[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 155 / NOVEMBRE 2020 (CLXXXVI)


arte

ODILON REDON

IL LITOGRAFO DEL DOLORE

di Costanza Marana

 

Il mondo onirico ed evanescente della poetica di Odilon Redon (Bordeaux, 1840- Zurigo, 1916) irrompe nella scena artistica nella seconda metà dell’Ottocento. Il suo imprinting evoca le atmosfere descritte da Baudelaire, l’opprimente spleen, l’immaginifico, la marcescenza del visivo, il senso del mistero.

 

Spirito coltivato in un clima di solitudine, esule dagli affetti familiari, poiché trascorre la sua infanzia in campagna a causa di una fragilità fisica che richiedeva un’aria sana. Nella residenza dello zio a Peyrelebade, tra le filiere dei vigneti e una foschia che rende l’ambiente rarefatto intorno, germoglia il senso dell’immaginario e dell’invisibile in Odilon.

 

L’atmosfera di abbandono avvolge il paesaggio colorandolo di una malinconia dolce. Qui coltiva uno sfrenato individualismo, una sensibilità poetica e un suo personale modo di osservare e meditare sul creato che lo circonda. Il motus delle nuvole sopra di lui lo affascina, i suoi rovi, i suoi sentieri: egli crea un legame indissolubile con la natura, la interiorizza e la sublima nei suoi pensieri.

 

Negli studi risulta irregolare, prenderà lezioni di pittura da vari maestri a Parigi, Stanislas Gorin e Gérôme, ma, insofferente ai dettami scolastici e consapevole di un suo disagio innato in situazioni accademiche, fa ritorno alla città natale. Segue il suo istinto e si accompagna a mentori che stimolano la sua curiosità e intelletto come il botanico Armand Clavaud, desideroso di conoscere il legame tra natura e uomo, i segreti del mondo vegetale, approcciandosi a Darwin e Spinoza. Il suo maestro per eccellenza sarà l’incisore Rodolphe Bresdin, di indole anticonformista, dotato di una psiche complessa che riverserà nelle sue acqueforti visionarie. Questa amicizia segna nel profondo Odilon che comincia a riflettere sulla visione che Bresdin gli trasmette.

 

Gli oggetti cominciano ad acquisire una dimensione diversa ai suoi occhi, celano significati nascosti, reconditi. La materia come portatrice di misteri ineludibili, come una coltre da sollevare, appropriandosi del senso più profondo dell’essere. Non c’è un desiderio di verità, ma una volontà di sublimare il presente attraverso l’osservazione. Redon, grazie all’incontro con Bresdin, varca la soglia dell’immaginario e crea una sua personale poetica. Egli infatti connoterà le sue opere del “non finito” e dello “sfumato”, a differenza del dettaglio che regna sovrano nelle acqueforti dell’amico incisore.

 

Varcato il limite del sensoriale, Odilon trascende l’elemento visibile e approda a una conoscenza ideale-filosofica che tratta delle interrelazioni tra gli oggetti. Egli osserva il creato nella sua dialettica tra conscio e inconscio e riporta su tela quest’atmosfera trasognata al limite del surreale. Questo habitus verrà contaminato dall’incontro con il “verismo” di Corot e il naturalismo della Scuola di Barbizon. Odilon apprende come razionalizzare l’elemento fantastico e fa suo il monito: “mettere sempre accanto a una certezza un’incertezza”.

 

Nel cammino verso la maturità artistica e personale un passo importante sarà la partecipazione nel 1868 alla guerra franco-prussiana. L’impatto di una situazione esasperata come quella bellica e la convivenza collettiva durante il conflitto sdoganeranno parte della sua “timidità”. Si apre al mondo e all’incontro con i vari artisti di Montparnasse a Parigi, e frequenta dei salotti letterari in voga.

 

Interiorizzato il suo nuovo essere e sentire, egli decide di scrivere un diario dei suoi pensieri A sé stesso. Il tassello definitivo verso lo sprigionarsi della piena personalità di Odilon sarà la morte del padre nel 1874, che inibiva molti dei suoi slanci artistici. Si perfeziona nella tecnica dei disegni a carboncino e delle litografie ad olio; dopo una prima fase dedicata solo all’utilizzo del colore nero, egli dipingerà esclusivamente con tutti i colori, stigmatizzando una nuova era dove ha la piena percezione del suo ego. Dallo scuro della notte alla luce e al cromatismo. La sua continua ricerca verso la sua vera essenza approda a un idealismo artistico, dove l’indeterminatezza e il mistero dominano la scena. «I miei disegni non ispirano e non definiscono. Non determinano niente. […] forme in divenire o che si configurano a seconda dello stato d’animo di chi guarda».

 

In opere come La notte (1910-1911) si percepiscono le vibrazioni di figure che provengono dall’interno del proprio essere, un misticismo latente si respira nell’atmosfera rappresentata. I contorni non sono mai netti, il precetto della poetica di Mallarmè e Verlaine dell’“evocato, sfumato e non colore” trova risonanza in Odilon.

 

Egli attraverso l’arte compie un viaggio verso l’ignoto anelando alla rivelazione, un cammino taumaturgico verso la liberazione dal sensoriale e dal conoscibile. Non esiste univocità, ma “non sense”, ambiguità e ambivalenza. Egli denigra ogni tentativo di dare un habitus letterario alle sue opere che, seppure ispirate da scritti di Baudelaire, Poe e Flaubert, serbano un’indipendenza artistica. Rifiuta strenuamente chi vuole catalogarlo nel simbolismo di cui non approva l’esoterismo, occultismo e gli artifizi scenici.

 

Innegabile il collegamento con lo scrittore Huysmans che lo definisce quale “Principe dei sogni misteriosi, paesaggista delle acque sotterranee e dei deserti sconvolti dalla lava” – “ il sottile litografo del dolore, il negromante della matita”. Nel suo romanzo “A rebours” il protagonista si circonderà di opere di Redon.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]