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N. 96 - Dicembre 2015 (CXXVII)

POLITICA VIOLENTA
LA MORTE DI OLOF PALME

di Filippo Petrocelli

 

Il 28 febbraio 1986 poco dopo le undici e venti di sera, due colpi sparati alle spalle di Olof Palme mettono fine alla vita del Primo ministro svedese in carica dal 1982. Oltre il sangue sull’asfalto delle strade di Stoccolma, quest’omicidio turba i sonni di un paese che al tempo non ha ancora fatto la conoscenza di episodi di violenza politica rilevante dal dopoguerra. La Svezia in fondo è questo: un tranquillo paese “periferico” dell’Europa, dove tutto è pulito, ordinato, organizzato e anche i conflitti sono mitigati.

 

Ma Olaf Palme è qualcosa di più di un semplice politico di primo piano, leader del Partito socialdemocratico svedese. È il simbolo vivente della socialdemocrazia scandinava, uno dei politici più amati degli anni Settanta e Ottanta. Un uomo che incarna meglio di altri quello spirito del nord, capace di seguire una via alternativa sia al capitalismo da libero mercato, sia all’economia pianificata dei paesi socialisti, costruendo un modello di sviluppo misto, molto attento allo stato sociale, alla redistribuzione delle ricchezze e alle libertà individuali.

 

È uno controcorrente Palme: pacifista convinto, profondo critico del Sudafrica dell’apartheid, appoggia almeno a parole, tutta una serie di movimenti “terzomondisti”: dall’African national congress all’Olp, passando per elogi ai Vietcong e Cuba, non lesina accusa all’imperialismo nordamericano, pur essendo la Svezia comunque saldamente inserita nell’orbita occidentale.

 

Il primo ministro svedese esprime profonde critiche e sostanziali turbamenti anche rispetto al sistema del socialismo reale e a tutto il mondo del Patto di Varsavia, al punto da non essere proprio il politico più stimato oltre la Cortina di ferro. Insomma un “battitore libero” al quale i nemici non mancano.

 

In quei giorni di metà anni Ottanta, il ruolo di Palme è quello di provare a trovare una mediazione per conto dell’Onu riguardo la guerra fra Iraq e Iran. Una guerra “regionale” scoppiata nel settembre 1980 e durata otto anni, in cui confluiscono e si legano interessi geopolitici ed economici di nazioni diverse e grandi potenze.

 

Gli americani finanziano le due parti in conflitto, non senza sfruttare i propri servizi segreti, che giocano un ruolo di primo piano nel rifornimento di armi, mentre l’Urss sulla carta sostiene Saddam Hussein.

 

Palme prova a districarsi in una boscaglia fatta di servizi segreti, depistaggi, fondi neri, operazioni sotto-copertura e business, con la diplomazia svedese schierata fin dall’inizio per un cessate il fuoco immediato.

 

Proprio quel 28 febbraio 1986 Palme sembra preoccupato e teso. Ma il periodo è molto intenso e il suo staff non sembra preoccuparsi. Poi la sera, il primo ministro liquida la scorta per recarsi con la moglie, il figlio e la sua compagna al cinema, ma mentre sta per rincasare dopo le spettacolo, in pieno centro a Stoccolma, viene raggiunto alle spalle da un uomo che esplode diversi colpi di pistola.

 

Anche la moglie resta ferita in modo superficiale ma Olof Palme muore poco dopo gli spari. Il killer fugge agile nelle strade buie e gelate della capitale svedese non lasciando apparentemente tracce.

 

La polizia arresta Christer Patterson, un criminale di piccolo calibro, riconosciuto dalla moglie di Palme in un confronto. Patterson viene condannato all’ergastolo nel 1988, ma già un anno dopo, l’appello annulla la sentenza perché non è mai stata ritrovata l’arma del delitto, una magnum 357.

 

Inoltre il quadro accusatorio contro il “rubagalline” Patterson non sembra granitico e l’accusato viene prosciolto e persino risarcito. Tuttavia mantiene un atteggiamento ambiguo riguardo al caso, alternando momenti in cui si assume la responsabilità del fatto ad altri in cui nega categoricamente ogni coinvolgimento.

 

Le acque si confondono e dal quel momento l’omicidio di Palme diventa un caso irrisolto sul quale si inizia a fantasticare. Le ipotesi sugli esecutori e sui mandanti non mancano anche se si sovrappongono supposizioni realistiche con scenari “complottisti” in cui forze occulte agiscono nell’ombra.

 

Si parla di servizi segreti jugoslavi dell’Ubda e di esuli nazionalisti croati in un’intricata matassa fatta di dissidenti, doppiogiochisti e criminali in cui compare persino il nome di Željko Ražnatović, detto Arkan. Oppure di una pista interna in cui apparati deviati dello stato profondo svedese manovrano cellule neonaziste o del coinvolgimento, forse più realistico, dei servizi segreti sudafricani e di mercenari del Rhodesia, in una specie di fronte allargato dei sostenitori dell’apartheid e del dominio afrikaner. Il perno di questa storia è Athol Visser, mercenario e autore di best seller che si è assunto la responsabilità dell’omicidio Palme.

 

Ancora oggi il caso è irrisolto ma Palme resta nel cuore degli svedesi, come il tappeto di rose che il giorno dopo ricoprì il luogo dell’attentato.



 

 

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