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N. 28 - Settembre 2007

New global

La globalizzazione dal basso

di Stefano De Luca

Gli attivisti del movimento globale rifiutano l’etichetta di no-global, affermando di opporsi non alla globalizzazione in generale, ma in particolare a quella neo-liberista. Sostengono infatti di non rifiutare la globalizzazione né come intensificazione degli scambi culturali, né come sviluppo di strutture di governo sovra-nazionali, ma contestano le specifiche scelte neo-liberiste di queste istituzioni, oltre che dei governi nazionali, e chiedono una diversa globalizzazione. 

Più che anti-globalizzazione, possono essere definiti movimenti per la globalizzazione dal basso, perché hanno un progetto alternativo di relazioni tra paesi e società del pianeta, in cui vengono messi al primo posto i diritti, le persone, la democrazia e l’uguaglianza.

Della globalizzazione in atto criticano soprattutto l’enfasi posta sul libero commercio contro i diritti sociali (contrapponendovi una globalizzazione dei diritti) e la sua imposizione dall’alto, cioè da parte di una èlite economico-burocratica, composta da dirigenti e dai grandi burocrati delle organizzazioni intergovernative (contrapponendovi una globalizzazione dal basso). Viene contestato il potere delle multinazionali, degli stati più importanti, di organismi internazionali come il G8, il Fondo monetario, la Banca mondiale, e il Wto. Quello che viene chiesto è un nuovo modello di democrazia sovra-nazionale, di rispetto per le autonomie degli stati, di coinvolgimento della società civile nel prendere le decisioni che riguardano i cittadini del mondo.

Ciò che unisce le varie componenti del movimento new global (femministe, sindacalisti, associazioni umanitarie, gruppi ecologisti e cattolici), è l’accusa alla globalizzazione neo-liberista di essere responsabile delle disuguaglianze sociali e di distruzione dell’ambiente. Infatti nel sistema economico, un’interdipendenza crescente ha portato al trasferimento di parte della produzione nei paesi del Sud del mondo, dove i salari sono più bassi. Con conseguenze di ri-mercificazione del lavoro, riduzione di sicurezza del lavoro, di protezione sul posto di lavoro, diritti sindacali, salute e pensioni. In più in questi paesi c’è stata un sempre più intenso sfruttamento delle risorse naturali, che ha avuto un altissimo impatto ambientale.

La globalizzazione economica ha prodotto specifici conflitti. Nel Nord del mondo, essa è stata collegata a disoccupazione, indebolimento dei sistemi di protezione sociale e, soprattutto, crescita di lavori marginali e condizioni di lavoro non protette, con frequenti mobilitazioni di sindacati sia nell’industria che nell’agricoltura. Ma anche nel Sud del mondo vi sono stati effetti sociali negativi, soprattutto a causa delle politiche neo-liberiste, che hanno costretto i paesi in via di sviluppo a sostanziali tagli nelle spese sociali, con conseguenti proteste da parte dei gruppi più poveri. 

La critica alla globalizzazione neo-liberista viene intrecciato con le rivendicazioni più specifiche proprie delle diverse anime che muovono la protesta: per i sindacati la liberalizzazione economica peggiora le condizioni dei lavoratori; per gli ecologisti la deregolamentazione porta continui disastri ambientali; per le femministe la riduzione dei servizi del welfare state, penalizza soprattutto le donne; per i gruppi di solidarietà con il Terzo mondo la globalizzazione ha accentuato la povertà dei più poveri; per le associazioni delle popolazioni indigene e i contadini accelera la distribuzione.

Per quanto riguarda l’area ambientalista del movimento new global la globalizzazione viene collegata ai disastri ambientali, che sono provocati dai processi di sfruttamento economico. Secondo gli ambientalisti, e anche le altre ‘anime’ del movimento, la globalizzazione neo-liberista “distrugge l’ambiente, la salute e le condizioni di vita dei popoli. L’aria, l’acqua, la terra e anche gli esseri umani sono trasformati in merci. La vita e la salute devono essere riconosciuti come diritti fondamentali, e le decisioni economiche devono essere subordinate a questo principio”.

Vengono criticate le politiche che in nome dello sviluppo, rifiutano di riconoscere i limiti allo sfruttamento delle risorse naturali. Il neo-liberismo è accusato di ridurre i controlli in nome della libertà di mercato, subordinando il bene comune agli interessi economici delle multinazionali. In particolare la globalizzazione neo-liberista avrebbe, attraverso politiche di deregolamentazione, accelerato un processo di sviluppo non-sostenibile, con un finanziamento internazionale di opere ad alto impatto ambientale, nonché una riduzione dei controlli sulle produzioni inquinanti. Le principali vittime dello sfruttamento dell’ambiente sono i più poveri del pianeta, costretti a vivere nei luoghi più inquinati, e anche i più colpiti dalle conseguenze dell’inquinamento.

All’interno del movimento si è sviluppata una maggiore unità proprio sulla comune convinzione del legame stretto che unisce il crescente degrado ambientale della terra, ai problemi dello sfruttamento, della povertà e delle ineguaglianze sociali. Povertà e rischio ambientale sono definiti come i due ostacoli principali verso l’obbiettivo, definito nel primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, di costruire un mondo diverso e migliore.

Altro tema centrale per il movimento è quello della solidarietà ai paesi più poveri, particolarmente forte nei gruppi religiosi, ma sempre più presente anche in associazioni di volontariato laico. Già nella seconda metà degli anni Novanta gruppi religiosi e associazioni laiche si erano mobilitati insieme a favore della campagna Jubileum 2000, chiedendo l’abolizione del debito pubblico. L’anno giubilare ha rappresentato un momento di aggregazione e mobilitazione sui temi della solidarietà con il Sud del mondo, e di critica degli effetti disgregativi della globalizzazione neo-liberista. Più volte il Papa ha chiesto ai potenti la cancellazione del debito estero dei paesi più poveri, e in occasione del G8 di Genova, ha invitato i governanti ad ascoltare le manifestazioni pacifiche dei giovani.

Nel Documento finale del primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre il debito pubblico internazionale viene definito come ingiusto, illegittimo e fraudolento. Questo funziona come uno strumento di dominio, che priva i popoli dei loro diritti fondamentali, con l’unico scopo di aumentare i guadagni ‘dell’usura internazionale’. Chiedono l’annullamento incondizionato del debito e la ripartizione dei debiti pubblici, come passo immediato verso una soluzione definitiva della crisi provocata dal debito estero.

La globalizzazione neo-liberista è accusata di portare allo smantellamento del welfare state e, con esso, all’abbandono soprattutto dei gruppi più disagiati della popolazione all’azione caritatevole delle associazioni volontarie.

Il Sud del mondo non è rappresentato soltanto dalle associazioni di solidarietà, diverse infatti sono le mobilitazioni sociali nei paesi in via di sviluppo che si sono coordinate nel movimento globale. I tre Forum Sociali Mondiali che si sono svolti a Porto Alegre e quello che si è svolta nel 2004 in India, sono indicativi dell’importanza della protesta nel Sud del mondo. Popolazioni indigene, principali vittime del neo-liberismo, si sono mobilitate per rivendicare il diritto ad una vita in armonia con la natura, contro lo sfruttamento sregolato e lo sviluppo selvaggio imposto dalle multinazionali e dalle organizzazioni internazionali finanziarie. Nel 2001 è stata organizzata la marcia dal Chiapas a Città del Messico, con una forte presenza di rappresentanti italiani delle ‘tute bianche’, con lo scopo di chiedere diritti per le comunità indigene (dall’autonomia culturale all’autogestione), giustizia economica e sociale.

Dopo l’11 settembre, sempre più centrali appaiono i riferimenti al tema della pace, che viene collegato a tutte le altre tematiche centrali del movimento. Il secondo Forum Sociale Mondiale si è concluso con la seguente dichiarazione: “L’11 settembre ha segnato una svolta drammatica. Dopo gli attacchi terroristici, che condanniamo assolutamente, così come condanniamo tutti gli altri attacchi civili in altre parti del mondo, il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati hanno lanciato una massiccia operazione militare. In nome della guerra al terrorismo vengono attaccati in tutto il mondo i diritti civili e politici. Con la guerra contro l’Afghanistan, in cui sono stati usati anche metodi terroristici, e con le nuove che si preparano, ci troviamo di fronte ad una guerra globale permanente, scatenata dal governo degli Usa e dai suoi alleati per stabilire il loro dominio. Questa guerra rivela l’altra faccia del neo-liberismo, la più brutale e inaccettabile… L’opposizione a questa guerra è uno degli elementi costitutivi del nostro movimento”.

A differenza della prima edizione del Forum Sociale Mondiale, il tema della guerra (dopo l’11 settembre e l’intervento in Afghanistan) è entrato a pieno titolo in molte discussioni e confronti tra le organizzazioni e i movimenti.

Nel documento italiano per il Forum Sociale Europeo si legge: “Perseguiamo un mondo che bandisca la violenza come strumento di lotta politica. Le nostre sole discriminanti sono il ripudio della guerra, il rifiuto del razzismo, del fascismo e del sessismo… siamo avversari irriducibili di qualsiasi forma di terrorismo. Siamo altresì consapevoli che in nome della lotta al terrorismo si limitano i diritti civili, le libertà democratiche, si criminalizzano intere lotte popolari, come quelle dei Curdi o dei Palestinesi, si approntano strumenti repressivi e autoritari per sgretolare le lotte sociali… La globalizzazione neo-liberista produce miseria, odio, morte. Per imporsi a popolazioni intere ha bisogno della spesa costituita dalla corsa agli armamenti, dall’aumento delle spese militari, dal rafforzamento e dal rinnovamento delle alleanze militari, dal potenziamento degli apparati polizieschi”.

All’interno del movimento vi sono due diversi modi di considerare la guerra: da una parte ci sono coloro che considerano la guerra come effetto delle contraddizioni del capitalismo e chi invece individua cause più profonde, proponendo soprattutto un lavoro di riconciliazione dal basso per superare le tensioni interetniche e il ricorso alla violenza. Per i primi, l’imperialismo Usa impedisce di trovare soluzioni ai problemi globali, e la militarizzazione della globalizzazione viene vista come conseguenza del fallimento di quella neo-liberista non armata. Per i secondi, per costruire la pace occorre trasformare le relazioni tra le persone. Ad esempio, la IV Assemblea dell’Onu dei popoli (Perugia 2001) “invita a mantenere aperti canali di dialogo tra le parti, promuovere la riconciliazione e la ricostruzione, l’educazione alla pace, ai diritti umani, alla democrazia e alla non-violenza, nel pieno rispetto e valorizzazione delle differenze che arricchiscono l’umanità, favorendo gli scambi fra i popoli e il dialogo tra le religioni”.

Queste diversità non impediscono comunque l’elaborazione di obbiettivi comuni, che comprendono sia tradizionali rivendicazioni pacifiste (come diritto dell’obiezione di coscienza, riduzione delle spese militari, eliminazioni di armi nucleari, batteriologiche e chimiche, mine anti-uomo, rinuncia allo scudo spaziale, cooperazione internazionale e aiuti allo sviluppo), che proposte di intervento sulle istituzioni internazionali. Come ad esempio la ratifica e l’insediamento della corte penale per i crimini contro l’umanità; la riforma dell’Onu attraverso un controllo della legittimità degli atti del consiglio di sicurezza ad opera della corte internazionale di giustizia.

Un importante, e sempre più visibile, filone della protesta è quello della “vecchia sinistra”, rappresentata in particolare dai sindacati. Nelle proteste sulla globalizzazione confluiscono infatti, in difesa delle politiche economiche socialdemocratiche, molte organizzazioni sindacali del Nord del mondo. In Italia ad esempio i rapporti tra il movimento new global e i sindacati si sono intensificati in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati nella primavera del 2002, al quale hanno partecipato 500.000 manifestanti organizzati dai Social forum locali, fino ad arrivare alla partecipazione della Cgil alla organizzazione del Social forum europeo di Firenze nel 2002. 

Il tema tradizionale della sinistra di un controllo politico sui mercati è sottolineato soprattutto da una delle organizzazioni più attive nelle critica alla globalizzazione, Attac, associazione transnazionale nelle cui sezioni nazionali convergono molte componenti sindacali.

 Per quanto riguarda il movimento in Italia vi è una critica alla politica istituzionale, sia nei confronti dei partiti che dei governi. Come è emerso anche nelle mobilitazioni successive a Genova, da quelle sindacali ai ‘girotondi per la democrazia’, la protesta non solo si sviluppa all’esterno dei partiti, ma esprime anche una forte critica alle forme di democrazia rappresentativa. La richiesta di politiche ‘di sinistra’ si intreccia infatti con una critica del modo di concepire la politica come attività specializzata per pochi professionisti che occupano prevalentemente cariche elettive nella pubblica amministrazione. Le richieste di ‘contenuti di sinistra’ si combinano con le proposte di una politica più partecipativa.

Il movimento dei movimento propone una politica “diversa”, sia nei contenuti che nelle forme, rispetto a quella istituzionale, infatti ha difficoltà a trovare un riconoscimento nel sistema istituzionale. La relazione con i partiti dell’Ulivo è sostanzialmente conflittuale, come si può intuire in occasione delle manifestazioni contro la guerra in Afghanistan, dove i leader del centro-sinistra vengono contestati per avere votato in parlamento a favore dell’intervento militare.

La fiducia invece che il movimento ripone nei confronti dei sindacati è maggiore rispetto a quella riposta nei partiti politici. Il movimento new global, a cui aderiscono i sindacati di base, mantiene una certa apertura rispetto alla Cgil, pur partecipando alle manifestazioni organizzate dal sindacato di sinistra con temi e rivendicazioni proprie.

Al corteo contro la riforma dell’articolo 18 e contro il terrorismo con cui la Cgil porta in piazza diverse centinaia di migliaia di manifestanti, il movimento dei forum sociali sfila proponendo contenuti propri e criticando il sindacato perché Cofferati non accoglie la richiesta dei portavoce del movimento di poter intervenire dal palco del Circo Massimo. Anche in occasione dello sciopero generale del 16 aprile 2002, i forum sociali cercano di differenziare le loro proposte, affermando di voler rendere comune lo sciopero ad altri settori sociali (non solo ai lavoratori dipendenti) e ad altre rivendicazioni (come istruzione ed emigrazione). Il rapporto con la Cgil è ambiguo: se da una parte il sindacato è percepito come potenziale alleato, perplessità esprimono invece i sindacati di base nati dall’opposizione alle politiche concertative che nell’ultimo decennio hanno segnato l’attività dei sindacati confederali.

Altro tema su cui convergono le diverse componenti del movimenti di critica alla globalizzazione neo-liberista, è quello della democrazia. Secondo gli attivisti questa viene proclamata, ma non praticata né dalle organizzazioni intergovernative, né tantomeno da molti governi nazionali.

La crescita del potere delegato al livello sovra-nazionale ad organizzazioni non responsabili rispetto ai cittadini, è considerata particolarmente rischiosa per la democrazia. Organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e il Wto, vengono accusate di gestire, attraverso la possibilità di distribuire fondi e sanzioni economiche, un controllo sui governi nazionali. Infatti grazie alla possibilità di condizionare i finanziamenti in particolare nel Sud del mondo, questa organizzazioni sono accusate di avere imposto politiche neo-liberiste nei paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati, rovesciando anche decisioni democraticamente prese all’interno dei singoli stati. Le organizzazioni governative internazionali sono accusate di mancanza di trasparenza nei meccanismi decisionali, in particolare il Wto e il Fmi non solo non offrono canali di accesso alle organizzazioni della società civile, ma mantengono anche riservate le loro decisioni politiche.

Se si critica la mancanza di strutture rappresentative nella maggior parte delle organizzazioni intergovernative, la democrazia rappresentativa è considerata comunque insufficiente a garantire trasparenza ed effettiva partecipazione dei cittadini. Infatti le varie anime del movimento globale concordano sulla necessità di concepire una politica diversa, basata su un ampio coinvolgimento dei cittadini, anche al di là dei momenti elettorali, e un modello decisionale consensuale. Da questo punto di vista diverse sono le proposte, che non si rivolgono infatti soltanto contro il carattere neo-liberista imposto alla sviluppo economico globale, ma pongono il problema della partecipazione democratica nei processi di globalizzazione. A livello sovra-nazionale, viene infatti chiesto una subordinazione delle organizzazioni internazionali attive sulle politiche economiche “affidando alle Nazioni Unite riformate, anziché a gruppi di paesi ricchi come il G7, il compito di gestire l’interdipendenza nell’ottica del bene comune, consentendogli di intervenire sulle scelte economiche che sono alla radice dei problemi mondiali”.

Chiedono una democratizzazione delle Nazioni Unite, infatti sempre nel Documento finale della prima Assemblea dell’Onu dei popoli si legge “noi, donne e uomini, popoli delle Nazioni Unite, vogliamo un ordine internazionale più umano, giusto, equo, solidale e democratico […] Ci impegniamo ad agire affinché si creino le condizioni idonee all’esercizio della democrazia internazionale mediante la creazione di una Assemblea parlamentare della Nazioni Unite, di un Congresso dei poteri locali delle Nazioni Unite, il potenziamento dello status delle organizzazioni non governative e la composizione tripartita (esecutivo, parlamento, associazionismo non governativo) delle delegazioni nazionali dei vari organi delle Nazioni Unite, il potenziamento dei sistemi di garanzia, a partire dalla Corte internazionale di giustizia, nonché la riforma del Consiglio di sicurezza perché diventi davvero democratico e rappresentativo”.

Ulteriori riforme dell’Onu, spesso ripresi nei vari appelli dei contro-vertici, sono: l’istituzione di un Foro permanente della società civile globale; l’allargamento del Consiglio di sicurezza, con l’eliminazione dello status dei membri permanenti per le grandi potenze, e la graduale eliminazione del potere di veto; un controllo di legittimità sugli atti del Consiglio di sicurezza da parte della Corte internazionale di giustizia.

Una critica sostanzialmente simile è rivolta anche all’Unione Europea, criticata non solo per gli scarsi poteri del parlamento (unico organo elettivo), ma anche per la non trasparenza del potere decisionale. In un appello a manifestare a Göteborg contro il vertice dell’Ue si legge “a nostro parere, l’Unione europea è una delle istituzioni centrali nella produzione della società di controllo di tipo neo-liberista […] di certo noi non siamo contro l’Europa, ma per un’Europa che sia uno spazio politico aperto, libero dalle barriere degli stati nazionali. […] L’Europa di cui parliamo è profondamente diversa dall’Europa che i governanti del nostro continente stanno costruendo, un continente in cui tutte le decisioni importanti vengono prese a porte chiuse, lontano dal dibattito dei cittadini e dalla partecipazione democratica".

 

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