[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 213 / SETTEMBRE 2025 (CCXLIV)


antica

SUl PALCO DEL COLOSSEO
LE "POLTRONISSIME" dei giochi gladiatori

di Niccolò Arcangeli

 

Una volta che i giochi gladiatori (munera) si affrancarono dal contesto funerario e divennero una vera e propria forma d’intrattenimento, s’impose la necessità di avere un edificio la cui struttura rispettasse tutti i criteri per ospitare il pubblico delle grandi occasioni. La prima documentazione riguardo a un edificio per spettacoli gladiatori in muratura è stata rinvenuta a Pompei, e narra che durante l’anno 80 a.C. i duoviri quinquennales finanziarono la costruzione di un edificio per spettacoli, come omaggio alla cittadinanza. I loro nomi erano C. Quinctius Valgus e M. Porcius, ed in quell’anno ricoprivano la carica di magistrati addetti al censimento; una pratica che di norma veniva svolta ogni cinque anni. Nell’iscrizione, però, il termine con cui viene chiamato l’edificio è “spectacula”, dato che la parola “anfiteatro” ancora non esisteva. Fu l’architetto Vitruvio a coniare questo termine per definire una costruzione destinata a spettacoli, con gli spettatori disposti tutt’intorno all’arena. A Roma la situazione era diversa rispetto alla città campana; nell’Urbe costruire teatri stabili era vietato per legge fin dal 154 a.C., poiché si riteneva che gli spettacoli fossero nocivi per i valori che fondavano la società romana (mos maiorum). Per avere il primo anfiteatro in muratura si dovette attendere fino al 29 a.C. Purtroppo, però, l’edificio voluto da Statilio Tauro andò distrutto con l’incendio del 64 d.C. e non ne rimase più traccia. Qualche anno più tardi, la capitale dell’impero venne finalmente omaggiata della sua grandezza con la costruzione dell’anfiteatro Flavio, meglio noto come Colosseo.

 

Ci vollero solo otto anni per completare il più grande anfiteatro mai esistito, un capolavoro d’ingegneria che poteva ospitare fino a cinquantamila spettatori. Ancora oggi, le sue maestose rovine sono in grado di attrarre milioni di visitatori da tutto il mondo. Una moltitudine di turisti che, prima della pandemia, ha fatto sì che diventasse il quarto sito culturale più visitato al mondo dopo il Louvre, la Grande Muraglia Cinese ed il Museo di Pechino. L’anfiteatro era, dunque, il “tempio” dello spettacolo gladiatorio. Comprese le provincie, gli archeologi ne hanno conteggiati più di duecento sparsi un po’ ovunque. Di norma venivano costruiti fuori dalle mura cittadine, in modo da agevolare l’afflusso e il deflusso degli spettatori, e non congestionare le viabilità interna. Tra quelli più famosi c’è sicuramente l’Arena di Verona, uno dei pochi ancora utilizzati per spettacoli di musica e teatro. Tra i meglio conservati, vanno annoverati quelli di Nimes in Francia e di El Jem in Tunisia. La struttura dell’anfiteatro è molto simile in tutti i suoi esemplari: ha una pianta ellittica con al centro uno spazio per le esibizioni chiamato arena, parola latina che significa “sabbia”. Era questo il materiale usato per ricoprire le travi di legno che formavano il pavimento sottostante, e che era in grado di dare maggiore aderenza ai combattenti, assorbire il sangue e, una volta rivoltato, coprire gli escrementi degli animali. La sabbia si legherà così profondamente al destino degli spettacoli, che il termine “arena” verrà usato per definire lo stadio tout court, dagli edifici per la Corrida in Spagna fino ai grandi stadi di calcio e football in tutto il mondo.

 

L’arena degli anfiteatri aveva una forma ellittica. Il motivo è molto semplice: ricalcava quella dell’edificio che la ospitava. Oltre a questo, però, doveva avere anche una funzione “drammatica”: senza angoli in cui trovare riparo, i combattenti erano costretti a muoversi costantemente, aumentando la spettacolarità delle esibizioni. Intorno all’arena erano disposti gli spalti (cavea), a loro volta divisi in settori orizzontali (maeniana) e verticali (cunei). Alcuni edifici, come il Colosseo e l’anfiteatro di Capua (il secondo per grandezza), erano dotati anche di un hypogeum: una rete di gallerie poste al di sotto dell’arena, dove si trovavano quei macchinari che servivano a manovrare le scenografie e sollevare le gabbie in cui erano rinchiusi gli animali selvatici. Il sistema era molto ingegnoso ma efficace: dai sotterranei le gabbie venivano innalzate fino ad un livello leggermente più basso dell’arena, da qui gli animali balzavano fuori attraverso botole nascoste nella sabbia, creando un effetto scenico di grande impatto per gli spettatori. La perfetta coordinazione era indispensabile per armonizzare le squadre di schiavi, che lavoravano nella penombra dei sotterranei, il vero e proprio motore dello spettacolo.

In qualsiasi anfiteatro di una certa importanza era previsto un posto d’onore, una tribuna “VIP” riservata esclusivamente all’imperatore e alla sua famiglia. Se per i circhi (gli edifici destinati alle corse dei carri), risulta più facile individuarne la posizione, per gli anfiteatri il discorso risulta più complesso. Sappiamo, infatti, che molto spesso il pulvinar, o palco dell’imperatore, era connesso con il Palazzo Imperiale, quindi ubicato sul lato che dava verso di esso. Esempi del genere si possono trovare a Roma, Milano e Aquileia.

 

Riguardo gli anfiteatri, invece, non abbiamo simili dettagli e, a peggiorare la situazione, va detto che molti edifici sono ormai ridotti a scheletri. Un importante passo avanti riguardo il Colosseo è stato fatto pochi anni fa, quando gli archeologi hanno scoperto il cosiddetto “passaggio di Commodo”: un tunnel sotterraneo decorato con stucchi e bassorilievi, che collegava il palco imperiale con la zona del Celio. Progettato per consentire all’imperatore di raggiungere il suo posto a sedere in tutta sicurezza, il percorso però presentava un unico punto debole: una curva a gomito molto stretta. Secondo un aneddoto, fu Commodo a ordinare che fosse installato uno specchio di bronzo prima della curva, in modo da avere una visuale migliore e prevenire possibili attentati. Così, quando il tunnel fu scoperto, sembrò naturale chiamarlo con il nome dell’imperatore che lo aveva reso celebre. Grazie a questa scoperta è stato possibile collocare il palco imperiale al centro del lato meridionale, lo stesso che dava verso alcuni ambienti della residenza imperiale.

 

Esiste, però, un medaglione del III sec. d.C. che nasconde un indizio discordante. A essere raffigurato è un combattimento tra animali offerto dall’imperatore Gordiano III. Nell’arena si stanno affrontando un toro ed un elefante, cavalcato da un inserviente. L’anfiteatro viene mostrato dal lato Sud, se ne ha conferma guardando sulla sinistra (lato Ovest), dove si vede il Sol Invictus, una statua colossale di trentacinque metri di altezza, che in seguito avrebbe dato il nome all’edificio.

 

Sugli spalti, al centro del lato opposto (Nord), si erge una figura molto più grande rispetto alla folla che lo circonda, le cui diverse dimensioni servono a far risaltare l’uomo più importante tra gli spettatori: l’imperatore.

 

Anche se l’immagine mostra il palco imperiale posizionato sul lato Nord dell’edificio, smentendo in apparenza quanto detto prima, in realtà potrebbe esserci una spiegazione molto più semplice, e cioè che il lato scelto per il palco d’onore variasse a seconda della volontà del regnante. Commodo preferiva il lato Sud, poiché da appassionato di combattimenti gladiatori si trovava nel posto giusto per non avere il sole in faccia nel pomeriggio, quando questi spettacoli avevano luogo. Gordiano III, invece, preferiva gli spettacoli con animali, così poteva sedere sul lato Nord in modo da non trovarsi contro sole al mattino.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]