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N. 147 - Marzo 2020 (CLXXVIII)

L’assedio di Tolone
Quando Napoleone divenne Napoleone – Parte II

di Sara Bordignon

 

Tolone abbracciava il Mar Mediterraneo con una grande baia, La Grande Rade, entrando nella quale ci si ritrovava in una baia più piccola, La Petite Rade; tra di esse si stagliava un lembo di terra, dominato a ovest da una collina, detta Le Caire su cui erano stati creati dei forti, l’Éguilette e la Balaguier.

 

Il lembo di terra formava una strettoia tra le due baie e dominarne i forti con delle batterie di cannoni era la modalità perfetta per forzare i vascelli nemici ad andarsene o, in caso di vento a sfavore, per distruggerli, in modo tale da costringere alla resa i lealisti monarchici, accerchiati dalla terra e privi di ogni aiuto dal mare. Il piano di Napoleone si basava su questi presupposti, ma egli doveva rispondere agli ordini del generale Carteaux, pittore di professione fino a pochi anni prima.

 

Carteaux era un uomo d’altri tempi, sempre bardato d’oro e intento a carezzarsi i lunghi baffi, non credeva nelle armi specializzate degli artiglieri, ma in una cosa sola: l’arme blanche, la lama affilata della spada. Con fierezza proclamava che avrebbe ripreso Tolone in tre giorni, bombardandola con 12 cannoni e in direzione di quattro forti diversi contemporaneamente.

 

Buonaparte gli fece notare che gli avversari ne avevano 150 di cannoni e che bombardare su quattro forti significava essere bombardati da quattro forti. Ma per Carteux l’opinione del giovane ufficiale non contava, il mare rimaneva un obiettivo secondario, il generale voleva marciare su tre colonne di fanti, alla vecchia maniera. Invece, come in Asprey, per tagliare il nodo gordiano dell’operazione, bisognava puntare proprio sull’artiglieria e sul mare, dal quale la Royal Navy poteva agilmente bombardare qualsiasi cosa.

 

Il capitano Buonaparte era fresco di studi, aveva letto e riletto il lavoro di De Guibert sulla tattica e i New Principles of Gunnery nella traduzione di Lombard, conosceva le battaglie di Cesare e di Alessandro Magno ed era pienamente consapevole dell’importanza strategica del mare. Le sue ottime conoscenze matematiche gli avrebbero permesso di far buon uso dell’artiglieria, ma le sue osservazioni sembravano non aver valore per Carteaux.

 

Non potendo prendere parte attiva al piano d’attacco, Napoleone si dedicò alle mansioni di un capitano d’artiglieria e, durante un sopralluogo dell’area, realizzò quanto la situazione fosse disastrosa: mancavano treni per trasportare i cannoni, non c’erano parchi d’artiglieria, le traiettorie di lancio erano calcolate male e i bombardieri scaldavano le palle dei cannoni in marmitte da cucina.

 

Il 20 settembre Napoleone posizionò una batteria di cannoni nelle insenature della baia piccola, la Petit Rade; i vascelli inglesi vi erano appena entrati quando, vedendo i cannonieri di Buonaparte, fecero loro omaggio con qualche colpo sparato a salve, secondo l’uso. Napoleone rispose facendo fuoco; i vascelli, per non rimanere sotto tiro, si insinuarono ancor di più nella Petit Rade e Buonaparte, ventiquattr’ore dopo, già tentava di prendere l’Éguilette.

 

Ma il generale Carteaux gli inviò solo uno sparuto gruppo di uomini, senza alcuna assistenza medica e Napoleone non riuscì a conquistare il forte. Immediatamente gli inglesi si accorsero dell’importanza della collina Le Caire e vi costruirono un grande terrapieno, il forte Mulgrave; oramai erano già passati due mesi e si poteva parlare di assedio.

 

Napoleone decise che avrebbe disubbidito formalmente e iniziò una frenetica corsa contro il tempo; di comune accordo con i due réprésentants en mission, scrisse al ministro della guerra, agli uffici militari di Marsiglia e Avignone e all’Armata d’Italia, accompagnando il tutto con rapporti sullo stato delle truppe e delle munizioni, sottolineando le difficoltà che incontrava, allegando un piano di conquista e richiedendo un generale che comprendesse l’arte militare.

 

Saliceti e Gasparin collaboravano con lui: iniziarono a sollevare dubbi su Carteaux nei loro resoconti al governo, aggiungendo che, fortunatamente, con Buonaparte il fato ci ha meravigliosamente assistiti. Napoleone non aveva tempo per aspettare che la macchina burocratica di Parigi si mettesse in moto e gli facesse avere ciò di cui aveva bisogno, quindi si risolse a perlustrare l’entroterra e riuscì a ottenere animali da tiro, quasi 100 cannoni e polvere da sparo.

 

Il còrso lavorava incessantemente tanto che arrivò a riconvertire un reparto di fanti in artiglieri, dormendo all’aperto con i suoi uomini e mangiando pane e acqua come loro. Il giovane capitano non chiamava le batterie di cannonieri con delle cifre ma “batteria dei Montagnardi” o “batteria dei Giacobini” e “batteria della Convenzione”, quell’estate Napoleone era senza dubbio un fervente rivoluzionario, ma già era manifesta la sua capacità di farsi amare dalle truppe, fosse anche dal tamburino maggiore dell’ultimo dei reggimenti.

 

Finalmente l’11 novembre Carteaux venne rimpiazzato; il suo sostituto era il generale Doppet, medico di professione, che purtroppo non si rivelò adatto al suo compito. Il 15 novembre, quella che era iniziata come una schermaglia tra soldati divenne un assalto a fort Mulgrave, il vino è stappato, bisogna berlo, commentò subito Napoleone in un alea iacta est alla francese, ma il general-dottore, alla vista del suo aiutante di campo steso a terra, fece battere subito la ritirata e tutta l’azione fu perduta. I soldati iniziavano a essere stanchi della situazione: avremmo solo pittori e medici a comandarci?.

 

Dopo tre mesi di assedio Parigi era quanto mai preoccupata e finalmente, il 17 novembre, un veterano della Rivoluzione americana con 40 anni di esperienza prese il comando. Si chiamava Jacques Dugommier e suscitò subito in Napoleone una profonda ammirazione, anche se il generale lo chiamò per tutto il tempo Bonna Parte.

 

Ognuno aveva la propria idea su come porre fine all’assedio e in quei mesi Napoleone vide passare sotto ai suoi occhi quasi cinquecento strategie diverse per la presa di Tolone. Ma dicembre si avvicinava e qualche testa rischiava di saltare; fu così che, il 25 novembre, il consiglio di guerra, su iniziativa di Saliceti, decise di mettere in pratica l’idea di Buonaparte.

 

Sarebbe stato simulato un attacco contro un monte a nord della città, mont Faron, e poi, dopo un feroce bombardamento i francesi sarebbero passati alla conquista di fort Mulgrave, Napoleone definiva il piano una commozione generale. L’azione fu violenta e non priva di imprevisti: mentre caricava un cannone lasciato scoperto da un caduto, Napoleone entrò in contatto con il battipalle sanguinolento del defunto e dopo pochi giorni contrasse la scabbia.

 

Il 30 novembre 2.350 uomini, tra inglesi, piemontesi, spagnoli e napoletani si erano scontrati contro 600 soldati rivoluzionari e avevano quasi distrutto “la batteria della Convezione”; ma dopo altre 7 ore di combattimenti e 50 morti tra le fila francesi, i generali Garnier e Dugommier riuscirono a portare i rivoluzionari alla vittoria, catturando un uomo di tutta importanza: il generale inglese Charles O’Hara, che qualche anno prima si era arreso al generale George Washington a Yorktown. Il bilancio della giornata fu di circa di 400 morti soprattutto inglesi, come scrisse lo stesso Buonaparte in una lettera a un amico.

 

Ma quella del 30 novembre era solo una vittoria circoscritta e, fu solo nella notte del 17 dicembre, che, sotto la pioggia battente, 7.000 francesi (tra i quali i 4.000 “più agguerriti”) si impossessarono di forte Mulgrave in un feroce corpo a corpo.

 

Il cavallo di Napoleone venne ucciso mentre questi era in sella, e un inglese gli conficcò la lama della baionetta in una coscia; ma l’attacco continuò, e in mezzo al buio, al vento, alla pioggia (...) e tra le grida dei feriti e dei moribondi, mentre i vascelli inglesi bombardavano la collina con quasi cento colpi al minuto, Fort Mulgrave venne conquistato, seguito a ruota dalle fortezze Éguilette e Balaguier. Poi un bombardamento massiccio venne diretto contro la flotta dell’ammiraglio Hood, ancorata nella Petite Rade. Gli inglesi evacuarono subito la baia e fecero saltare in aria l’arsenale di Tolone.

 

Il turbinio di fiamme e fumo che si sprigionava dall’arsenale sembrava un vulcano in eruzione; un chiarore rosso riempiva tutto il cielo; era piena notte ma sembrava pieno giorno”, l’immagine di quella scena sarebbe rimasta impressa per sempre nella mente del futuro imperatore.

 

Tolone era di nuovo in mano alla Convenzione e i lealisti monarchici dovettero abbandonare la città in fretta, i représentants del popolo avevano già iniziato la repressione; la città di Tolone venne ribattezzata Port-de-la-Montagne, la sfiorata guerra civile doveva essere dimenticata e i condannati a morte furono alcune centinaia, sebbene ci siano pareri discordanti circa il numero esatto.

 

Dopo un autunno di incessante lavoro, Napoleone vide riconosciuto il suo impegno sul campo, e, a soli 24 anni, venne nominato generale.

 

Lì la Storia lo afferrerà per non lasciarlo più, là comincia la sua immortalità, avrebbe scritto Emmanuel de Las Cases nel Mémorial di Sainte- Hélène trent’anni dopo; fuor di metafora, la vittoria di Tolone segnò l’inizio della repentina ascesa militare del còrso e quella giornata attirò su di lui l’attenzione di un altro représentant en mission, Augustine Robespierre, che rimase così affascinato da Napoleone da scriverne al più noto fratello, Maximilien Robespierre: aggiungerei alla lista dei patrioti il cittadino Buonaparte, generale di artiglieria, un ufficiale dal merito sovrumano.

 

L’idea di Napoleone era frutto di un’intuizione maturata in poco tempo ma portata avanti per molti mesi con tenacia. Le sue conoscenze accademiche e il magnetismo che esercitava sulle truppe ne avevano decretato il successo; ma da dove traeva la cieca fiducia nel suo piano? Per lui fu molto semplice, la topografia di Tolone era molto simile a quella di un’altra città a lui ben nota: Ajaccio.

 

Tutti nascono anonimi come me, in una anonima Ajaccio, in un’anonima isola, in un anonimo 15 agosto, di un anonimo 1769, da due anonimi Carlo e Letizia Ramolino; solo dopo diventano qualcuno; e se prima di ogni altra cosa sono capaci di non deludere se stessi, anche la volontà divina si manifesta sull’uomo”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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