[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 214 / OTTOBRE 2025 (CCXLV)


arte

Sulle novelle di Thomas Mann
UnA scrittura "lenta"
di Gaetano Cellura

 

Una delle cose che Thomas Mann ci ha insegnato è di scrivere con lentezza, con lentezza estrema. Procedere di un rigo, di un solo rigo gli costava a volte mesi di lavoro. Forse per questo le sue novelle sono lunghe prose poetiche. Che con altrettanta lentezza, e almeno due volte di seguito, andrebbero lette. In specie la novella La morte a Venezia. Elaborata “opera d’arte”.

Il grande scrittore tedesco aveva ventisei anni, era il 1901, quando vide pubblicato il suo primo romanzo, I Buddenbrook. Un senso di morte invadeva la letteratura. E le sue novelle - Tristano (1903), Tonio Kröger (stesso anno), La morte a Venezia (1912) - ne sono dominate. Tutti e tre riprendono o anticipano motivi trattati ne I Buddenbrook e più avanti ne La montagna incantata: la decadenza di un’antica famiglia, la vita osservata da un sanatorio, un’inquietudine dello spirito che spinge i suoi protagonisti a mutar cieli, svignarsela verso il Baltico, la Danimarca; verso il Sud: Venezia, l’Italia. O a rinchiudersi nelle stanze stile impero dell’albergo La Quiete.

 

Tutt’e tre hanno uno scrittore per protagonista: Spinell, Kröger e von Aschenbach: in vari modi anime gemelle dello stesso Mann e uomini del decadentismo: arte e vita in loro si incontrano, si illuminano, prima di digradare nelle forme imperfette della condizione umana. Incarnano il tramonto dell’ideologia romantica, la già annunciata (da Nietzsche, con largo anticipo) fine dell’Europa, e l’amore e la bellezza come sinonimi di morte. Eros e thanatos, binomio inscindibile.

 

Dei protagonisti delle novelle solo Spinell, sano tra i malati, non ha pulsioni omoerotiche. Ma plagia e trascina nel suo lugubre trasporto, attraverso le note della morte d’amore del Tristano e Isotta di Wagner, la moglie del signor Kloterjahn, venuta all’albergo-sanatorio La Quiete per curarsi i polmoni e a cui risulta fatale lo sforzo di suonare il pianoforte. Apollineo e dionisiaco si coagulano nella novella Tristano, apparentemente quella che si legge meglio.

 

Tonio Kröger è il borghese sviato nell’arte. Ma parimenti a disagio nel mondo della vita e nel mondo della bellezza artistica. Perché il vero calore di cui sente il bisogno è quello di una vita ordinaria e di amicizie normali: basta letterati, demoni, coboldi! La letteratura non è una vocazione: è maledizione!

 

E su questa sua difficile condizione esistenziale Kröger riflette durante un viaggio nell’Europa del Nord. Per lui soltanto il “borghese amore per l’umano e il vivo e l’ordinario è realmente in grado di fare di un letterato un poeta”. Il mormorio del mare accompagna questi suoi pensieri. Per le sue elevate qualità musicali, Tonio Kröger è la novella più vicina al cuore dell’autore e la più amata dai giovani.

 

Infine (in ordine di tempo) Aschenbach. Il “solitario” Aschenbach al cui “cuore invecchiante era troppo caro il delirio”. Rispetto ai primi due è forse il vero “gemello” di Thomas Mann. Durante una vacanza a Venezia incontra il giovinetto polacco Tadzio, di indicibile bellezza, anche lui in vacanza con la famiglia nella città lagunare.  Guardandolo, due pensieri pulsano immediatamente nella testa dello scrittore solitario: la bellezza fisica come via che conduce allo spirito; e la dolorosa impossibilità della parola di poterla rappresentare. Era così perfetta la bellezza del ragazzo da ricordargli “le sculture greche dell’epoca aurea”. Una bellezza che la parola poteva solo celebrare.

 

Sin dal primo incontro nella hall dell’albergo veneziano Aschenbach guarda Tadzio con discrezione. Con discrezione se ne innamora. Con discrezione lo segue (o insegue) per le calli della città lagunare. Sino alla fine. Allorché lo vede procedere “a capelli sciolti nel mare, nel vento”; e indicargli “benefiche immensità”.

 

Realtà oppure sogno, è l’ultima immagine che appare agli occhi di von Aschenbach prima di addormentarsi per sempre. Eros ha incontrato thanatos in una Venezia colpita dal colera asiatico. E in un’opera densa di presagi di morte sin dal principio.

 

Siamo ancora nel 1912. E Mann, a trentasette anni, già immagina la vecchiaia che vorrebbe. E con l’originale lentezza della sua prosa la descrive. Ed è una vecchiaia artisticamente perfetta come quella di Aschenbach. La propria anima, l’anima dello scrittore-artista affidata, nell’ora del trapasso, alla bellezza divina dell’amato Tadzio.

 

Novella esemplare, La morte a Venezia chiude il primo periodo delle opere narrative di Mann. Verranno poi altri due grandi romanzi, diversi però da I Buddenbrook. Verranno La montagna incantata (1924) e Doctor Faustus (1947).  E, tra i due, il Premio Nobel, il nazismo, l’addio dello scrittore alla Germania, la cittadinanza americana. Nella sua bella casa della California, con vista sul Pacifico, Mann scrive il Doctor Faustus. Che suggella metaforicamente il patto della Germania con il demonio nazista.

 

Quel demonio che gli aveva insegnato l’odio “per la prima volta nella vita”. E contro il quale riteneva necessario un umanesimo militante e virile. Perché i suoi elementi di tolleranza, bontà, amore per il dubbio, in certe circostanze, possono essergli fatali. E fatali alla civiltà. Non solo Aschenbach: anche i protagonisti delle altre due novelle, Spinell e Kröger sono adoratori della bellezza; e seguendone la via non possono che incontrarvi Eros. E quindi Thanatos. Tutti vivono l’arte come vita e la letteratura come (sola) arte.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]