.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

medievale


N. 138 - Giugno 2019 (CLXIX)

Come nasce un demanio civico

Il caso di Colli a Volturno

di Alfredo Incollingo

 

Con un decreto del 9 novembre 1939, il Commissario per la liquidazione degli Usi Civici del Molise e della Campania sistemò definitamente il dominio collettivo di Colli a Volturno, in provincia di Isernia. Si riconobbero, dopo decenni di controversie legali, gli usi civici, «pascolatico» e «legnatico», nello specifico, su 257 ettari nel demanio universale ed ex feudale, secondo quanto stabilito dalla legge n. 1766 del 16 giugno 1927.

 

Il perito Marcello Buontempo, che si occupò dell’accertamento demaniale nel 1937, individuò nell’attività colonizzatrice dei monaci benedettini di San Vincenzo al Volturno l’origine degli usi civici collesi.

 

Con il contratto di livello del marzo 988, l’abate Roffredo, alla presenza del giudice Rozzo, concedeva a un gruppo di coloni e ai loro discendenti, per un periodo di ventinove anni, rinnovabile per altrettanti anni, di insediarsi in località «Colli di Sant’Angelo», identificabile con l’attuale Colli a Volturno.

 

«Abbiamo dato e consegnato questi beni ai suddetti uomini e ai loro eredi in loro possesso per ventinove anni e per altri ventinove anni ai loro posteri da lavorare, piantarvi vigne e alberi di ogni specie, per edificarvi case e risiedervi con la famiglia e gli animali e trarne ogni utilità che sarà stata loro necessaria, secondo ragione»

 

Era previsto, inoltre, anche un compenso in natura da cedere annualmente ai messi del monastero, che consisteva in un moggio di grano, uno di orzo, due moggi di vino e «dei maiali che alleverete darete a noi e ai nostri posteri, voi e i vostri eredi un escatico di uno su undici maiali grandi, e di uno su venti maiali piccoli».

 

Roffredo concesse ai coloni di poter vendere i fondi avuti in dono, conservando il diritto di prelazione da parte dei confratelli di San Vincenzo al Volturno, e di emigrare in altre regioni, qualora avessero trovato condizioni di vita migliori altrove, rimettendo ai monaci le loro terre. Nel contratto, tuttavia, era prevista una penale, che ammontava a «cento solidi bizantini», da versare al monastero, nel caso in cui gli abitanti di «Colli di Sant’Angelo» non avessero rispettato i loro doveri (dissodare e coltivare le terre donate).

 

Il livello del 988 è, in realtà, successivo a un altro contratto, siglato a luglio 972 dall’abate Paolo II, che interessava la medesima area geografica del patrimonio di San Vincenzo. Il tenimentum in questione, in origine, annoverava una vasta zona collinare tra i fiumi Volturno e Vandra, che fu ridefinito in due sezioni con il patto livellario del 988, che ricalcavano pressappoco i bacini di competenza degli odierni comuni di Fornelli e Colli a Volturno.

 

«[...] avendo le terre questi confini: dalla prima parte il fiume Volturno; dalla seconda parte il rio che è detto al Ponte di Legno e come va direttamente fino alla strada di Cerro e fino al guado che scende al Vandra e che arriva fino a Isernia; dalla terza parte il confine di Vandra e come va intorno a Vandra fino al fiume Volturno [...]»

 

Su «Colle Sant’Angelo», un rilievo che sovrasta Colli a Volturno, e in località «Vandra» o «Bandra», identificabile con l’attuale Fornelli, si insediarono alcune famiglie coloniche, secondo clausole contrattuali simili a quelle del secondo patto livellario. Nel 988, un secondo gruppo di coloni venne collocato su un colle prospiciente a «Colle Sant’Angelo», il già citato «Colli di Sant’Angelo». Il nuovo contratto tracciò i confini territoriali del nuovo villaggio, inglobando in parte il tenimentum stabilito dal livello del 972 e, successivamente, con molta probabilità, anche gli abitanti del precedente insediamento.

 

«Le terre hanno questi confini: nella prima parte il rio Chiaro che va fino al fiume Volturno, e come risale lungo il Volturno fino al monte detto Scapoli e va fino alla macchia di Giovanni Atessano e come va direttamente fino al Chiaro; dall’altra parte il fiume Volturno e il rio della valle che è detta Cerro e va verso il fiume Volturno; il limite della strada Foronesca e come va verso il Rava adesso asciutto e come va direttamente nel fiume Volturno»

 

Il territorio di «Colli di Sant’Angelo» comprendeva in gran parte le terre di «Colle Sant’Angelo» e il tenimentum di «Olivella», sulla riva sinistra del fiume Volturno, fondata dai monaci volturnensi nel 962, ovvero Montetuoro, monte San Paolo, le pendici orientali del monte Falconara, tra i rii Chiaro e San Pietro, e la località di San Vito.

 

I feudatari, così come gli abati e le badesse, erano soliti consentire ai loro servitori e ai coloni la libera raccolta della legna o il pascolo degli animali d’allevamento su una porzione delle tenute avute in concessione dal re o dal papa, come avveniva nell’ex Stato Pontificio.

 

Per scarsità di braccianti da impiegare nel lavoro agricolo, una parte dei feudi rimaneva incolto e si tollerava che le famiglie coloniche la sfruttassero per provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza. «Questo fenomeno viene prima tollerato, poi accettato e quindi riconosciuto formalmente alle comunità locali, che se ne servono nella pacifica e duratura convinzione di esercitare un loro preciso e specifico diritto».

 

Tale fenomeno, in termini tecnici, è definito «apprensione originaria», che avviene nel momento in cui una comunità prende possesso di un territorio e lo sfrutta per soddisfare i bisogni elementari. In generale, non vi è un atto formale che la norma, perché questi sono solitamente successivi e riconoscono ufficialmente le servitù sviluppatesi precedentemente. In altri casi, invece, le concessioni dei feudatari anticiparono e favorirono la nascita di diritti di godimento promiscuo del demanio baronale.

 

È ciò che avvenne a Colli a Volturno. Gli abitanti di «Colli di Sant’Angelo», con il livello del 988, si insediarono in un territorio disabitato, lo dissodarono e lo coltivarono, pagando un canone annuo al monastero di San Vincenzo al Volturno. Su di esso, nel corso dei secoli, si sviluppò anche una fruizione collettiva del demanio feudale, legittimata dalla concessione del 988.

 

Quando il territorio di San Vincenzo al Volturno venne suddiviso in diversi feudi laici, nonostante il cambio di intestatari del dominio nominale delle terre, i collesi conservarono il dominio utile degli antichi beni monastici. Possiamo riassumere quanto detto nei principi ubi feuda ibi usus, ubi usus ibi demania e ubi feuda ibi demanio, elaborati durante i primi anni dell’Ottocento, all’indomani dell’eversione della feudalità, nel 1806.

 

Tali asserzioni definiscono i domini collettivi congeniti ai feudi, nei quali, per esigenze materiali, era normale che i coloni avessero il diritto di sfruttare comunemente e liberamente le risorse naturale nel demanio baronale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Incollingo A., Le terre comuni di Colli a Volturno (1806-1939), «Rivista di Terra di Lavoro», anno XIV, n. 1;

Marinelli F., Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, Pacini Editore, Siena 2016;

Chronicon vulturnense del monaco Giovanni, M. Oldoni (a cura di), Volturnia Edizioni, Isernia 2011.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.