Sulle novelle di Thomas Mann
UnA scrittura "lenta"
di Gaetano
Cellura
Una
delle cose che Thomas Mann ci ha
insegnato è di scrivere con
lentezza, con lentezza estrema.
Procedere di un rigo, di un solo
rigo gli costava a volte mesi di
lavoro. Forse per questo le sue
novelle sono lunghe prose poetiche.
Che con altrettanta lentezza, e
almeno due volte di seguito,
andrebbero lette. In specie la
novella La morte a Venezia.
Elaborata “opera d’arte”.
Il
grande scrittore tedesco aveva
ventisei anni, era il 1901, quando
vide pubblicato il suo primo
romanzo, I Buddenbrook. Un
senso di morte invadeva la
letteratura. E le sue novelle -
Tristano (1903), Tonio Kröger
(stesso anno), La morte a Venezia
(1912) - ne sono dominate. Tutti e
tre riprendono o anticipano motivi
trattati ne
I
Buddenbrook
e più avanti ne La
montagna incantata: la decadenza
di un’antica famiglia, la vita
osservata da un sanatorio,
un’inquietudine dello spirito che
spinge i suoi protagonisti a mutar
cieli, svignarsela verso il Baltico,
la Danimarca; verso il Sud: Venezia,
l’Italia. O a rinchiudersi nelle
stanze stile impero dell’albergo La
Quiete.
Tutt’e
tre hanno uno scrittore per
protagonista: Spinell, Kröger e von
Aschenbach: in vari modi anime
gemelle dello stesso Mann e uomini
del decadentismo: arte e vita in
loro si incontrano, si illuminano,
prima di digradare nelle forme
imperfette della condizione umana.
Incarnano il tramonto dell’ideologia
romantica, la già annunciata (da
Nietzsche, con largo anticipo) fine
dell’Europa, e l’amore e la bellezza
come sinonimi di morte. Eros e
thanatos, binomio inscindibile.
Dei
protagonisti delle novelle solo
Spinell, sano tra i malati, non ha
pulsioni omoerotiche. Ma plagia e
trascina nel suo lugubre trasporto,
attraverso le note della morte
d’amore del Tristano e Isotta
di Wagner, la moglie del signor
Kloterjahn, venuta
all’albergo-sanatorio La Quiete per
curarsi i polmoni e a cui risulta
fatale lo sforzo di suonare il
pianoforte. Apollineo e dionisiaco
si coagulano nella novella
Tristano, apparentemente quella
che si legge meglio.
Tonio
Kröger è il borghese sviato
nell’arte. Ma parimenti a disagio
nel mondo della vita e nel mondo
della bellezza artistica. Perché il
vero calore di cui sente il bisogno
è quello di una vita ordinaria e di
amicizie normali: basta letterati,
demoni, coboldi! La letteratura non
è una vocazione: è maledizione!
E su
questa sua difficile condizione
esistenziale Kröger riflette durante
un viaggio nell’Europa del Nord. Per
lui soltanto il “borghese amore per
l’umano e il vivo e l’ordinario è
realmente in grado di fare di un
letterato un poeta”. Il mormorio del
mare accompagna questi suoi
pensieri. Per le sue elevate qualità
musicali,
Tonio
Kröger
è la novella più vicina al cuore
dell’autore e la più amata dai
giovani.
Infine
(in ordine di tempo) Aschenbach. Il
“solitario” Aschenbach al cui “cuore
invecchiante era troppo caro il
delirio”. Rispetto ai primi due è
forse il vero “gemello” di Thomas
Mann. Durante una vacanza a Venezia
incontra il giovinetto polacco
Tadzio, di indicibile bellezza,
anche lui in vacanza con la famiglia
nella città lagunare.
Guardandolo, due pensieri pulsano
immediatamente nella testa dello
scrittore solitario: la bellezza
fisica come via che conduce allo
spirito; e la dolorosa impossibilità
della parola di poterla
rappresentare. Era così perfetta la
bellezza del ragazzo da ricordargli
“le sculture greche dell’epoca
aurea”. Una bellezza che la parola
poteva solo celebrare.
Sin
dal primo incontro nella hall
dell’albergo veneziano Aschenbach
guarda Tadzio con discrezione. Con
discrezione se ne innamora. Con
discrezione lo segue (o insegue) per
le calli della città lagunare. Sino
alla fine. Allorché lo vede
procedere “a capelli sciolti nel
mare, nel vento”; e indicargli
“benefiche immensità”.
Realtà
oppure sogno, è l’ultima immagine
che appare agli occhi di von
Aschenbach prima di addormentarsi
per sempre. Eros ha incontrato
thanatos in una Venezia colpita dal
colera asiatico. E in un’opera densa
di presagi di morte sin dal
principio.
Siamo
ancora nel 1912. E Mann, a
trentasette anni, già immagina la
vecchiaia che vorrebbe. E con
l’originale lentezza della sua prosa
la descrive. Ed è una vecchiaia
artisticamente perfetta come quella
di Aschenbach. La propria anima,
l’anima dello scrittore-artista
affidata, nell’ora del trapasso,
alla bellezza divina dell’amato
Tadzio.
Novella esemplare,
La
morte a Venezia
chiude il primo periodo delle opere
narrative di Mann. Verranno poi
altri due grandi romanzi, diversi
però da I Buddenbrook.
Verranno La montagna incantata
(1924) e Doctor Faustus
(1947). E, tra i due, il
Premio Nobel, il nazismo, l’addio
dello scrittore alla Germania, la
cittadinanza americana. Nella sua
bella casa della California, con
vista sul Pacifico, Mann scrive il
Doctor Faustus. Che suggella
metaforicamente il patto della
Germania con il demonio nazista.
Quel
demonio che gli aveva insegnato
l’odio “per la prima volta nella
vita”. E contro il quale riteneva
necessario un umanesimo militante e
virile. Perché i suoi elementi di
tolleranza, bontà, amore per il
dubbio, in certe circostanze,
possono essergli fatali. E fatali
alla civiltà. Non solo Aschenbach:
anche i protagonisti delle altre due
novelle, Spinell e Kröger sono
adoratori della bellezza; e
seguendone la via non possono che
incontrarvi Eros. E quindi Thanatos.
Tutti vivono l’arte come vita e la
letteratura come (sola) arte.