.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Arte

.

N. 12 - Maggio 2006

NETSUKE, IL MONDO IN MINIATURA

La sublimazione di un oggetto quotidiano del Giappone antico

di Irene Simonelli

 

Secondo un’antica leggenda, ambientata in Cina durante la dinastia Tang (618-907), il fantasma del generale cinese Chun Xuei (in giapponese: Shoki) per sdebitarsi degli onori e del magnifico funerale di stato tributatigli dall’Imperatore Huang Tsung  (in giapponese: Genso), tornò a liberare il Palazzo Imperiale dai demoni che lo circondavano.

 

Il generale (fig.1) morì suicida dopo aver fallito gli esami imperiali di calligrafia, reo di essere indegno delle belle lettere e quindi della brillante carriera militare che lo avrebbe atteso; ma sotto la protezione del suo spirito, l’Impero di Huang Tsung raggiunse il massimo splendore e la massima estensione che solo gli Arabi riuscirono a fermare a Talas nel 751.

 

 

(fig.1 ) “Shoki, il domatore di dèmoni che scaccia diavoli”,

 disegno preparatorio, inchiostro nero su carta,

scuola di Hokusai, XIX sec.

 

Il guardiano-fantasma divenne così popolare che la sua immagine ricomparve in Giappone, come simbolo di buon auspicio, in un accessorio del costume nazionale: il netsuke.

 

In effetti già cinque secoli prima della sua introduzione ufficiale in Giappone, i cinesi usavano il chiu-tzu, lo accarezzavano durante la conversazione e godevano dei suoi effetti benefici e taumaturgici. A metà strada fra un amuleto ed un rimedio naturale, il chiu-tzu era ricavato da radici scelte appositamente in base alle loro proprietà curative e rappresentava soggetti diversi ma tutti dal significato benaugurale.

 

I più antichi esemplari giapponesi di netsuke risalgono al XIII sec.: sono timbri e sigilli provenienti proprio dalla Cina, denominati to-bori o “scultura straniera”, raffiguranti leoni ed eremiti e riadattati ad una nuova funzione; tuttavia il loro grosso sviluppo si ebbe dall’inizio del XVI sec. fino alla rivoluzione Meiji cioè fino al declino del sistema feudale, toccando il culmine tra il 1750 ed il 1850.

 

 Il fenomeno della miniaturizzazione dell’arte scultorea comprese, nell’Era Tokugawa (1185-1866), non solo la produzione profana , ma anche quella sacra; nel XVII sec.,l’usanza di custodire nelle abitazioni piccoli altari destinati al culto privato, portò all’elaborazione da parte di scultori buddisti di veri e propri altari in miniatura da appendere al collo o alla cintura.

 

 Da qui si diffuse l’uso di appendere all’Obi, la larga fascia usata come cintura, una serie di accessori che dovevano supplire alla mancanza di tasche del kimono, genericamente chiamati sagemono (fig.2),  e usati come  porta-monete (kinchaku), contenitori di inchiostro e pennelli (yatate), custodie per le pipe e tabacco (tonkotsu), kit da fumo (kinseru-zutsu),  portachiavi (kagi) e porta-sigilli (inro).

 

 

 

(fig.2 ) schema illustrativo del costume giapponese:

il sagemono, appeso ad un cordoncino passante per l’ojime,

viene appeso all’obi e fissato con il netsuke.

 

In realtà questi ultimi furono usati soprattutto come contenitori per la dose personale di erbe medicinali. Indossati generalmente dagli uomini, che li appendevano al fianco destro, erano accessibili a quasi tutti gli strati sociali, ad eccezione dei più bassi.


In una  prima fase  infatti, l'inro fu un'oggetto d'uso pratico: una scatola di forma ellissoidale lunga una decina di centimetri, la cui decorazione superficiale rivestiva un’importanza secondaria. Successivamente si trasformò in un accessorio estetico e il suo valore venne associato alla squisitezza della fattura e alla preziosità della decorazione, proprio come fosse un gioiello. La scatolina, solitamente di legno laccato, veniva intarsiata in oro, argento o foglia di rame, oppure scolpita o ancora decorata ad incrostazione con conchiglie, avorio, corallo e tartaruga. Conteneva al suo interno da due a sette vani ed era legata ad un  cordoncino di seta intrecciata che culminava con un  contrappeso, il netsuke; il cordoncino era tenuto stretto da un ojime, una specie di perlina lavorata. Un apparato completo prevedeva un unico tema per la decorazione di tutte e tre le parti (fig.3).  Ojime  e netsuke erano di norma realizzati in legno, soprattutto di cipresso e bosso, e in avorio, ma venivano impiegati anche porcellana, metalli, corno e lacche.

 

 

(fig.3 ) tonkotsu, contenitore per tabacco ricamato con

kagamibuta in avorio, catene, ojime e chiusura in argento.

Periodo Di Meiji.Tutte le parti rappresentano un dragone alato

 

Il netsuke, che letteralmente significa “radice che fissa”, era in origine un pezzo di legno scolpito grossolanamente ma sempre ben levigato in modo da non rovinare la seta dell’obi. Esso rappresentava  dei e demoni scintoisti o buddisti e veniva venduto insieme agli articoli religiosi presso i templi del paese.

 

Quando nel XVI sec. cominciò a svilupparsi una committenza mercantile e borghese, i soggetti di tipo religioso vennero soppiantati dalle figure del mondo animale, reale e mitico (fig.4-5). Per i Giapponesi non esistono specie animali da considerarsi vili; cosi il topo apre la serie dei Dodici Rami Terreni (lo zodiaco giapponese) e la piovra diviene addirittura simbolo erotico per eccellenza.

 

 

 

.

(fig.4 ) Katabori in avorio,

firmato Masanao I, XVIII sec.

(fig.5 ) topo arrotolato, katabori in legno,

firmato Masakatsu, XVIII sec.

 

Trattate con altrettanto realismo sono le bestie mitiche come il kirin (fig.6), un dragone derivato dal folklore cinese ed il shishi, una creatura metà leone e metà cane che tiene in bocca o tra le zampe una sfera. (fig.7)

(fig.6 ) Kirin, sashi in avorio, firmato Tomotada, XVIII sec.                      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(fig.7 ) Shishi, katabori in avorio,. firmato Mitsuharu, XVIII sec.

 

Successivamente cominciarono ad apparire rappresentazioni della vita quotidiana, scene di gioco, fatti storici e religiosi, sempre estremamente realistici ma caratterizzati anche da un inedito gusto per il grottesco, ed una grande varietà di specie vegetali (fig.8 ).

 

 

(fig.8) Lottatori di Sumo con tatuaggi nella posizione “kawazu”,

katabori in avorio, firmato Masaka, XVIII sec.

 

I netsuke misuravano all’incirca 5 cm ed erano scolpiti in legno (specialmente bosso, cipresso, sandalo, ebano e ciliegio), in avorio di elefante, ma anche zanne di ippopotamo, cinghiale, tricheco, denti di tigre e di capodoglio e corno di cervo. Tra i materiali meno usati sono citati la lacca applicata su bambù, un corallo nero o umimatsu, un fossile vegetale o umoregi, la giada e le pietre dure, ma queste ultime furono adottate in epoca moderna.

 

La funzionalità e le potenzialità taumaturgiche, qualità per cui il Netsuke venne adottato almeno fin dal XIII sec., cedettero il passo, intorno al XVIII sec., al gusto per la complessità dell’incisione e per la raffinatezza delle sculture miniaturizzate, che lo trasformarono da amuleto a prezioso status-symbol, attirando la committenza di signori feudali e aristocratici.

 

Proprio nel XVIII e XIX sec. infatti, i Tokugawa Shogun incaricarono i migliori artigiani laccatori di eseguire a mano presso le proprie botteghe, sofisticati Inro laccati ed intarsiati in oro e argento, ovviamente corredati dai relativi Ojime e Netsuke, per ostentare potere e ricchezza. Da oggetto funzionale caratterizzato da una forma arrotondata o sferica e da una lavorazione compatta e levigatissima, il netsuke divenne ben presto un  pezzo da collezione come testimoniano le forme spigolose, le lavorazioni a traforo, l’ingegnosità dei disegni, la scelta di materiali pregiati ma meno resistenti, e a volte la mobilità di certe sue parti.

 

Fra i diversi tipi di netsuke, il katabori o “scultura a tutto tondo” è sicuramente il più diffuso ed apprezzato nel mondo del collezionismo per il realismo dettagliato e la qualità scultorea. Esso presuppone due fori o himotoshi che servivano a far scorrere il cordoncino ed erano posti nella parte posteriore oppure sapientemente mascherati dalle pieghe dei panneggi o dalle code degli animali. L’himitoshi è quindi garanzia di autenticità: un netsuke che ne è privo può essere un okimono cioè un ornamento da alcova databile al periodo Meiji, oppure un mediocre esemplare destinato al mercato d’ esportazione. E bisogna anche ricordare che furono usati come netsuke gli oggetti più diversi, dai pallottolieri agli orologi solari.

 

I katabori (fig.9), sono intagliati finemente in ogni loro parte e sono per la grande maggioranza di forma compatta, ma ne esiste una variazione molto allungata. Si tratta dei sashi o obi-hasami , facilmente identificabili per la loro sottigliezza, che venivano legati da un’estremità all’altra intorno all’obi (fig.10).

 

 

(fig.9) Fukurokujo acrobata,

katabori in avorio,

fronte e retro con himitoshi,

firmato Shozan, XIX sec.

 

(fig.10) kappa,

folletto acquatico,

con pesce, sashi in legno,

autore e periodo non pervenuti

 

Molto diffuso è anche il manjo, così chiamato per la somiglianza con il tipico dolcetto di riso. Ha un corpo circolare, del diametro di 4-6 cm ed è in avorio. La decorazione è scolpita a bassorilievo su una faccia ed incisa sull’altra, ma può essere anche lavorato a giorno o ad incrostazione con materiali policromi (fig.11).

Il ryusa netsuke è simile nella forma al manjo ma è cavo all’interno ed il disegno è generalmente inciso sulla parte convessa.

 

 

(fig.11) manjo in avorio, firmato Okatomo, XIX sec.

 

Infine, il kagamibuta, consiste in una coppella in avorio o corno che incornicia una piastrina metallica decorata con motivi floreali incisi, intarsiati in oro e argento o realizzati a sbalzo con leghe metalliche (fig.12). Questi netsuke sono forse più vicini ad un’opera di oreficeria che ad una scultura; non a caso furono eseguiti esclusivamente nelle botteghe dei fabbricanti di tsuba, i dischi metallici che si trovano fra l’impugnatura e la lama delle sciabole (fig.13).

 

 

(fig.12) tao, kagamibuta in avorio e metallo, autore e periodo non pervenuti

 

(fig.13) tsuba con rilievi dorati a forma di Shishi tra rocce e peonie. Scuola di Nagoya, XVIII sec

 

I netsuke più antichi sono apprezzati per il loro stile e per la loro patina ma anche per le epoche che riflettono. Molti alludono a fatti e personaggi leggendari dell’antico Giappone, altri ne attestano l’ inesorabile disfatta contro il tempo.

 

Dopo la rivoluzione Meiji (1868-1912), l’occidentalizzazione del paese ha prodotto un cambiamento radicale: l’introduzione del costume europeo. Il netsuke, svuotato della sua funzione, non era più parte della vita quotidiana ed il suo fascino resisteva solo agli occhi dei collezionisti.

 

Fino ad ora sono state identificate circa tremila firme diverse, ma solo poche di esse corrispondono ad artisti realmente esistiti. Molti scultori antichi infatti, autori di netsuke pregiatissimi, non hanno firmato le loro opere; d’altro canto è accaduto di trovare spesso pezzi attribuiti a maestri di bottega ma in realtà realizzati dagli allievi.

 

Il più grande scultore di katabori del XVIII sec. (periodo medio Edo) è sicuramente Izumiya Tomotada, della Scuola di Kyoto. A lui è attribuita tra le altre, una statuetta eburnea raffigurante una delle sette Divinità della Fortuna del mito Giapponese: Fukurokuju, Dio della Longevità (fig.14).Questa figura è stata introdotta dalla Cina nel XV sec.; il suo nome è infatti la combinazione di tre caratteri cinesi, "fu", "lu" e "Shu", che rappresentano tre Divinità Stellari della Fortuna. Fukurokuju, inoltre, è praticamente indistinguibile da un’altra divinità del Pantheon nipponico, quella di Jurojin.

 

 

(fig.14) Fukurokujo giovane, serie delle Sette Divinità Giapponesi della Fortuna,

katabori in avorio, attribuito a Tomotada, 1781-1867

 

Questa piccola figura alta circa 5 cm, è vestita con una toga cinese ed identificabile soprattutto per la caratteristica fronte alta, ma secondo le fonti potrebbe rappresentare una divinità minore chiamata Fukusuke, aiutante della Fortuna e alter ego maschile di Okame, Dea della Gaiezza.

 

Il pregio di questo esemplare è in larga parte dovuto al materiale di cui è composto, un avorio della qualità tusk, ottimamente conservato, malgrado l’età, nella sua patina bianco-crema.

 

Tra gli altri scultori di netsuke contemporanei di Tomotada bisogna ricordare Masanao I, anch’egli della Scuola di Kyoto, Okatomo, allievo di Tomotada, ed il fratello Okatori, ma anche Masaka e Hogen Ratei (“hogen” era un titolo onorifico destinato agli artisti emeriti).

 

I massimi scultori del XIX sec. furono Kaigyokusai Masatsugu, della Scuola di Osaka, il quale adottò diversi pseudonimi nel corso della sua carriera e Ikkan, della Scuola di Nagoya, ma importanti sono anche le opere di Ozaki Kokusai, fondatore della Scuola di Asakusa, Tano Tomokasu di Gifu, che scolpì esclusivamente esemplari lignei e Tomomitsu, pregevole incisore spesso paragonato al celebre Tomochika (periodo Meiji) ed autore di un’altra versione particolarmente vivace e allegra del Dio della Longevità (fig.15). Questa volta Fukurokuju è accompagnato da una capra, ed il suo volto teneramente sorridente esprime appieno le gioie e le soddisfazioni della vita ritirata, simboleggiata dall’ottavo animale dello zodiaco. Questo esemplare è di dimensioni particolarmente ridotte, circa 3,5 cm ed è in un ottimo stato di conservazione.

 

 

(fig.15 Fukurokujo con capra, katabori in avorio,

firmato Tomomitsu, metà XIX sec.

 

I netsuke hanno raggiunto quotazioni apprezzabili sul mercato antiquario a partire dalla fine degli anni Sessanta. In quegli anni i prezzi più alti mai pagati per un katabori si aggiravano sui due milioni di lire, secondo il cambio dell’epoca, cifra che oggi corrisponde al prezzo minimo di un netsuke di un qualche valore.

 

Le immagini sono tratte dai seguenti siti internet:

 

http://www.Bosshard.net

http://www.5d.biglobe.ne.jp

http://www.Buddhamuseum.com

http://www.degener.com

http://www.ancienteastantiques.com

http://www.netsuke.org

http://www.robynbuntin.com

http://www.grappolo.com

http://www.haikulinde.de

 



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.