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FILOSOFIA & RELIGIONE


N. 107 - Novembre 2016 (CXXXVIII)

"Pensiero incompleto", libertà, laicità in papa Francesco

IL PAPA GESUITA DI VITTORIO V. ALBERTI
di Laura Sugamele

 

Il libro dell’autore Vittorio V. Alberti dal titolo Il papa gesuita. «Pensiero incompleto», libertà, laicità in papa Francesco (Mondadori Education, Milano 2014), si presenta come un testo originale, nel quale, l’autore, attraverso la figura di papa Francesco, riflette su ciò che contraddistingue lo spiritualismo gesuita e il pontificato di Bergoglio.

 

Sin dalle prime pagine, emerge la capacità dell’autore di adoperare un registro divulgativo comprensibile e, al contempo, accurato linguisticamente. Ciò che viene delineato immediatamente nel testo è lo spiritualismo gesuita, il quale è presentato come un metodo ragionativo fatto di domande e risposte, un metodo, dice Alberti, «elastico, mai […] monolitico» (p. 23). Un’impostazione quella dei gesuiti che, come osserva l’autore, suscita il dubbio e quindi una riflessione critica sulle proprie certezze.

 

Chiaramente, ciò che contraddistingue questa impostazione e che costituisce il nodo focale di un’indagine di certo critica, è la centralità che il Cristo assume nella prospettiva e nella formazione dei gesuiti, sin dalla fondazione dell’ordine ad opera di Sant’Ignazio di Loyola. Tale aspetto, pertanto, definisce la spiritualità gesuitica che, a sua volta, si rivela un punto fondamentale nel percorso di formazione religiosa di papa Francesco.

 

L’autore afferma ciò smontando, per esempio, alcuni pregiudizi o luoghi comuni sui gesuiti, evidenziando come mai non ci sia stato prima un pontefice proveniente dall’ordine gesuita, fatto che induce a comprendere come sia differente l’elemento che caratterizza tale ordine e che dunque contraddistingue il pontificato di Francesco. Ciò dipende dal fatto che «la Compagnia ha sempre svolto una funzione più dedita alla formazione, rispetto a quella di assumere incarichi di governo della struttura ecclesiastica, incarichi gerarchici della chiesa istituzionale» (p. 71).

 

Alla luce di questa considerazione, l’autore osserva che il pontificato di Francesco si presenta con uno stile linguistico ed empatico totalmente nuovo, il quale tende a rivolgersi direttamente al singolo individuo. Ed è su questo punto che emerge il concetto di pensiero incompleto, laddove l’autore ben chiarisce questo aspetto, collegando lo spiritualismo gesuita al metodo socratico (conosci te stesso). Un’impostazione quella gesuitica, attorno alla quale il libro è incentrato, e, che si rivela come una ricerca costante, assidua e instancabile del senso che, tuttavia, rimane difficile da poter concretizzare e raggiungere.

 

Allora cosa è il pensiero incompleto? Combattimento continuo? Libertà? Tensione verso la ricerca di qualcosa? Certamente, leggendo il testo, si dipana un’idea di incompleto, ovvero di un discorso che non è fisso o cristallizzato, ma aperto alla ricerca continua dell’Assoluto, di Dio, che «non è, quindi, un sapere dato una volta per tutte. Fermo, statico, […] ma un prospetto dinamico e sempre aperto» (p. 25).

 

Detto ciò, il pensiero incompleto di cui parla Alberti ha un preciso significato: è un discorso aperto alla ricerca continua della verità e, in questo senso, nel testo, la riflessione viene intrecciata all’essenza stessa del cristianesimo, che è dialogo e relazionalità, elemento insito nel cristianesimo stesso e collegato dall’autore alla maieutica socratica.

 

Analogamente all’arte del far partorire la verità attraverso il dialogo, in un continuo stimolo nel cercare la conoscenza tra due interlocutori, il pensiero incompleto assume la fisionomia di una ricerca incessante e ininterrotta che consente l’apertura di nuovi orizzonti conoscitivi e di scenari interrogativi e che, dunque, non pretende di possedere una verità in assoluto. Pertanto, è la libertà della conoscenza che qualifica la statura dell’intellettuale gesuita. Adoperando le parole dell’autore «Francesco, in questo senso, secondo il pensiero incompleto, dice che Dio (o la verità) è nel mondo, in tutte le cose, e si può cercarlo aprendo scenari, cioè aprendo porte al pensiero, piuttosto che innalzare steccati inamovibili, perché è la vita stessa a non disporsi secondo rigidità» (p. 26).

 

Da questo punto di vista, gli esercizi di Ignazio di Loyola, che prescrivono di cercare l’Assoluto in tutte le cose, si inseriscono appieno nell’argomentazione prospettata nel libro, una libertà di ricerca che Bergoglio ha trasferito nel suo pontificato. In tal senso, due concetti che emergono leggendo il libro sono quelli di conversione e di «critica al clericalismo» (p. 131). La conversione, che va letta nel senso di cambiamento della chiesa come dimensione istituzionale, e il clericalismo che invece si riferisce a «un mancato approfondimento della fede; è un concentrarsi sul segno, trascurando la realtà: un concentrarsi solo su ciò che c’è qui in termini di segno visibile, cioè l’istituzione (e tutto ciò che, anche in termini di condotta, stile, linguaggio, c’è di secolare e istituzionale), rispetto a ciò a cui tale istituzione rinvia, la centralità di Cristo» (p. 132).

 

Su questo punto, allora, emerge in tutta la sua rilevanza il complesso discorso sulla conversione che, con Francesco, ha investito il papato e, nella quale si può rintracciare un’idea di cambiamento non soltanto dal punto di vista della mondanità spirituale, ma anche nel diverso modo di prendere decisioni: da ciò il tratto comunicativo innovativo di Bergoglio, sul quale l’autore del libro pone una certa enfasi. Qui emerge con chiarezza la visione del gesuita che è in papa Francesco, quella di una conversione nella quale si traccia il senso di un’apertura, di un rinnovamento, in quanto «la chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal papa e dai vescovi» (p. 144).

 

In quest’ottica, l’analisi attuata da Alberti si incentra notevolmente sull’elemento pedagogico gesuitico che emerge in papa Francesco, ovvero il porre questioni senza mai chiuderle, una disposizione quindi, che punta a suscitare nuovi interrogativi e non a raggiungere risposte definitive, attitudine che, secondo l’autore, posiziona il pontificato di Bergoglio su un piano molto differente rispetto ai precedenti.

 

«In questo senso, la spiritualità ignaziana conduce Francesco a impostare un’etica che accompagni con libertà, empatia, comprensione e carità, e non offra quindi […] un’immagine di chiesa repressiva, portatrice di un’etica normativa fatta di proibizioni, divieti, repressioni ideali» (p. 146).

 

Detto ciò, nel testo si evince un distanziamento dal clericalismo a favore, invece, di una forma nuova di cristianesimo quale liberazione dalla struttura terrena e visibile, che conduce ad una ricerca personale della fede. Un cambiamento che, come evidenzia Alberti, ha avuto già inizio con Benedetto XVI che, analogamente, al San Pietro descritto da Dante nel canto XXVII della Divina Commedia, si è scagliato con forza contro la corruzione del potere, criticando una chiesa incentrata eccessivamente solo su sé stessa. Uno scagliarsi contro la struttura ecclesiastica per porre, invece, attenzione ad un recupero sostanziale del messaggio cristiano.

 

In conclusione, emerge dalla lettura di questo libro una attenta ed accurata riflessione dell’autore, il quale auspica il superamento del distinguo tra credenti e non credenti, attraverso una prospettiva più filosofica della differenza tra pensanti e non pensanti, con un forte richiamo al terreno della laicità che costituisce confronto e ragionamento anche sul cristianesimo che «non è religione del libro ma della parola […] la parola, che è il luogo della dialettica, dentro la quale si muove la libertà di pensiero» (p. 164).



 

 

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