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										antica 
										
										
										HORRENDA SYNODALIA 
										 
										
										LA POLITICA FORMOSIANA E IL PROCESSO AL 
										CADAVERE  
										
										
										di Matteo Buzzurro 
										
										  
										
										Per spiegare un passaggio così macabro 
										della storia del papato medievale, come 
										gli Horrenda Synodalia, non si 
										possono non citare alcuni aspetti del 
										papato altomedievale: pur essendo il 
										vescovo di Roma la figura preminente 
										nello scenario cristiano ancora non 
										poteva vantare un’egemonia in solitaria; 
										altro scoglio era la concorrenza 
										spietata di molti potentati secolari che 
										ne impedivano un’egemonia 
										economico-fondiaria de facto e ne 
										destabilizzavano non poco l’operato.
										 
										
										  
										
										Formoso, il protagonista principale, 
										nacque nell’816 a Roma da un certo Leone 
										di cui non abbiamo notizie ulteriori. Le 
										prime notizie lo pongono nell’864 quando 
										venne da Nicolò I nominato vescovo di 
										Porto, diocesi molto importante nello 
										scacchiere ecclesiastico e quindi 
										indirettamente ci fa comprendere come 
										questa figura fosse molto considerata 
										dall’alto clero.  
										
										  
										
										Formoso sostituì nella carica Rodoaldo 
										che nell’861 approvò la deposizione del 
										patriarca di Costantinopoli Ignazio e la 
										nomina di Fozio, persona detestata tanto 
										dalla Chiesa di Roma quanto appoggiata 
										dall’imperatore bizantino. Nell’866 la 
										sua figura crebbe di importanza tanto da 
										risultare a capo di una delegazione 
										presso re Boris I di Bulgaria, il quale, 
										battezzato da un vescovo bizantino, 
										volle un riconoscimento anche da parte 
										della Chiesa romana. La spedizione non 
										fu un successo a causa di forti dissidi 
										con il clero greco, ma per Formoso 
										divenne un trampolino di lancio che lo 
										portò nell’867 a essere nominato da papa 
										Adriano II capo delegazione presso la 
										corte di Costantinopoli, anche se 
										l’incontro con l’imperatore non avvenne 
										a causa del suo assassinio nell’868.
										 
										
										  
										
										Nello stesso anno Formoso fu uno dei 
										celebranti all’ordinazione sacerdotale 
										di alcuni discepoli dei Santi Cirillo e 
										Metodio. Dopo la morte di Adriano II il 
										clero si spaccò nella scelta di un 
										successore tra Formoso e Giovanni, la 
										scelta capitò sull’ultimo che assunse il 
										nome di Giovanni VIII. Con il nuovo 
										papa, Formoso non ebbe molta comunione 
										di intenti tanto da risultare in aperta 
										ostilità sulla decisione di appoggiare 
										la fazione franca occidentale, più 
										debole e quindi più gestibile, di Carlo 
										il Calvo in luogo di Ludovico II 
										Germanico per la pars orientalis 
										alla successione al trono imperiale dopo 
										la morte di Ludovico.  
										
										  
										
										Nell’876 la scelta non fu accettata da 
										una parte clero vicino a Formoso che 
										decise di contrastarne ma la minaccia di 
										una scomunica lo fece desistere. I 
										rapporti, dunque si ruppero quando 
										Giovanni VIII, volle liberare 
										l’amministrazione pontificia dai membri 
										dell’aristocrazia laica che avevano 
										acquistato troppa importanza e che 
										avrebbero potuto unirsi al clero 
										oppostosi alla nomina e per questo il 
										nomenclator Gregorio, il magister 
										militum e vestararius Giorgio de 
										Aventino, il secundarius 
										Sergio decisero di ammutinarsi e fuggire 
										rubando il tesoro papale; tra i 
										fuggitivi si aggiunse una fronda 
										clericale tra cui Formoso, che assunse 
										il nome di formosiana. 
										 
										
										  
										
										Nel 876 il concilio di Ponthion decise 
										la messa in accusa dei rivoltosi e a 
										Formoso fu proposta la messa in stato 
										laicale al posto della scomunica se 
										fosse tornato a Roma regolarmente. 
										Nell’877 nel concilio di Toyes furono 
										confermate le accuse e i rivoltosi 
										furono condannati alla “damnatio 
										Formosi episcopi, Gregorii 
										nomencolatoris et consentientium eis” 
										anche se secondo alcune fonti Formoso 
										richiese lui stesso di rimettere 
										l’ordinazione, benefici e la carica di 
										vescovo al posto di un ritiro a vita 
										privata da semplice laico, con 
										conseguente accettazione della 
										richiesta.  
										
										  
										
										La crisi economica e il fallimento 
										saraceno resero amari gli ultimi anni di 
										papato di Giovanni VIII, divenuto 
										secondo le cronache sempre più 
										irascibile: fu prima avvelenato e poi 
										“occisus est, et pavimentum aecclesiae, 
										per quam trahebatur, totum sanguine 
										infectum”. Il successore di Giovanni 
										VIII, Marino I venne eletto come nuovo 
										vescovo di Roma in aperto contrasto con 
										i canoni del Concilio di Nicea (cfr. 
										contra statuta canonum subrogatus est); 
										il canone XV “Del clero che si sposta 
										di città in città” affermava: 
										“Per i molti tumulti ed agitazioni che 
										avvengono, è sembrato bene che sia 
										assolutamente stroncata la consuetudine, 
										che in qualche parte ha preso piede, 
										contro le norme ecclesiastiche, in modo 
										che né vescovi né preti, né diaconi si 
										trasferiscano da una città all’altra. 
										Che se qualcuno, dopo questa 
										disposizione del santo e grande 
										concilio, facesse qualche cosa di 
										simile, e seguisse l’antico costume, 
										questo suo trasferimento sarà senz’altro 
										considerato nullo, ed egli dovrà 
										ritornare alla chiesa per cui fu eletto 
										vescovo, o presbitero, o diacono”.
										 
										
										  
										
										L’elezione del nuovo vescovo di Roma 
										sovvertì il destino del laico Formoso; 
										papa Marino aperto sostenitore della 
										politica formosiana annullò la riduzione 
										in stato laicale e restituì ai 
										congiurati tutti gli incarichi e 
										benefici compreso il vescovado di Porto 
										a Formoso, in quegli anni spostato 
										nell’Isola Tiberina per il timore delle 
										incursioni saracene. Oltre a questo atto 
										di perdono, il breve pontificato di 
										Marino vide la successione per il Ducato 
										di Spoleto di Lamberto al fratello Guido 
										III, che non perse tempo e approfittò 
										della debolezza del papato per invaderlo 
										grazie anche all’appoggio dei Saraceni e 
										di Costantinopoli.  
										
										  
										
										La morte repentina di Marino portò al 
										soglio di Pietro Adriano III, stretto 
										collaboratore di Giovanni VIII. La sua 
										politica fu improntata a un ritorno alle 
										idee giovannee ivi compresa l’aperta 
										ostilità agli spoletini e la dura 
										repressione dei formosiani che sfociò 
										nell’esecuzione di Giorgio de 
										Aventino il vestararius. Ma 
										le sue velleità durarono poco e la sua 
										indole lo portò a inimicarsi fortemente 
										l’aristocrazia romana e mentre era in 
										viaggio per Nonantola morì. La 
										successione fu affidata a Stefano V 
										prete dei Santi Quattro Coronati che non 
										fece in tempo ad abituarsi alla nuova 
										carica di vescovo di Roma che due 
										settimane dopo morì.  
										
										  
										
										L’elezione di Formoso, avvenuta 
										immediatamente dopo la morte di Stefano
										in loco, in aperta violazione del 
										canone niceno e grazie all’ausilio 
										dell’aristocrazia romana fu un chiaro 
										segno di contrasto alla politica 
										giovannea, avvenne il 6 ottobre 891. 
										Formoso da importante diplomatico riuscì 
										a dirimere prima le controversie fra le 
										sedi arcivescovili di Colonia e di 
										Amburgo-Brema apertesi nell’848 sancendo 
										895 il ritorno di Brema sotto la 
										giurisdizione dell’arcivescovo di 
										Colonia, poi si interessò per primo al 
										fenomeno di evangelizzazione dei paesi 
										nordici spedendo non poche lettere ai 
										vescovi d’Inghilterra e contro il 
										risveglio del paganesimo dovute alle 
										incursioni Vichinghe.  
										
										  
										
										In Italia Formoso da fedele alleato dei 
										duchi di Spoleto si trasformò nel più 
										acerrimo nemico, tanto da inviare una 
										delegazione da Arnolfo di Carinzia che 
										nell’895 entrò in armi a Roma e fu 
										incoronato nella Basilica di San Pietro. 
										L’obiettivo di Formoso fu quello di 
										attaccare senza indugio il potere dei 
										duchi di Spoleto che tuttavia 
										resistettero alla pressione di Arnolfo, 
										venendo premiati dalla fortuna: Arnolfo, 
										infatti, nel bel mezzo della campagna 
										militare morì mentre si dirigeva nella 
										fortezza di Fermo.  
										
										  
										
										Alla notizia della morte di Arnolfo 
										seguì quella di papa Formoso, nell’896. 
										Dopo la breve parentesi di Bonifacio VI, 
										il nuovo papa fu Stefano VI uomo 
										fortemente disprezzato (vir fama 
										infamandus), che cavalcò l’onda 
										d’odio contro papa Formoso tanto da 
										consentire l’apertura di un processo 
										canonico contro lo stesso post mortem.
										 
										
										  
										
										Di questo processo non pervennero atti, 
										ma secondo le fonti letterarie la salma 
										fu riesumata (papa Formoso de 
										sepulcro iecit), fu vestita dei 
										paramenti papali, assisa in trono (pontificatus 
										sacerdotalibus vestimentis indutum 
										locari) e gli fu affidata un 
										presbitero come difensore (per 
										advocatum suae responsionis depositum).
										 
										
										  
										
										Secondo le fonti pervenute, l’accusa che 
										fu mossa a papa Formoso fu quella di 
										usurpazione ovvero di aver preso la 
										carica di pontefice contravvenendo alle 
										regole nicene: «Cum Portuensis esses 
										episcopus cur ambitionis spiritu sedem 
										Romam usurpasti?». 
										
										  
										
										Il 
										processo inscenato da Stefano VI fu 
										ovviamente una farsa volto più a 
										cavalcare l’odio verso Formoso che a 
										punirne realmente le gesta. Il processo 
										terminò con la condanna all’amputazione 
										delle tre dita che servivano alla 
										benedizione (abscisis tribus digitis) 
										e il suo corpo a essere gettato nel 
										fiume Tevere (in Tyberi iactari 
										praecepit).
										 
										
										
										  
										
										A parte le condanne fittizie questo 
										processo ebbe l’obiettivo, mai celato, 
										di annullare tutti i benefici, il 
										conferimento di nomine e incarichi (cunctosque 
										ab illos ordinatos gradu proprio 
										depositos iterum ordinavit) compresa 
										la nomina a vescovo di Anagni di Stefano 
										VI che rendeva illegale il suo 
										pontificato. Le conseguenze del processo 
										non conferirono grande fortuna a Stefano 
										VI: infatti ben presto l’aristocrazia 
										locale insieme a tutti coloro che erano 
										stati beneficiati e incaricati da 
										Formoso si ribellarono e catturarono 
										Stefano che fu spogliato dei paramenti 
										per aver profanato il corpo del papa e 
										gettato con un rozzo mantello in 
										carcere.  
										
										  
										
										L’epilogo a questa storia fu scontato e 
										i successori di Stefano VI, papa Romano 
										e papa Teodoro II, nell’897 effettuarono 
										funerali solenni e dopo averlo trovato 
										riposero il corpo di Formoso nella 
										cripta della Basilica di San Pietro. 
										Papa Giovanni IX nell’898 annullò gli 
										effetti e distrusse gli atti del 
										processo contro Formoso.  
										
										  
										
										Con la morte di Giovanni IX a 
										succedergli fu papa Sergio III 
										(904-911), che al tempo fu uno degli 
										estensori del processo e aperto 
										sostenitore della politica di Stefano VI; 
										in un Sinodo del 904 il papa obbligò la 
										riordinazione degli ecclesiastici 
										ordinati da Formoso. Alla morte di 
										Sergio III il processo a Formoso cadde 
										nel dimenticatoio gettando un velo 
										oscuro su una macabra esecuzione. 
										  
										  
										
										Riferimenti bibliografici: 
										  
										
										Brezzi 
										P., Roma e l’impero medievale 
										(774-1252), Cappelli, Bologna 1947. 
										
										Di Carpegna Falconieri T., Il clero 
										di Roma nel medioevo: istituzioni e 
										politica cittadina (secoli VIII-XIII), 
										Viella, Roma 2002. 
										
										Sansterre 
										J.M., Formoso, in Enciclopedia 
										dei Papi, vol. 2, Istituto 
										dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000. 
										
										Sennis 
										A., Giovanni VIII, in 
										Dizionario biografico degli italiani, 
										vol. 55, Istituto dell’Enciclopedia 
										Italiana, Roma 2001. 
										
										
										Annales Fuldensis sive Annales regni 
										Francorum orientalis 
										
										in M.G.H., SS. Rer. Germ. VII a cura 
										di Pertz - V. Kurze, 1891. 
										
										
										Le Liber pontificalis, 
										
										a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892. 
										
										
										Ekkeardi Uraugensis Chronica 
										
										in Annales et chronica aevi Salici
										in M.G.H., SS. Rer. Germ. VI a 
										cura di Pertz, 1844. 
										
										Moroni G., Dizionario di erudizione 
										storico-ecclesiastica da S. Pietro sino 
										ai nostri giorni, vol. 25, Venezia, 
										Tipografia Emiliana, 1844. |