[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

170 / FEBBRAIO 2022 (CCI)


contemporanea

SULLA SECONDA DECADE DELL’ONU

THE "BASIC NEEDS" THEORY

di Luisa Tamiro

 

Nel corso degli anni Settanta, le Nazioni Unite si dimostrarono favorevoli a una serie di conferenze di respiro internazionale, le quali posero l’accento sull’interconnessione tra crescita economica e sviluppo inteso come tutela ambientale per esempio, o, ancora sicurezza alimentare. Venne posto in risalto come proprio quei Paesi che presentarono crescite modeste a livello di Pil, allo stesso tempo furono colpiti da povertà dilagante ed alti tassi di disoccupazione, ragion per cui fu necessario un cambio di strategia fondata sulla risoluzione immediata dei problemi di povertà e distribuzione del reddito e delle ricchezze.

 

Fu proprio in questi anni che prese corpo il famigerato approccio ai bisogni fondamentali, soprattutto all’interno del mondo accademico il quale si prodigò di delineare con maggiore nitore gli scopi e i risultati da raggiungere. A tal proposito, l’Assemblea generale il 24 ottobre 1970 proclamò la Seconda Decade dell’Onu per lo sviluppo, adottando contestualmente una strategia internazionale. La pianificazione della decade fu a carico del comitato per la pianificazione allo sviluppo formato da diciotto gruppi di esperti nominati dal Segretario generale, a tale pianificazione parteciparono anche il Segretariato delle Nazioni Unite e il Consiglio economico e sociale, e a livello intergovernativo anche il comitato economico dell’Ecosoc prese parte.

 

La strategia internazionale di sviluppo pose l’accento su specifiche riforme a livello quantitativo e qualitativo puntando sull’impiego, istruzione, salute e nutrizione. Tutte misure furono destinate a migliorare la partecipazione giovanile allo sviluppo, quindi il benessere dell’infanzia, e, soprattutto favorire l’integrazione negli sforzi allo sviluppo. La responsabilità di concretizzare queste misure giacque in capo ai paesi in via di sviluppo, sebbene fossero assistiti dai paesi industrializzati, dacché nell’agenda programmatica vi furono una serie di propositi oltre alle specifiche misure delineate poc’anzi, come ad esempio la divisione del lavoro, l’espansione e la diversificazione del processo produttivo, per arrivare poi a una formula di cooperazione al Sud del mondo.

 

Sebbene gli obiettivi prefissati per la crescita economica all’interno della prima decade non furono raggiunti, i propositi concernenti la seconda decade furono ancora più esigenti in termini di risultati, e, possono essere esplicati in tal modo:

1) Growth target: cioè obiettivo di crescita nei paesi in via di sviluppo, e, si prefissò come risultato da raggiungere una media annuale di crescita del prodotto lordo che ammontava al 6 per cento; andando a considerare invece la crescita del prodotto pro-capite all’interno sempre dei paesi in via di sviluppo, questa avrebbe dovuto essere del 3,5 per cento, accelerandola nella seconda metà della decade dividendo per settori e prevedendo una crescita del 4 per cento nel settore agricolo, e, dell’8 per cento nel settore manifatturiero.

2) Domestic saving and trade: per quanto concerne il risparmio interno lordo, la percentuale avrebbe dovuto essere pari allo 0,5 per cento, arrivando poi alla bilancia commerciale, quindi esportazioni maggiori del 7 per cento e importazioni meno del 7 per cento.

3) Integrated sectorial policies: cioè politiche settoriali integrate, dal momento in cui lo scopo precipuo che sottese l’etica dello sviluppo fu fornire le stesse opportunità a tutti gli individui, per migliorare i loro standard e tenori di vita sarebbe stato necessario portare a termine un’equa distribuzione di reddito e ricchezza, innalzando il livello di occupazione, creando infrastrutture, puntando dunque sull’istruzione, la salute e di conseguenza la salvaguardia dell’ambiente.

 

Ogni paese in via di sviluppo, avrebbe dovuto elaborare i propri obiettivi di occupazione per assorbire le richieste della forza lavoro; quindi prestare attenzione all’istruzione, promuovendo l’alfabetizzazione, e, la creazione di strutture scientifiche e tecnologiche. Inoltre ciascun paese in via di sviluppo avrebbe dovuto stilare un piano per la salute, dunque il trattamento delle malattie, così come i livelli di nutrizione avrebbero dovuto essere migliorati in termini di apporto calorico e contenuto proteico; e infine come ribadito ab inizio, occorse puntare sull’inclusionedelle giovani generazioni in merito alla partecipazione al processo di sviluppo, incoraggiando anche il coinvolgimento delle donne.

 

La strategia previde che i paesi in via di sviluppo avessero dovuto ricoprire la massima responsabilità per il finanziamento del loro sviluppo, mobilitando tutte le loro risorse interne, e assicurandone un uso efficiente. Già dal 1972, i paesi economicamente avanzati dovettero fornire l’1 per cento del loro prodotto interno lordo sotto forma di finanziamenti ai pvs; peculiare importanza venne ascritta alla cosidetto official development assistance cioè una forma di assistenza che previde un trasferimento di prodotto interno lordo dai paesi avanzati verso quelli in via di sviluppo, che ammontasse allo 0,7 per cento, maggiorato dunque rispetto a quello già previsto in precedenza.

 

Un ruolo di primo piano fu ascritto al capitale privato straniero, sempre nel quadro della strategia, all’interno della quale i paesi in via di sviluppo avrebbero dovuto adottare misure appropriate, al fine di fare un uso efficiente di tale capitale, investendolo nelle aree interessate; questi flussi di capitale vennero implementati proprio dalle misure adottate da parte dei paesi avanzati, in linea con i piani di sviluppo dei paesi riceventi. I least-developed countries cioè i paesi meno sviluppati vennero identificati nel quadro della strategia come un vero e proprio target cioè obiettivo a cui tendere in termini di miglioramento e garanzia del progresso economico e sociale, mettendo loro nella posizione di trarre beneficio dalle politiche sulle quali fu fondata la seconda decade dell’Onu per lo sviluppo. Tra queste vanno menzionati i programmi di assistenza tecnica e aiuto finanziario, o ancora, le misure per espandere e diversificare le strutture produttive, così da poter permettere di partecipare alle dinamiche afferenti il commercio internazionale.

 

La scienza e la tecnologia, hanno da sempre avuto un ruolo chiave nel processo di sviluppo, sin da quando le Nazioni Unite si cimentarono in tale campo. Basti pensare che i paesi in via di sviluppo, dagli anni Settanta in poi furono disposti a investire lo 0,5 per cento in ricerca e sviluppo. Il programma di ricerca avrebbe promosso lo sviluppo di tecnologie confacenti alle richieste dei paesi e delle regioni in questione. L’assistenza allo sviluppo assicurò il trasferimento di tecnologia dai paesi avanzati a quello in via di sviluppo, come parte integrante della strategia, anche attraverso un programma mirato a promuovere e realizzare questo tipo di trasferimenti che fu redatto dalle organizzazioni internazionali assieme ai paesi sviluppati e non.

 

Lo sviluppo umano rappresentò la componente essenziale nella strategia della seconda decade. Già dagli anni Sessanta, si coltivò l’idea che la crescita economica costituisse la base per lo sviluppo umano e sociale, ragion per cui i paesi avanzati di concerto con le organizzazioni internazionali si prodigarono ad aiutare i pvs a raggiungere gli obiettivi in materia di impiego, o per meglio dire occupazione, strettamente interconnessi però con le politiche in materia di istruzione e di salute. Ad esempio l’accento venne posto sui programmi di formazione per i docenti, garantendo un cospicuo flusso di risorse di carattere pedagogico. I pvs furono assistiti nella redazione dei piani per la salute, comprendenti apposite strutture dove curare le malattie, auspicandone la debellazione attraverso campagne di respiro internazionali. Furono adottate politiche di sviluppo e produzione di cibo ad alto contenuto proteico, attraverso assistenza di carattere tecnico-finanziario.

 

La strategia pose l’accento sulla sovranità piena e completa dei pvs sulle loro risorse naturali. A tal proposito questi ultimi introdussero tutta una serie di misure volte a modernizzare e a rendere efficiente la produzione agricola, promuovendo in parallelo lo sviluppo industriale, “per raggiungere una più rapida espansione e diversificazione delle loro economie” , stimolando la crescita delle industrie che utilizzarono materie prime, dando man forte allo sviluppo di inputs per il settore agricolo e lo stesso industriale, e sicuramente favorendo risultati incoraggianti per le esportazioni. I paesi avanzati e le organizzazioni internazionali, sulla base di tali progressi, continuarono ad assistere i pvs, nel processo di espansione delle infrastrutture di base, sempre attraverso politiche di assistenza finanziaria e tecnica.

 

La strategia internazionale per lo sviluppo approvata il 24 ottobre 1970 si rivelò deludente per i paesi in via di sviluppo, in termini di disponibilità dei mezzi utili per gli obiettivi di crescita di tali paesi, e, quest’ipotesi sottese la Dichiarazione sui problemi economici approvata dalla IV conferenza dei capi di stato o di governo dei Paesi non allineati del settembre 1973, poiché una volta raggiunti gli obiettivi della seconda decade, il prodotto nazionale lordo dei paesi in via di sviluppo sarebbe aumentato di solo 85 dollari, diversamente dai paesi industrializzati che avrebbero registrato un incremento di pari ammontare a 1200 dollari. Dunque, un evento di rilievo fu lo shock petrolifero che configurò un passo decisivo per la definizione del potere economico internazionale, dato il tentativo dei Pvs di affrancarsi da quella situazione di dipendenza economica. La dichiarazione del 1973, a tal proposito prefigurò una strategia per il perseguimento dell’indipendenza e dello sviluppo economico nell’ottica delle relazioniinternazionali.

 

L’ONU e l’UNCTAD furono gli strumenti ideali per la garanzia di tali principi, tant’è vero che l’Assemblea generale venne esortata per l’approvazione di una Carta dei diritti e doveri degli Stati, per poter realizzare le aspirazioni politiche ma soprattutto economiche per tutti quei Paesi in prima linea che si batterono per ottenere sviluppo e indipendenza. Così il 9 aprile del 1974 venne convocata una sessione straordinaria in seno all’Assemblea generale per confutare circa la questione delle materie prime e naturalmente dello sviluppo, per arrivare al 1 maggio dello stesso anno, in cui venne adottata per consensus una Dichiarazione e un Programma per lo stabilimento di un nuovo ordine economico internazionale; questi due documenti contemplarono un mondo in cui tutti gli Stati avrebbero potuto scegliere la loro strada verso lo sviluppo, attraverso l’esercizio della piena ed effettiva sovranità sulle attività di carattere economico e sulle risorse naturali.

 

Dato il crescente divario tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, gli stati membri dell’ONU proclamarono la loro volontà di instaurare un nuovo ordine economico internazionale (NOEI), fondato su equità, eguaglianza, interdipendenza, e un sistema di cooperazione in grado di correggere le disuguaglianze e le ingiustizie. Le Nazioni Unite, in qualità di organizzazione internazionale capace di trattare le problematiche afferenti la cooperazione economica, avrebbero dovuto istituire un forum per la realizzazione di questi assunti o pilastri, che stettero alla base della costruzione di un nuovo paradigma soprattutto a livello economico.

 

L’Assemblea generale, il 12 dicembre del 1974, approvò la Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati, dove per diritti si fece lapalissiano riferimento ai Pvs, i doveri invece sottesero l’etica dei Paesi industrializzati. La realizzazione dei principi contemplati all’interno del Nuovo ordine economico internazionale, venne alla luce solo nel 1976 con la conseguente approvazione da parte dell’UNCTAD di un Programma integrato per le materie prime, e, nel 1977 venne convocata un’ulteriore conferenza per la creazione di un fondo comune per le materie prime appunto, che non venne però mai alla luce. Tuttavia l’intero dibattito fondato sulla realizzazione di un nuovo ordine economico internazionale ebbe esiti deludenti, tali da spostare l’attenzione su un nuovo approccio allo sviluppo, il quale pose l’accento sull’implementazione dei cosiddetti basic needs cioè i bisogni ineluttabili che compresero componenti essenziali per la vita quali il cibo, l’assistenza sanitaria, l’accesso all’istruzione.

 

Questo nuovo approccio nacque proprio dai risultati poco gratificanti che derivarono da quei progetti di sviluppo imperniati su variabili macroeconomiche come il prodotto nazionale lordo, i tassi di risparmio e di investimento, che sostennero la crescita però senza alcun cenno di sviluppo. Questa nuova strategia fu adottata dall’OIL nel 1976, e su quest’ultima venne imperniato l’operato della Banca mondiale guidata da Robert McNamara. Dal lavoro dell’OIL e della Banca Mondiale, emerse anche la strategia della Redistribution with Growth, cioè la riduzione della povertà e della disuguaglianza nei redditi individuali poté essere raggiunta attraverso il trasferimento del Pil derivante dalle politiche di sviluppo, nei confronti degli strati più poveri della popolazione, con politiche sociali apposite e di reinserimento lavorativo. Peculiare importanza venne conferita agli investimenti di capitale umano, alle politiche che alleviarono la povertà, quest’ultima di fatto diventò il dossier principale su cui puntò la strategia della Banca Mondiale, la quale facendo leva su una serie di rapporti, come quello Pearson del 1969, valutò l’azione delle Nazioni Unite in tema di sviluppo.

 

Per la verità il concetto dei basic needs che sottese il nuovo approccio allo sviluppo fu per la prima volta utilizzato nel discorso annuale del Presidente della Banca Mondiale nell’anno 1972, fu proprio in tale occasione che quest’ultimo cercò di trovare una probabile conciliazione tra la crescita e la giustizia intesa in senso sociale, riportando le condizioni in cui versarono i popoli del Sud del mondo, impossibilitati a soddisfare i loro bisogni appunto essenziali o meglio primari. Per cui la crescita dovette essere ripensata in termini di bisogni umani come diritto a godere di una sana ed equa nutrizione, salute, abitazione e occupazione. La percentuale stimata di coloro i quali furono costretti a vivere in condizioni di assoluta povertà ammontò al 40 percento, di fatto il Presidente McNamara fece una dicotomia tra povertà per così dire relativa e assoluta, quest’ultima venne definita come “una condizione di vita limitata tale da impedire la realizzazione dei geni con il quali si è venuti al mondo” .

 

Riallacciandosi a tale asserzione, nel 1976, in occasione della conferenza mondiale sull’impiego, detta World Conference on Employment lanciata dall’OIL, venne spiegato come i basic needs inclusero due componenti, che poterono essere ricondotti al diritto di godere del consumo privato per quanto riguarda le famiglie, e ai servizi essenziali forniti alla comunità in generale su larga scala come l’accesso all’acqua, alla sanità, al trasporto pubblico e a tutte le strutture di carattere culturale.

 

La teoria dei bisogni fondamentali propugnò una concezione eminentemente naturalistica del sociale, collocando così l’uomo all’interno della natura, questa collocazione implicò che l’essere umano avesse bisogno di appagare i propri bisogni primari, essenziali alla sopravvivenza, non disgiunti da quelli che forgiarono l’uomo dal punto di vista culturale. E a questo punto va fatto riferimento alla dichiarazione dell’UNESCO, in tema di sviluppo, il quale dovette essere centrato sull’essere umano e sui bisogni di cui questo si fece portavoce, quindi si può notare come emerse in quegli anni una nuova dimensione, eminentemente umana, che puntò a centralizzare l’uomo, a essenzializzarlo o sintetizzarlo nei bisogni indispensabili che caratterizzarono la vita di tutti i giorni, la quotidianità.

 

Le variabili macroeconomiche ebbero altresì importanza, contestualizzata però all’interno dell’ambito economico, che da solo non poté permettere uno sviluppo duraturo o confacente alle necessità dell’uomo in quanto tale. Non è la mera logica del mercato a dover prevalere, piuttosto un paradigma nuovo che riesca a coniugare crescita in termini di sviluppo umano con crescita intesa in termini di variabili macroeconomiche. L’aspetto strettamente economico fu messo da parte, dacché ha dimostrato esiti fallimentari non solo in termini di prestazioni ma soprattutto in termini di esiti, di risultati e targets prefissati.

 

La decade si chiuse con la pubblicazione di un rapporto redatto da una commissione indipendente delle Nazioni Unite, presieduta dall’ex cancellieretedesco Willy Brandt; tale rapporto riportante il seguente titolo North-South: a Programme for Survival, noto comunemente come Brandt Report implicò la partecipazione all’interno della commissione redattrice di figure di rilievo in ambito economico come Raul Prebisch, Luis Echeverria, Enrique Iglesias, Mahbub Ul Haq, e Gamani Corea. In tale rapporto venne teorizzato un nuovo paradigma economico improntato sul Keynesismo globale necessario per incrementare gli aiuti allo sviluppo, l’apertura dei mercati situati al Nord, alle importazioni dal Sud, e in ultimo la ristrutturazione del sistema economico internazionale.

 

Facendo un parallelismo con il punto quarto del discorso inaugurale di Truman, trattato all’inizio di questo lavoro, si può dedurre che il rapporto Brandt teorizzò un ideale di uomo libero e indipendente dalla fame,dall’oppressione; è stato inoltre osservato che l’estrema povertà dilagante nel Sud del mondo fu dovuta a dinamiche interne che rimasero tali nonostante l’ingente flusso di aiuti proveniente dal Nord del mondo; quando si parla di immutabilità di tali dinamiche si fa lapalissiano riferimento ai regimi di governo, dunque alle forme dittatoriali che afflissero i sistemi sociali e culturali all’interno delle aree interessate.

 

Quindi sicuramente l’aiuto da parte del Nord sarebbe stato necessario al fine di abbattere tali regimi, dunque un aiuto dal punto di vista politico orientato verso la creazione di sistemi democratici e, dal punto di vista economico un incremento di aiuti attraverso l’aumento di esportazioni dal Sud verso il Nord. Queste aspettative furono perfettamente calzanti con il discorso pronunciato il 22 ottobre dal Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, il quale promosse un approccio allo sviluppo imperniato sulla libertà di mercato, sulla liberalizzazione di capitali e commercio, tutti principi che sottesero la ratio della globalizzazione.

 

Sebbene il report Brandt avesse avuto un effetto transitorio all’interno del dibattito sullo sviluppo, esso inaugurò l’avvento di una nuova era, in cui a essere messi in risalto furono i diritti umani, ossia la dimensione umana, come determinante a creare la nuova prospettiva dello sviluppo. Già dagli anni 80’ si assistette alla formazione delle basi o dei prodromi per un nuovo paradigma di sviluppo, intenso in senso strettamente umano; si delinearono così le premesse per una nuova dimensione di sviluppo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

C.N. Murphy, The United Nations Development Programe. A better way? , New York, Cambridge University Press, 2006, pp. 145-151.

A. Campolongo, La strategia internazionale dello sviluppo. Il primo ed il secondo decennio delle Nazioni Unite per lo sviluppo, in “Il Politico” XXXVII, 1972, 3, pp. 455-465.

O. Stokke, The Un and Development: From aid to Cooperation, Usa, Indiana University Press, 2009, pp. 165-166.

C. Meneguzzi Rostagni, Politica di potenza e cooperazione, Wolters Kluwer, Milano 2013, pp. 313.

W.C. Thiesenhusen, Redistribution with Growth, in “Journal of economic issues” X, 1976, 3, pp. 628- 638.

G. Rist, The history of development, Zed books ltd, London 2008, pp. 162-163.

L.S. Wittner, The Truman doctrine and the defense of freedom, in “Diplomatic History” IV, 1980, 2, pp. 161-187.

A. Polsi, Storia dell’Onu, Laterza, Roma-Bari 2006. 

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]