[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 155 / NOVEMBRE 2020 (CLXXXVI)


medievale

1233: LA PACE DI PAQUARA

IL CAPOLAVORO DI GIOVANNI DA VICENZA

di Raffaele Pisani

   

Le coordinate spazio temporali nelle quali si colloca il presente discorso sono riferibili all’Italia centro settentrionale nei primi decenni del secolo XIII. Le lotte per la supremazia del potere universale tra papato e impero e il formarsi di nuove entità che reclamavano forme di autonomia caratterizzavano le vicende politiche di quegli anni.

 

Né le istituzioni universali né i comuni avevano la forza sufficiente per stabilizzare la situazione. Questi continui conflitti, spesso sanguinosi ma mai decisivi, deprimevano la vita nei suoi aspetti economici e sociali. Pur se a livello generale la rinascita che di solito si riferisce all’anno mille procedeva in gran parte d’Europa, e la nostra penisola non era da meno, questi continui conflitti costituivano un fattore limitante per le manifatture i commerci e per tutte le attività umane in generale.

 

Una situazione di perenne precarietà per la popolazione unita a idee millenaristiche più o meno vaghe e a una propensione per un soprannaturale che irrompe nel tempo era il terreno ideale per lo sviluppo di determinati fenomeni sociali che costituiscono la cifra di tanti aspetti del costume e della mentalità medievale.

 

Il susseguirsi in un breve lasso di tempo di solenni promesse di pace seguite dalla ripresa di sanguinose controversie ci induce a vedere l’evento come un grande apparato di simulazione, di cui d’altra parte è difficile individuare il regista. Altrettanto difficile è stabilire chi abbia ottenuto vantaggi e chi ne sia stato danneggiato. In ogni caso l’uomo medievale, più di quanto lo siamo noi, è portato a vivere certi momenti solenni con una partecipazione totalizzante che lo porta a credere che ciò che sta accadendo è vero e garantito da Dio. La sua instabilità emotiva lo spinge a vivere pienamente un presente che non risente più di tanto di ciò che è accaduto appena poco tempo prima.

 

Le notizie di cui siamo a conoscenza sui predicatori che operarono in questo periodo vengono narrate in gran parte da Salimbene de Adam, francescano (Parma 1221 – San Polo d’Enza 1288), in una Cronica che scrisse in età avanzata.

 

Il movimento dell’Alleluja, che avrà il suo apice nel 1233, si proponeva di pacificare gli animi, di mitigare le pretese dei potenti e di arrivare quindi, non solo a semplici accordi politici, ma a una fratellanza universale. Nato come movimento spontaneo popolare, venne ben presto utilizzato dalla chiesa soprattutto in funzione antiereticale. I veicoli di tale messaggio erano dei predicatori, perlopiù appartenenti agli ordini mendicanti dei francescani e dei domenicani, anche se c’era qualcuno che agiva a titolo personale.

 

Viene ricordato un certo Benedetto, un eremita semplice e incolto detto frater de Cornetta, forse per un piccolo strumento a fiato che usava per richiamare i fedeli “tuba parvula aenea, sive de oricalco”, dal quale si diceva traesse suoni ora terribili ora soavi. Questi proprio nel 1233 riuscì a pacificare le fazioni del Comune di Parma. Sempre in questa città operarono altri predicatori come il minorita fra Gerardo (o Gherardo) Maurisio, che svolse di fatto per qualche tempo le funzioni podestarili.

 

Il domenicano Giacopino di Parma operò invece a Reggio, dove convinse i cittadini a edificare una chiesa dedicata all’ordine a cui apparteneva. Il francescano frate Leone, di un’importante famiglia milanese, riuscì invece a comporre le controversie dei Piacentini.

 

Alcuni erano dotti negli studi teologici ma la loro caratteristica peculiare era il modo di predicare che faceva grande presa sulla gente. La loro parola affascinava le folle e determinava nell’immediato sensibili cambiamenti nell’agire sociale, anche se si dimostreranno poco durevoli.

 

Fra tutti i predicatori dell’Alleluja la figura di fra Giovanni da Vicenza spicca per la sua autorità e per gli effetti della sua azione, che arrivò ad attirare l’attenzione delle autorità universali. Operò per un certo tempo a Bologna, poi a Padova, dove fece parte della commissione per la canonizzazione di Antonio, e Verona, ma gli effetti della sua predicazione si fecero sentire in gran parte d’Italia, specie nel Settentrione.

 

Per arrivare all’evento che ci interessa, sappiamo che nel 1233 l’imperatore era Federico II mentre il papa era Gregorio IX, due figure risolute nel porre in atto i loro propositi. Appena due anni prima il pontefice si era servito di fra Giovanni per mediare un accordo tra i comuni dell’Italia settentrionale e l’imperatore, il patto durerà poco oltre la Pace di Paquara, quando la fortuna di fra Giovani comincerà e declinare. Nella pianura padana la città di Milano, forte economicamente e ben agguerrita rinnoverà ben presto la sua opposizione alle richieste imperiali, come aveva fatto un secolo prima con il Barbarossa. D’altra parte qualche città del Nord aveva trovato conveniente schierarsi con l’impero.

 

Il passaggio dei da Romano: Ezzelino e Alberico, alla parte ghibellina aveva segnato un punto importante a favore di Federico II, che poteva ora godere di una potente famiglia alleata che da Treviso arrivava fino a Verona, considerata la porta della Germania.

 

È in questa intricata e per niente pacifica situazione che svolse la sua opera il frate domenicano Giovanni da Vicenza, chiamato anche da Schio, forse come titolo gentilizio. Giovanni e Alvise da Schio, nella pubblicazione del 1933 riportata in bibliografia, ricostruendo l’albero genealogico della famiglia che legherebbe fra Giovanni sino ai viventi del Novecento, non mancano di riconoscere che qualche dubbio permane. Il Dizionario biografico degli Italiani, Treccani, nega decisamente il legame parentale tra i conti da Schio e Giovanni da Vicenza.

 

In ogni caso che da Schio sia il nome della famiglia o indichi invece la provenienza poco interessa relativamente al tema che stiamo trattando. Antonio Godi ha tracciato le linee fondamentali della sua biografia, che peraltro presenta ancora dei punti oscuri. La sua data di nascita si colloca intorno al 1200, il padre Manelino, procuratore cittadino di Vicenza, lo avviò ben presto agli studi, prima a Vicenza poi a Padova. Proprio lì avrebbe avuto modo di ascoltare una predica di fra Domenico Guzman che lo avrebbe convinto ad abbracciare l’ordine, ricevendo la veste da Domenico stesso.

 

Le vicende relative alla Pace di Paquara sono narrate da alcuni testimoni oculari, da qualche contemporaneo e anche da qualcuno che partendo dalla tradizione orale dell’evento l’ha messa in seguito per iscritto. A titolo d’esempio riportiamo qualche nome. Oltre al Godi e al Maurisio già citati, possiamo ricordare Rolandino da Padova e Paride da Cerea.

 

Lo studio critico più completo su Giovanni da Vicenza e il movimento dell’alleluja del 1233 è opera di Carl Sutter, Friburgo 1891, tradotto in italiano nel 1900 da Maria, Gelda e Olga da Schio. Nel 1933, in occasione del settimo centenario dell’evento, Giovanni e Alvise da Schio hanno prodotto una sorta di breviario della traduzione ormai esaurita, aggiungendo qualche tratto inedito.

 

Giovanni da Vicenza era ben conosciuto nell’Italia centro-settentrionale, dove affiancava la sua azione di predicatore a quella di diplomatico, cercando di comporre le innumerevoli controversie fra i vari centri di potere. Lo vediamo molto attivo a Bologna dove è grandemente apprezzato, poi a Padova e a Vicenza dove pare per un po’ riuscire nell’opera di pacificazione. Il pontefice Gregorio IX avrebbe voluto utilizzarlo per pacificare la Toscana ma fra Giovanni, con varie giustificazioni, si sottrasse al compito.

 

Si diceva che compisse miracoli e prodigi, come ammansire animali; non solo il popolo era rapito dalla sua figura ieratica e dalle sue parole che toccavano il profondo degli animi ma anche il vescovo di Modena, Guglielmo, in un’occasione ebbe a giurare sul vangelo alla presenza del papa di aver visto un angelo del Signore porre una croce d’oro sulla fronte di Giovanni.

 

Abbiamo detto che apparteneva all’ordine domenicano e questo lo impegnava particolarmente nella difesa della retta dottrina cristiana; è ben noto che in quegli anni la purificazione da quelle che si ritenevano idee malsane non si limitava all’esortazione. Gli eretici erano visti come un corpo estraneo che infettava la cristianità e pertanto il rogo era sovente la soluzione del problema. Non si può dimenticare che nel breve periodo in cui Giovanni gestirà il potere a Verona verranno mandati al rogo sessanta cittadini condannati per eresia.

 

Eppure il suo arrivo intorno alla metà dell’anno 1233 era stato accolto con entusiasmo, il popolo catturato dalle sue prediche stravedeva per lui. A Ezzelino III da Romano, a quel tempo signore della città, parve prudente associarsi all’opinione pubblica lasciando a fra Giovanni l’esercizio del potere. Anche papa Gregorio trovò conveniente assecondare il predicatore che godeva di grande seguito nel popolo, per questo gli conferì ampi poteri ecclesiastici e giuridici.

 

Il capolavoro di fra Giovanni fu la grande adunata del 28 agosto. Da quello che hanno scritto i cronisti, poi assemblato da studiosi posteriori, possiamo leggere la seguente descrizione: «Si convenne poche miglia al sud di Verona, sulla riva destra dell’Adige, fra Tomba e San Giovanni Lupatoto, sopra una campagna di praterie detta Paquara. Vi risplendeva una schiera di principi della Chiesa con grande seguito: innanzi a tutti Bertoldo il Patriarca di Aquilea, poi i vescovi di Verona, Brescia, Mantova, Bologna, Modena, Reggio, Treviso, Vicenza e Padova; di essi Guala da Brescia e Guglielmo da Modena particolarmente legati a fra Giovanni; poi parecchi ecclesiastici di più alta importanza come l’arcidiacono Tancredi di Bologna e padre Giordano Forzatatè da Padova; finalmente un esercito di chierici secolari e regolari della città e della campagna, specialmente compagni d’ordine di fra Giovanni, tra i quali fra Bartolomeo, il Priore di Verona, e fra Jacopo Boncambio da Bologna e di altri si fa il nome, da Padova e da Parma. Nello sfarzoso corteo cavalcarono il piano i Principi secolari e i nobili Signori con i loro famigli; il Marchese Azzo d’Este, i fratelli da Romano, quelli da Camino e molti altri. Nuovi venuti continuarono ad aggiungersi, e per facilitare l’accesso dalla parte di oriente si erano gettati due ponti sull’Adige. Di parecchie città non soltanto delegati, ma tutti i cittadini, e come si trattasse di una rivista militare, quelli di Brescia, Mantova, Verona, Padova e Treviso col Carroccio. Però si vedeva subito che nulla c’era di bellicoso; le schiere usate alle armi procedevano senz’esse, seguendo i vessilli della croce spiegati al vento. Vi si aggregarono molti cittadini di Venezia, Feltre, Belluno, Ferrara, Bologna, Modena, Reggio e Parma, molti cavalieri e contadini dei castelli, dei villaggi, della pianura; e nella moltitudine innumerevoli donne».

 

Quanti fossero i partecipanti è difficile sapere, Rolando dice che mai si era veduta tanta gente riunita, Paride da Cerea azzarda la cifra di 400.000, Maurisio racconta di una infinita marea di popolo che udiva con meravigliosa chiarezza le parole del predicatore.

 

L’inverosimile nelle narrazioni del Medioevo non è cosa infrequente. Del resto altre fonti riferiscono numeri diversi e certamente più credibili; un certo Pier Zagata, nel XV secolo, scrive la Cronica della città di Verona in cui parla di 4000 persone, senza contare le donne e i bambini. Per aver un termine di paragone abbastanza attendibile, giova ricordare che Verona in quei tempi contava circa 30.000 abitanti.

 

Giovanni dall’altro di un’impalcatura riccamente addobbata profferiva a gran voce: «Pacem meam do vobis, pacem meam relinquo vobis». Per venire più nel concreto egli dispose delle norme per regolare con spirito di giustizia le controversie ancor in atto e quelle che avrebbero potuto sopraggiungere.

 

Il giorno successivo si provvederà a stilare un documento di quanto era stato proclamato oralmente, al quale i potenti convenuti giurarono fedeltà. A suggello ulteriore degli accordi Giovanni annunciò il matrimonio di Adelaide da Romano, figlia di Alberico, con Rinaldo d’Este figlio del marchese Azzo. Due famiglie acerrime nemiche finalmente pacificate.

 

A tanta magnificenza non seguì altrettanta stabilità negli accordi di pace, vi erano molti scontenti che al momento non avevano avuto il coraggio di contraddire il carismatico frate. I problemi e le controversie si fecero evidenti molto presto, lo stesso Giovanni si trovò in seria difficoltà a gestire una situazione che gli stava sfuggendo di mano; per un po’ di tempo fu anche tenuto prigioniero dei Vicentini poi riprese in parte l’iniziativa, ma orami aveva perso lo slancio che lo caratterizzava in precedenza. Il 30 di settembre fu anche costretto ad ammettere che quanto aveva affermato un mese prima non era stato determinato da spirito di imparzialità, ma per favorire i Trevigiani.

 

La sua credibilità era ormai esaurita nel Veneto, se ne ritornò a Bologna dove godeva ancora di grande apprezzamento. Lungi dal ritirarsi dalla vita attiva continuò la sua attività di predicatore, di paciere e di inquisitore per tutta la sua esistenza. La sua data di morte è collocata intorno al 1260, aveva circa sessant’anni.

 

Ezzelino riprese il potere a Verona e lo conservò come vicario imperiale. Che la lotta continuasse lo testimonia anche la scritta su di un obelisco che fa riferimento proprio alla Paquara, dalla quale dista circa quattro chilometri.

 

Si dice che mentre Ezzelino da Romano era signore di Verona i Bresciani e i Mantovani giungendo dalla Paquara devastarono ferocemente con la guerra la comunità del Bovo.

 

Porta la data del primo giugno 1234.

 

IECERINO DE ROM.

VERON. IMP. BRIX.

ET MANT. PAQUARIO

DESCENDENTES

CASTELLUM CVM

CVRIA BOVI

ACRITER BELLO

DEVASTARVNT

PRIMO IVNII

1234

 

Il già citato Pier Zagata nella sua Cronica, riferendosi al marzo dello stesso anno, accenna a un’incursione operata da Bresciani e Mantovani che prende gran parte della pianura veronese.

 

Nel 1250 con la morte di Federico II anche il potere di Ezzelino cominciò a declinare, pur cercando di destreggiarsi con alleanze e colpi di mano ottenendo anche delle effimere vittorie, a Cassano d’Adda nel 1259 le forze congiunte della Lega Guelfa e di Azzo d’Este lo sconfiggeranno definitivamente, ferito e incarcerato nel castello di Soncino, verrà a morire poco dopo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

M. Bloch, La società feudale, Giulio Einaudi Editore, Torino 1980.

Giovanni ed Alvise da Schio, Fra Giovanni da Vicenza a Paquara, Paolo Marzari, Schio 1933.

R. Facci, La pace di Paquara, in AA.VV., La Paquara e Sorio, Editoriale Bortolazzi Stei, San Giovanni Lupatoto (VR) 1999.

C. Sutter, Fra Giovanni da Vicenza e l’Alleluja, traduzione di Maria, Gelda e Olga da Schio, edizioni Galla, Vicenza 1900.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]