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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


antica

HORRENDA SYNODALIA

LA POLITICA FORMOSIANA E IL PROCESSO AL CADAVERE

di Matteo Buzzurro

 

Per spiegare un passaggio così macabro della storia del papato medievale, come gli Horrenda Synodalia, non si possono non citare alcuni aspetti del papato altomedievale: pur essendo il vescovo di Roma la figura preminente nello scenario cristiano ancora non poteva vantare un’egemonia in solitaria; altro scoglio era la concorrenza spietata di molti potentati secolari che ne impedivano un’egemonia economico-fondiaria de facto e ne destabilizzavano non poco l’operato.

 

Formoso, il protagonista principale, nacque nell’816 a Roma da un certo Leone di cui non abbiamo notizie ulteriori. Le prime notizie lo pongono nell’864 quando venne da Nicolò I nominato vescovo di Porto, diocesi molto importante nello scacchiere ecclesiastico e quindi indirettamente ci fa comprendere come questa figura fosse molto considerata dall’alto clero.

 

Formoso sostituì nella carica Rodoaldo che nell’861 approvò la deposizione del patriarca di Costantinopoli Ignazio e la nomina di Fozio, persona detestata tanto dalla Chiesa di Roma quanto appoggiata dall’imperatore bizantino. Nell’866 la sua figura crebbe di importanza tanto da risultare a capo di una delegazione presso re Boris I di Bulgaria, il quale, battezzato da un vescovo bizantino, volle un riconoscimento anche da parte della Chiesa romana. La spedizione non fu un successo a causa di forti dissidi con il clero greco, ma per Formoso divenne un trampolino di lancio che lo portò nell’867 a essere nominato da papa Adriano II capo delegazione presso la corte di Costantinopoli, anche se l’incontro con l’imperatore non avvenne a causa del suo assassinio nell’868.

 

Nello stesso anno Formoso fu uno dei celebranti all’ordinazione sacerdotale di alcuni discepoli dei Santi Cirillo e Metodio. Dopo la morte di Adriano II il clero si spaccò nella scelta di un successore tra Formoso e Giovanni, la scelta capitò sull’ultimo che assunse il nome di Giovanni VIII. Con il nuovo papa, Formoso non ebbe molta comunione di intenti tanto da risultare in aperta ostilità sulla decisione di appoggiare la fazione franca occidentale, più debole e quindi più gestibile, di Carlo il Calvo in luogo di Ludovico II Germanico per la pars orientalis alla successione al trono imperiale dopo la morte di Ludovico.

 

Nell’876 la scelta non fu accettata da una parte clero vicino a Formoso che decise di contrastarne ma la minaccia di una scomunica lo fece desistere. I rapporti, dunque si ruppero quando Giovanni VIII, volle liberare l’amministrazione pontificia dai membri dell’aristocrazia laica che avevano acquistato troppa importanza e che avrebbero potuto unirsi al clero oppostosi alla nomina e per questo il nomenclator Gregorio, il magister militum e vestararius Giorgio de Aventino, il secundarius Sergio decisero di ammutinarsi e fuggire rubando il tesoro papale; tra i fuggitivi si aggiunse una fronda clericale tra cui Formoso, che assunse il nome di formosiana.

 

Nel 876 il concilio di Ponthion decise la messa in accusa dei rivoltosi e a Formoso fu proposta la messa in stato laicale al posto della scomunica se fosse tornato a Roma regolarmente. Nell’877 nel concilio di Toyes furono confermate le accuse e i rivoltosi furono condannati alla “damnatio Formosi episcopi, Gregorii nomencolatoris et consentientium eis” anche se secondo alcune fonti Formoso richiese lui stesso di rimettere l’ordinazione, benefici e la carica di vescovo al posto di un ritiro a vita privata da semplice laico, con conseguente accettazione della richiesta.

 

La crisi economica e il fallimento saraceno resero amari gli ultimi anni di papato di Giovanni VIII, divenuto secondo le cronache sempre più irascibile: fu prima avvelenato e poi “occisus est, et pavimentum aecclesiae, per quam trahebatur, totum sanguine infectum”. Il successore di Giovanni VIII, Marino I venne eletto come nuovo vescovo di Roma in aperto contrasto con i canoni del Concilio di Nicea (cfr. contra statuta canonum subrogatus est); il canone XV “Del clero che si sposta di città in città” affermava: “Per i molti tumulti ed agitazioni che avvengono, è sembrato bene che sia assolutamente stroncata la consuetudine, che in qualche parte ha preso piede, contro le norme ecclesiastiche, in modo che né vescovi né preti, né diaconi si trasferiscano da una città all’altra. Che se qualcuno, dopo questa disposizione del santo e grande concilio, facesse qualche cosa di simile, e seguisse l’antico costume, questo suo trasferimento sarà senz’altro considerato nullo, ed egli dovrà ritornare alla chiesa per cui fu eletto vescovo, o presbitero, o diacono”.

 

L’elezione del nuovo vescovo di Roma sovvertì il destino del laico Formoso; papa Marino aperto sostenitore della politica formosiana annullò la riduzione in stato laicale e restituì ai congiurati tutti gli incarichi e benefici compreso il vescovado di Porto a Formoso, in quegli anni spostato nell’Isola Tiberina per il timore delle incursioni saracene. Oltre a questo atto di perdono, il breve pontificato di Marino vide la successione per il Ducato di Spoleto di Lamberto al fratello Guido III, che non perse tempo e approfittò della debolezza del papato per invaderlo grazie anche all’appoggio dei Saraceni e di Costantinopoli.

 

La morte repentina di Marino portò al soglio di Pietro Adriano III, stretto collaboratore di Giovanni VIII. La sua politica fu improntata a un ritorno alle idee giovannee ivi compresa l’aperta ostilità agli spoletini e la dura repressione dei formosiani che sfociò nell’esecuzione di Giorgio de Aventino il vestararius. Ma le sue velleità durarono poco e la sua indole lo portò a inimicarsi fortemente l’aristocrazia romana e mentre era in viaggio per Nonantola morì. La successione fu affidata a Stefano V prete dei Santi Quattro Coronati che non fece in tempo ad abituarsi alla nuova carica di vescovo di Roma che due settimane dopo morì.

 

L’elezione di Formoso, avvenuta immediatamente dopo la morte di Stefano in loco, in aperta violazione del canone niceno e grazie all’ausilio dell’aristocrazia romana fu un chiaro segno di contrasto alla politica giovannea, avvenne il 6 ottobre 891. Formoso da importante diplomatico riuscì a dirimere prima le controversie fra le sedi arcivescovili di Colonia e di Amburgo-Brema apertesi nell’848 sancendo 895 il ritorno di Brema sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Colonia, poi si interessò per primo al fenomeno di evangelizzazione dei paesi nordici spedendo non poche lettere ai vescovi d’Inghilterra e contro il risveglio del paganesimo dovute alle incursioni Vichinghe.

 

In Italia Formoso da fedele alleato dei duchi di Spoleto si trasformò nel più acerrimo nemico, tanto da inviare una delegazione da Arnolfo di Carinzia che nell’895 entrò in armi a Roma e fu incoronato nella Basilica di San Pietro. L’obiettivo di Formoso fu quello di attaccare senza indugio il potere dei duchi di Spoleto che tuttavia resistettero alla pressione di Arnolfo, venendo premiati dalla fortuna: Arnolfo, infatti, nel bel mezzo della campagna militare morì mentre si dirigeva nella fortezza di Fermo.

 

Alla notizia della morte di Arnolfo seguì quella di papa Formoso, nell’896. Dopo la breve parentesi di Bonifacio VI, il nuovo papa fu Stefano VI uomo fortemente disprezzato (vir fama infamandus), che cavalcò l’onda d’odio contro papa Formoso tanto da consentire l’apertura di un processo canonico contro lo stesso post mortem.

 

Di questo processo non pervennero atti, ma secondo le fonti letterarie la salma fu riesumata (papa Formoso de sepulcro iecit), fu vestita dei paramenti papali, assisa in trono (pontificatus sacerdotalibus vestimentis indutum locari) e gli fu affidata un presbitero come difensore (per advocatum suae responsionis depositum).

 

Secondo le fonti pervenute, l’accusa che fu mossa a papa Formoso fu quella di usurpazione ovvero di aver preso la carica di pontefice contravvenendo alle regole nicene: «Cum Portuensis esses episcopus cur ambitionis spiritu sedem Romam usurpasti?».

 

Il processo inscenato da Stefano VI fu ovviamente una farsa volto più a cavalcare l’odio verso Formoso che a punirne realmente le gesta. Il processo terminò con la condanna all’amputazione delle tre dita che servivano alla benedizione (abscisis tribus digitis) e il suo corpo a essere gettato nel fiume Tevere (in Tyberi iactari praecepit).

 

A parte le condanne fittizie questo processo ebbe l’obiettivo, mai celato, di annullare tutti i benefici, il conferimento di nomine e incarichi (cunctosque ab illos ordinatos gradu proprio depositos iterum ordinavit) compresa la nomina a vescovo di Anagni di Stefano VI che rendeva illegale il suo pontificato. Le conseguenze del processo non conferirono grande fortuna a Stefano VI: infatti ben presto l’aristocrazia locale insieme a tutti coloro che erano stati beneficiati e incaricati da Formoso si ribellarono e catturarono Stefano che fu spogliato dei paramenti per aver profanato il corpo del papa e gettato con un rozzo mantello in carcere.

 

L’epilogo a questa storia fu scontato e i successori di Stefano VI, papa Romano e papa Teodoro II, nell’897 effettuarono funerali solenni e dopo averlo trovato riposero il corpo di Formoso nella cripta della Basilica di San Pietro. Papa Giovanni IX nell’898 annullò gli effetti e distrusse gli atti del processo contro Formoso.

 

Con la morte di Giovanni IX a succedergli fu papa Sergio III (904-911), che al tempo fu uno degli estensori del processo e aperto sostenitore della politica di Stefano VI; in un Sinodo del 904 il papa obbligò la riordinazione degli ecclesiastici ordinati da Formoso. Alla morte di Sergio III il processo a Formoso cadde nel dimenticatoio gettando un velo oscuro su una macabra esecuzione.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Brezzi P., Roma e l’impero medievale (774-1252), Cappelli, Bologna 1947.

Di Carpegna Falconieri T., Il clero di Roma nel medioevo: istituzioni e politica cittadina (secoli VIII-XIII), Viella, Roma 2002.

Sansterre J.M., Formoso, in Enciclopedia dei Papi, vol. 2, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000.

Sennis A., Giovanni VIII, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 55, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2001.

Annales Fuldensis sive Annales regni Francorum orientalis in M.G.H., SS. Rer. Germ. VII a cura di Pertz - V. Kurze, 1891.

Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892.

Ekkeardi Uraugensis Chronica in Annales et chronica aevi Salici in M.G.H., SS. Rer. Germ. VI a cura di Pertz, 1844.

Moroni G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol. 25, Venezia, Tipografia Emiliana, 1844.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]