via del ritorno fino a 
										Roma dove al suo apice uccise, secondo 
										alcune stime, circa 5.000 persone al 
										giorno (cfr Deadly Companions, 
										pag. 78). Secondo un’altra ipotesi 
										minoritaria, l’epidemia avrebbe avuto 
										un’origine africana. Ad ogni modo, gli 
										effetti devastanti di questa piaga sono 
										quasi unanimemente condivisi dagli 
										storici. La mortalità era così alta che 
										non era insolito vedere carovane di 
										carri uscire dalle città interamente 
										cariche di defunti. Secondo Elio Lo 
										Cascio: 
										
										  
										
										[i]n aree limitate dell’Egitto, lo 
										spopolamento riconducibile all’epidemia 
										condusse ad una diminuzione di più del 
										90% della popolazione complessiva. Le 
										stime – nell’ordine del 14-20% – del 
										numero delle vittime della pandemia in 
										rapporto alla popolazione totale 
										dell’impero, avanzate da R.J. Littman 
										[…] sono probabilmente da considerarsi 
										troppo basse […] (Fra equilibrio e 
										crisi, pag. 710) 
										
										  
										
										I cristiani riuscirono ad affrontare e 
										superare l’epidemia con maggior successo 
										dei pagani; si può ipotizzare che 
										l’organizzazione delle comunità 
										cristiane e la cura che i singoli membri 
										mostrarono verso gli ammalati, abbiano 
										persino contribuito a diminuire il loro 
										tasso di mortalità. Ma è necessario 
										evidenziare che il vaiolo tende a 
										causare, oggi come allora, un’alta 
										mortalità soprattutto tra i bambini; e 
										certamente i cristiani non furono esenti 
										da una simile sciagura.  
										
										Che le catastrofi generino risposte 
										religiose è più o meno l’ortodossia 
										della sociologia storica e la “peste” 
										ebbe sicuramente delle ripercussioni in 
										ambito religioso. Marco Aurelio restaurò 
										templi e santuari, convocò sacerdoti e 
										chiamò ad ogni forma di preghiera per 
										calmare la collera divina che si credeva 
										all’origine della pestilenza. Testi in 
										lingua egiziana ritrovati a Tebtynis e 
										risalenti al II secolo d.C., fanno 
										“comprendere le ripercussioni 
										psicologiche e l’ansia di protezione 
										magico-religiosa rispetto a flagelli 
										così devastanti e così incontrollati 
										dalla popolazione comune” (L’Impatto 
										della “Peste Antonina”, pag. 25).   
										
										Christer Bruun, seppur molto cauto sulla 
										dimensione catastrofica di questa peste, 
										ne riconosce il rapporto con la 
										dimensione religiosa e invita a “cercare 
										indicazioni di manifestazioni religiose 
										insolite a partire dall’anno 166 circa” 
										(ivi p. 133). William Harris 
										conclude il suo intervento a Incontri 
										Capresi di Storia dell’Economia Antica 
										(8-11 ottobre 2008) affermando: “Fu una 
										crisi complessa. E non ho nemmeno 
										sollevato domande sulla storia religiosa, 
										quali ad esempio se la Grande Pestilenza 
										avvicinò la popolazione sofferente verso 
										culti soteriologici” (ivi, pag. 
										337).   
										
										Che tipo di impatto ebbe la “peste 
										antonina” sulle comunità cristiane? 
										Secondo Sarah K. Yeomans (cfr BAR, pag. 
										22) si potrebbe ipotizzare che il senso 
										di paura e impotenza percepito dalla 
										popolazione in generale e il contestuale 
										ravvivarsi delle sensibilità religiose, 
										possa aver contribuito alla crescita e 
										alla rapida diffusione della Cristianità 
										in tutto l’impero a fine II secolo.
										 
										
										Ma se da una parte si può ipotizzare, a 
										fine secolo, una spinta alla diffusione 
										del Vangelo e al suo messaggio di 
										speranza, dall’altra è plausibile che le 
										comunità cristiane si siano prima 
										riorganizzate internamente, anche a 
										livello teologico.   
										
										
										Il battesimo degli infanti   
										
										Non è mai esistita una comunità 
										cristiana che, in qualsiasi epoca, non 
										abbia richiesto il battesimo da coloro 
										che volevano farne parte. Il dibattito 
										sulla prassi del battesimo è stato molto 
										acceso in passato, soprattutto negli 
										anni Cinquanta e Sessanta del secolo 
										scorso, in relazione alla legittimità di 
										impartirlo agli infanti in particolare o 
										comunque ai bambini così giovani da non 
										coglierne la valenza teologica. Se oggi 
										i toni della discussione si sono un po’ 
										smorzati, non è certo perché si sono 
										raggiunti risultati tali da eliminare 
										ogni dubbio ma il fatto è dovuto più ad 
										una certa “stanchezza” che ad un 
										consensus teologico effettivamente 
										conseguito. 
										
										Lasciando da parte le questioni 
										teologiche, è generalmente accettato 
										dagli storici che il primo accenno del 
										battesimo dei bambini risalga alla 
										seconda metà del II secolo. In “Contro 
										le eresie” (180 d.C.) di Ireneo, 
										leggiamo: 
										
										  
										
										
										Omnes enim venit per semetipsum salvare: 
										omnes, inquam, qui per eum renascuntur 
										in Deum, infantes et parvulos et pueros 
										et juvenes et seniores 
										(Adversus haereses II, 22, 4) 
										
										[Venne a salvare tutti mediante la sua 
										persona: tutti, dico, quelli che 
										mediante lui rinascono in Dio, bambini e 
										fanciulli, ragazzi, giovani e vecchi] 
										
										  
										
										Bisogna attendere altri vent’anni per 
										trovare una chiara attestazione sul 
										battesimo dei bambini nell’opera scritta 
										da Tertulliano (De baptismo - 200 
										d.C. circa): 
										
										  
										
										
										Ceterum baptismum non temere credendum 
										esse sciunt quorum officium est [...] 
										itaque pro cuiusque personae condicione 
										ac dispositione, etiam aetate, cunctatio 
										baptismi utilior est, praecipue tamen 
										circa parvulos [...] Ait quidem Dominus: 
										Nolite illos prohibere ad me venire. 
										Veniant ergo, dum adolescunt, dum 
										discunt, dum quo veniant docentur; fiant 
										Christiani cum Christum nosse potuerint!
										
										
										(De 
										baptismo 
										18,1,4-5) 
										
										[Quelli che hanno il compito di 
										amministrare il battesimo sanno che esso 
										non deve essere concesso alla leggera 
										[...] Perciò secondo la condizione, la 
										disposizione, e anche l’età di ciascuno, 
										è preferibile ritardare il battesimo, 
										soprattutto quando si tratta di bambini 
										piccoli [...] Certo il Signore dice 
										“Lasciate che i bambini vengano a me”. 
										Ma vengano quando sono più grandi, 
										quando sono in grado di apprendere, 
										quando viene mostrato Colui verso il 
										quale vanno. Che diventino cristiani 
										quando saranno in grado di conoscere 
										Cristo!]  
										
										  
										
										Da quanto lui stesso scrive, risulta 
										chiaro che Tertulliano era contrario ad 
										un battesimo impartito ai bambini non in 
										grado di comprendere appieno il 
										significato di quel rito. Ma è 
										altrettanto chiaro che alla fine del II 
										secolo il battesimo dei bambini era una 
										realtà già avviata. Circa quindici anni 
										più tardi, con Ippolito e la “sua” opera 
										intitolata Tradizione Apostolica, 
										il battesimo dei bambini viene 
										innegabilmente documentato nella sua 
										formulazione liturgica. 
										
										Se Tertulliano, attorno al 200 d.C. 
										attesta l’esistenza di una diffusa 
										corrente di cristianesimo che praticava 
										il battesimo dei bambini, non è affatto 
										impossibile che venti anni prima, nel 
										180 d.C., Ireneo abbia testimoniato la
										nascita di quella corrente. Se 
										così fosse, dal 180 al 200 d.C. le 
										argomentazioni teologiche a favore del 
										pedobattesimo si sarebbero sviluppate e 
										diffuse all’interno delle comunità.   
										 
										
										
										. 
										
										Battesimo di bambino su un sarcofago del 
										III secolo (Museo Nazionale di Roma)   
										
										Pur essendo ben consapevoli della quasi 
										impossibilità di trovare un legame 
										diretto tra causa ed effetto, se gli 
										storici da un lato dovrebbero evitare il 
										riduzionismo causale, dall’altro hanno 
										l’obbligo di indagare, di accertare o 
										addirittura ipotizzare cosa abbia 
										causato un particolare evento o quale 
										fattore sociale abbia dato origine a 
										determinate pratiche. Quindi è lecito 
										chiedersi: a cosa si potrebbe imputare 
										la nascita di questa corrente 
										all’interno delle comunità cristiane?   
										
										
										Una prassi di emergenza   
										
										Secondo Stark, il cristianesimo delle 
										origini sarebbe verosimilmente cresciuto 
										ad un tasso del 40% a decennio; le sue 
										stime portano a concludere che nell’anno 
										200 d.C. i cristiani superarono le 
										215.000 unità, e addirittura nel 300 d.C. 
										si raggiunse la cifra (forse un po’ 
										esagerata) di 6.300.000 persone. Ma ad 
										ogni modo è chiaro che la sempre 
										maggiore presenza di bambini all’interno 
										delle comunità cristiane iniziò a 
										costituire un “problema” sul quale i 
										teologi si interrogavano. Ferguson 
										afferma che  
										
										  
										
										se si tiene presente l’alto tasso di 
										mortalità infantile nel mondo antico, è 
										facile capire come una prassi [battesimale] 
										d’emergenza abbia finito col diventare 
										prassi corrente. L’accettazione già in 
										tempi antichi del battesimo di bambini 
										per motivi di emergenza spiegherebbe 
										l’assenza di dibattito nella chiesa 
										delle origini riguardo all’età 
										ammissibile per il battesimo (Il 
										battesimo nella chiesa antica 2, pag. 
										438). 
										
										  
										
										L’ipotesi qui descritta è che, una volta 
										terminata l’emergenza epidemica nel 180 
										d.C., Ireneo e gli altri teologi 
										cristiani abbiano diretto, come mai 
										prima, le loro riflessioni sulla volontà 
										salvifica di Dio nei confronti dei 
										bambini. Riflessioni che diedero un 
										impulso allo sviluppo di una teologia 
										del battesimo degli infanti e una spinta 
										a diffonderne l’insegnamento nei 
										successivi vent’anni, tanto che 
										Tertulliano, agli albori del III secolo, 
										ne parla come di una prassi accettata 
										persino con troppa leggerezza.     
										 
										
										. 
										
										Battesimo di bambino in un affresco del 
										III secolo (Catacombe di San Callisto, 
										Roma) 
										
										  
										
										
										Il silenzio delle fonti   
										
										La giusta critica che si potrebbe 
										indirizzare contro questa ipotesi 
										consiste nel fatto che il collegamento 
										fra gli inizi del pedobattesimo e la 
										“peste antonina” si muove unicamente su 
										un livello ipotetico, in quanto nessuna 
										fonte letteraria esprime esplicitamente 
										questo legame.  
										
										Questo “vuoto” letterario è oltremodo 
										enigmatico. Difatti, non solo manca il 
										collegamento fra pestilenza e battesimo 
										ma è anche assente qualsiasi tipo di 
										generico accenno alla “peste antonina” 
										negli scrittori cristiani contemporanei. 
										E addirittura manca anche in quelli 
										posteriori al regno di Marco Aurelio. Ci 
										troviamo di fronte ad un cosiddetto 
										“silenzio assordante”.   
										
										Sul solco del pensiero di Ferguson, si 
										può supporre che in piena “peste 
										antonina” ogni dotta discussione sia 
										stata silenziata dall’emergenza 
										epidemica. Le plausibili richieste dei 
										genitori cristiani con bambini 
										gravemente ammalati, che desideravano 
										assicurare loro la salvezza col 
										battesimo, necessitavano di risposte 
										immediate, risposte che difficilmente si 
										sarebbero mosse in senso contrario e che 
										non potevano certamente attendere i 
										tempi di una discussione in seno alle 
										comunità. Fu solo a calamità terminata 
										che iniziarono a comparire i primi 
										riferimenti al battesimo dei bambini, 
										permanendo invece il silenzio delle 
										fonti sull’evento pestilenziale in sé. 
										Perché questo silenzio anche dopo il 180 
										d.C.?   
										
										Il paganesimo considerò l’epidemia come 
										un segno di disfavore degli dèi, 
										riversando la colpa sui cristiani. La 
										Cristianità, che viveva ancora 
										nell’imminenza del ritorno di Cristo, 
										interpretò questo evento esattamente 
										allo stesso modo. La “peste antonina” fu 
										la prima devastante catastrofe 
										demografica che colpì la Chiesa. Gli 
										Apologeti dovettero affrontare una sorta 
										di disorientamento teologico: come 
										giustificare questa “punizione divina” 
										davanti al mondo pagano? È possibile che 
										tale disorientamento ebbe come risultato 
										il silenzio delle fonti letterarie sul 
										quale noi ora ci interroghiamo?   
										
										
										
										Conclusione   
										
										Il silenzio di tali fonti è un problema 
										destinato a rimanere aperto, ma non si 
										può ignorare che esso è interpretabile 
										all’interno della cornice di coerenza 
										presentata con tale ipotetico quadro. In 
										tutto il periodo subapostolico (100/140 
										d.C.) non esiste alcun riferimento 
										esplicito al battesimo dei bambini. Ogni 
										volta che viene affrontato l’argomento, 
										i bambini vengono considerati puri a 
										prescindere. Questa è “l’ortodossia” 
										fino a Giustino, che fu l’ultimo 
										apologeta che scrisse sul tema del 
										battesimo prima che la peste antonina 
										colpisse l’Impero (150 d.C. circa): 
										
										  
										
										Καὶ λόγον δὲ εἰς τοῦτο παρὰ τῶν 
										ἀποστόλων ἐμάθομεν τοῦτον. Ἐπειδὴ τὴν 
										πρώτην γένεσιν ἡμῶν ἀγνοοῦντες κατ’ 
										ἀνάγκην γεγεννήμεθα ἐξ ὑγρᾶς σπορᾶς κατὰ 
										μῖξιν τὴν τῶν γονέων πρὸς ἀλλήλους καὶ 
										ἐν ἔθεσι φαύλοις χαὶ πονηραῖς 
										ἀναστροφαῖς γεγόναμεν, ὅπως μὴ ἀνάγκης 
										τέκνα μηδὲ ἀγνοίας μένωμεν ἀλλὰ 
										προαιρέσεως καὶ ἐπιστήμης, ἀφέσεώς τε 
										ἁμαρτιῶν [ὑπὲρ] ὧν προημάρτομεν τύχωμεν, 
										ἐν τῷ ὕδατι ἐπονομάζεται τῷ ἑλομένῳ 
										ἀναγεννηθῆναι καὶ μετανοήσαντι ἐπὶ τοῖς 
										ἡμαρτημένοις τὸ τοῦ πατρὸς τῶν ὅλων καὶ 
										δεσπότου θεοῦ ὄνομα, αὐτὸ τοῦτο μόνον 
										ἐπιλέγοντος τοῦ τὸν λουσόμενον ἄγοντος 
										ἐπὶ τὸ λουτρόν (Prima Apologia 
										61.9-10). 
										
										[E, a tal proposito, questo è 
										l’insegnamento che abbiamo ricevuto 
										dagli apostoli. Dato che, nella nostra 
										prima generazione, noi siamo nati 
										ignoranti per necessità, attraverso il 
										seme liquido nell’unione vicendevole dei 
										nostri genitori, e siamo nati con 
										abitudini negative e con cattive 
										inclinazioni, per non rimanere figli 
										della necessità e dell’ignoranza, ma per 
										diventare figli della libertà e della 
										sapienza, ed ottenere la remissione dei 
										peccati commessi, si invoca nell’acqua 
										il nome di Dio Padre e Signore 
										dell’universo su colui che ha deciso di 
										rinascere e si è pentito dei propri 
										peccati, e quindi il ministro incaricato 
										di condurre al lavacro chi deve 
										sottoporsi invoca in primo luogo solo 
										questo nome]. 
										
										  
										
										Trent’anni dopo, con Ireneo, la 
										situazione sembra cambiata e, dopo altri 
										vent’anni, apprendiamo da Tertulliano 
										che la pratica del battesimo dei bambini 
										viene attuata senza riserve. Tra il 150 
										e il 180 d.C. deve essere accaduto 
										qualcosa che giustifichi un cambiamento 
										così importante su un tema che sta alla 
										base della vita cristiana. La “peste 
										antonina” fornisce un’interessante 
										chiave di lettura: essa si inquadra 
										perfettamente nella storia della 
										teologia battesimale presentandosi sulla 
										scena mondiale come un evento 
										determinante. 
										 
										
										  
										  
										
										Riferimenti bibliografici: 
										
										  
										
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