[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 211 / LUGLIO 2025 (CCXLII)


contemporanea

Pasolini e il Potere
SCOMPARSA DELLE lucciole E DEL pluralismo giuridico
di Riccardo Renzi

 

L’opera di Pier Paolo Pasolini conserva una forza analitica straordinaria nell’indagare la natura del Potere, soprattutto in relazione ai suoi meccanismi culturali, simbolici e giuridici. La sua riflessione – apparentemente ancorata all’Italia degli anni Sessanta e Settanta – si rivela invece profetica rispetto alle trasformazioni globali della contemporaneità. Questo articolo esplora l’attualità della critica pasoliniana alla società dei consumi e al “neocapitalismo” omologante, mettendola in dialogo con la riflessione giuridica contemporanea e con il paradigma del pluralismo giuridico. In particolare, si analizza la tensione tra diritto calato dall’alto e diritto generato “dal basso”, alla luce delle intuizioni pasoliniane sulla distruzione delle culture particolaristiche e sull’egemonia del Centro. Alla fine, ciò che Pasolini chiama “tolleranza repressiva” si presenta come il volto moderno di una violenza culturale che cancella la diversità per imporre modelli unici e centralizzati. La sua voce, ancora oggi, illumina i sentieri oscuri in cui si dibatte la giuridicità delle nostre società.

 

Pier Paolo Pasolini è stato molto più che poeta, cineasta o polemista: è stato, soprattutto, un pensatore radicale del Potere. Per Pasolini, il Potere non si manifesta soltanto attraverso le strutture visibili dello Stato, ma agisce in profondità come forza omologante, capace di ridurre la complessità antropologica e culturale a una semplificazione funzionale al controllo.

 

A metà degli anni Sessanta, Pasolini coglieva già l’inizio di una mutazione profonda: una nuova forma di dominio non più fondata sulla repressione esplicita, bensì sull’adesione volontaria e totalizzante a un modello culturale unico. In questo contesto, la celebre metafora della “scomparsa delle lucciole” assume un significato simbolico fortissimo: il buio che cala sulle lucciole è il segno della sparizione di mondi e culture altre, sommerse dall’industrializzazione, dalla televisione, dall’edonismo di massa.

 

Nel testo postumo Quasi un testamento (1975), Pasolini descrive il nuovo volto del capitalismo: non più solo macchina economica, ma vero e proprio progetto antropologico globale. Questo “neocapitalismo” non ha più bisogno della violenza fisica: opera attraverso la seduzione, la promessa di benessere e la “tolleranza repressiva” verso le differenze. La sua strategia consiste nella cancellazione delle culture particolari, assorbite e riorganizzate da un Centro che impone i propri modelli come universali.

 

La rivoluzione non è dunque solo produttiva, ma infrastrutturale e simbolica. Grazie alla televisione — l’arma culturale per eccellenza secondo Pasolini — il Centro riesce a colonizzare le periferie, non con carri armati ma con linguaggi, mode, desideri. L’unificazione culturale del mondo, lungi dall’essere una conquista di civiltà, si configura come una tragedia: un livellamento che annulla la pluralità delle esistenze.

 

La riflessione di Pasolini, se letta con occhio giuridico, dischiude una critica implicita ma potente al diritto moderno come strumento del Potere centralizzatore. La sua visione è vicina a quella del pluralismo giuridico, che si oppone all’idea di un diritto unico, calato dall’alto e legittimato solo dallo Stato sovrano. Per Pasolini, la distruzione delle culture subalterne è anche distruzione dei saperi giuridici locali, delle forme di regolazione comunitarie, delle norme nate “dal basso”.

 

In questa prospettiva, la “civiltà contadina” amata da Pasolini – con la sua allegria, la sua corporeità, la sua ritualità – appare come espressione vivente di un diritto consuetudinario, incarnato, comunitario. È proprio questo diritto che viene annientato dall’omologazione capitalistica. La cultura giuridica che emerge dalla società dei consumi è formalmente democratica, ma sostanzialmente autoritaria, perché fondata su una adesione obbligata ai modelli del Centro.

 

Il paradigma giuridico implicito in Pasolini trova un’esplicita teorizzazione negli studi di Paolo Grossi sul pluralismo medievale. Per Grossi, il diritto premoderno non è comando, ma “ordinamento”: una forma di vita giuridica che nasce dai “fatti primordiali” della società – terra, sangue, tempo – e si struttura attorno alla consuetudine. L’idea di diritto come “sentiero battuto” – percorso creato dal cammino collettivo di una comunità – si oppone frontalmente alla visione moderna, verticale e sovrana del diritto.

 

Pasolini, come Grossi, ci invita a riscoprire questi sentieri perduti. Il suo rimpianto per un’Italia contadina, dialettale, differenziata, non è nostalgia, ma denuncia: il nuovo Potere non ha lasciato spazio a sopravvivenze giuridiche autonome. L’adesione totale ai modelli del Centro comporta, per usare parole sue, un’”abiura” culturale e giuridica: le comunità non riconoscono più le proprie norme, ma interiorizzano quelle imposte dall’alto.

 

La critica pasoliniana risuona oggi con rinnovata urgenza. In un mondo globalizzato, attraversato da migrazioni, crisi ecologiche, nuovi autoritarismi e accelerazioni tecnologiche, il dilemma tra omologazione e pluralismo si ripropone in tutta la sua radicalità. Il diritto contemporaneo è sempre più uno strumento di governance, tecnicizzato, distante dalla vita reale. Ma nei margini della società, nei movimenti sociali, nelle comunità locali, emergono ancora esperienze giuridiche vive, resistenti, creative.

 

Rileggere Pasolini oggi significa allora interrogarsi sulla possibilità di un diritto che non sia solo controllo, ma riconoscimento; che non sia solo comando, ma espressione di una pluralità irriducibile di forme di vita. In questo senso, Pasolini non è un testimone del passato, ma una voce che interroga il futuro.

 

Pasolini non fu un giurista in senso accademico, ma seppe comprendere, con lucidità tragica, la trasformazione del diritto in strumento del Potere culturale. La sua opera – letteraria, cinematografica, saggistica – è attraversata da una domanda giuridica fondamentale: come si può vivere una vita libera, plurale, differente, in un mondo che tende a cancellare ogni alterità? Questa domanda resta oggi più aperta che mai. E forse, per tentare una risposta, dovremmo tornare là dove le lucciole ancora brillano. Se esistono.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]