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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

Il Musée des monuments français
Tra protezione e restauro

di Alessandro Nasonte

 

Il principio di quel che oggigiorno ravvisiamo come “Restauro”, ebbe origine presumibilmente all’indomani della Rivoluzione francese, in piena riflessione con il disordine interiore che aveva animato l’umano agire, risolvendosi in esiti piuttosto tragici, comportando l’eliminazione di qualsiasi traccia del passato, dell’antico potere assolutista ed ecclesiastico.

 

Nel momento in cui la violenza devastante della Rivoluzione ebbe fine, ci si trovò non solo a far fronte ad un patrimonio artistico d’impareggiabile bellezza, altresì ad assicurare e proteggere tutti quei beni di proprietà dei nobili e dei prelati fuggiti all’estero al riparo dall’onda distruttrice dei rivoluzionari.

 

I nuovi assetti politici e sociali originatesi dalle macerie della Rivoluzione, dovettero misurarsi con delle problematiche del tutto nuove e mai discusse prima di allora, ovvero la conservazione e la manutenzione di tutti quei beni a cui gli si attribuiva altresì, non solo un esplicito valore artistico, ma sostanzialmente un’importanza storica rilevante.

 

Così, si rese necessario istituire una “Commission des Monuments”, con il compito di catalogare e salvaguardare quei monumenti che erano stati il bersaglio di accanimenti incontrollati, avvenuti presumibilmente anche dopo la proclamazione della Repubblica.

 

I danni più ingenti furono causati alle facciate, ai portali e agli interni dei più importanti complessi dell’Età di Mezzo. I Re biblici che impreziosivano le più importanti cattedrali medievali furono decapitati perché simbolo di quell’odiata regalità incarnata dai sovrani appena destituiti.

 

Alexandre Lenoir fu incaricato di riunire all’interno dell’ex convento dei Petits Augustins i dipinti e le sculture provenienti dalle chiese e dai monasteri soppressi, contribuendo in maniera formidabile alla creazione di un vero e proprio inventario costituito dai beni confiscati alla chiesa.

 

Il Monastero di Petits Augustins fu così concepito come un magazzino temporaneo dove poter custodire in maniera sicura le opere provenienti dai luoghi di culto e dalle abitazioni dei nobili fuggiti all’estero. Il Comité d’alienation, sorto per tutelare le ricchezze minacciate dai disordini popolari, aveva il compito di indirizzare e collocare le opere d’arte presenti all’interno del convento, verso nuove destinazioni.

 

All’interno, vi trovarono posto tra l’altro, molte sculture in pietra e in legno che non avevano alcun riscontro da parte di probabili acquirenti. Gli oggetti preziosi vennero venduti al miglior offerente e i metalli furono fusi in previsione di un’eventuale guerra.

 

Lenoir fece in modo di selezionare ed acquisire di anno in anno reperti, sculture, bassorilievi, pavimenti musivi, oggetti di oreficeria varia. Guidato da un gusto del tutto personale, egli allestì le sale del “Musée des monuments français”.

 

Il museo aprì al pubblico il 1 settembre 1795 e custodì gran parte dei reperti accumulati da Lenoir negli anni. L’intento del museo era quello di rappresentare, attraverso lo sviluppo tecnico-cronologico della scultura, la storia della Francia.

 

Ogni secolo (a partire dal XIII) ebbe la sua sala di riferimento secondo un criterio di allestimento di tipo stilistico-evocativo. L’allora ministro dell’interno Benezech, impose una presentazione cronologica delle opere, così Lenoir realizzò una panoramica della storia Francia, suddivisa per secoli.

 

La decorazione delle volte, dei pavimenti e dei muri degli ambienti espositivi fu concepita in corrispondenza di ciascun secolo. In verità l’allestimento del “Musée des monuments francais”, non fu altro che un’interpretazione personale dello stesso Lenoir.

 

La sua lettura dell’evoluzione dell’arte nazionale, fu guidata a grandi linee da un’interpretazione e da un gusto del tutto personali. Ciò si evidenzia, ad esempio, negli interventi conservativi ai quali sottopose (con l’aiuto dello scultore Bauvallet), gran parte dei reperti ospitati all’interno del convento.

 

In molti casi, non si trattò soltanto di completamenti di parti mancanti (costume diffuso da secoli), bensì di assemblaggi arbitrari, che riscontravano elementi di diversa provenienza, in cui predominava l’idea di creare un effetto scenografico d’insieme.

 

L’assenza di rigore scientifico negli interventi conservativi come anche nello studio e nella presentazione al pubblico delle opere, fu il motivo sostanziale, mediante il quale gli avversari di Lenoir, guidati da Quatremére de Quincy e dallo scultore Deseine, ne definirono la chiusura nel 1816.

 

Lenoir aveva agito, permeato dall’immenso amore che riserbava all’educazione dei cittadini alla conoscenza della Storia Nazionale; peraltro è opportuno sottolineare come egli, fu costretto ad improvvisarsi, in breve tempo, a conservatore di collezioni pubbliche composte per lo più da opere di cui egli non sapeva pressoché nulla. Interessato al solo valore assunto dall’arte classica, egli ignorò completamente il resto dell’arte francese. Il sapere e lo sguardo antiquari (inscrivibili al conoscitore) rimanevano ancora un privilegio appannaggio di una minoranza.

 

La storia dell’Arte Nazionale, non era ancora cronologicamente del tutto delineata, per non parlare di quella medioevale. Non si era in grado di poter attingere ad una piena conoscenza di tutte le opere e soprattutto, non si era ancora in possesso di tutte quelle regole che ne determinavano le modalità di presentazione al pubblico.

 

È doveroso ribadire come, a detta dei contemporanei, il “Musée des Monuments Français” ebbe un riscontro di pubblico, in gran parte attribuibile all’elemento scenografico della presentazione delle opere attraverso le varie sale espositive.

 

Il principale complice di quell’effetto scenico sottolineato in precedenza fu senz’altro il colore. Sicuramente doveva emergere come elemento fondamentale dell’allestimento. Le tombe e le altre sculture dei vari ambienti dovevano essere avvolte, agli occhi del visitatore, da un velo di mistero creato mediante un sistema d’illuminazione soffusa modulata da vetri colorati.

 

L’idea di Lenoir sull’evoluzione storica dell’arte nazionale era così espressa dal percorso creato nel museo in cui i secoli lontani erano più in ombra e quelli più prossimi al presente, in luce. Ombra e luce modulavano gli spazi espositivi attraverso il colore dei vetri, delle pareti, dei pavimenti, ma anche delle opere stesse.

 

Lenoir aveva mantenuto le finiture cromatiche delle superfici e nella stessa sala aveva così esposto sculture colorate e sculture prive di policromia mostrando quella che, con ogni probabilità, era la situazione reale dello stato conservativo in cui erano giunte a lui le varie opere disperse dalla Rivoluzione. Opere che presumibilmente conservavano ancora abbondanti tracce delle cromie, originali o di rifacimento, che ne attestavano l’originale aspetto policromo.

 

Egli non ebbe dunque alcun pregiudizio ad esporre le sculture nello stato in cui versavano, cioè colorate. Egli sosteneva che il valore simbolico assunto dal colore nella produzione artistica del Medioevo discendeva direttamente dai culti esoterici dell’antichità. Un’unica rappresentazione a colori, conservata al museo Carnavalet a Parigi, è offerta da un dipinto su tela che riproduce la sala in uno stato di semioscurità e che sembra lasciare intravedere le sculture dei giacenti come prive di finiture cromatiche.

 

Del tutto monocrome sembrano anche, nel dipinto, le sculture degli apostoli provenienti dalla Sainte Chapelle, ma in questo caso almeno due elementi attestano che esse erano realmente policrome nell’esposizione del Musée.

 

Il primo si basava sulle testimonianze storiche di De Guilhermy che, raccontando della dispersione a cui andarono incontro le sculture degli apostoli dopo la chiusura del Museo di Lenoir (1816) riferiva che molte di esse conservavano ancora intatta la loro policromia. Purtroppo, è doveroso rilevare, come del resto era facile intuire, che non solo Lenoir e i suoi contemporanei, si collocarono in evidente contrapposizione alla concezione artistica che attribuiva al colore uno straordinario valore evocativo, bensì elaborarono, un giudizio negativo sulla scultura policroma, conseguenza purtroppo, di quel valore pregiudizievole e primitivo assegnato da quella cultura neoclassica a cui egli apparteneva per formazione.

 

In nessun caso fece cenno alle parole per descrivere le policromie delle opere scultoree, chiaramente assai distante dai propri modelli artistici per essere argomento di esame anche solo descrittivo.

 

Il pensiero winckelmanniano, ribadiva che la policromia non era altro che un momento primitivo dell’arte della scultura. Il mito della scultura priva di colore, l’unica realmente considerabile tale, veniva così alimentato anche negli studi che riguardavano il Medioevo e la conferma si può trovare nelle pagine di un’altra importante opera di quegli anni firmata da Seroux d’Agincourt, “l’Histoire de l’Art par les Monuments”. Accanto al “Musée” di Lenoir questo scritto fu uno dei primi testi ad occuparsi da vicino, sul finire del Settecento, alla cultura artistica dell’”Età di Mezzo” “.

 

Lo studioso francese aveva viaggiato attraverso l’Europa per più di trent’anni, guardando da vicino e facendo riprodurre con incisioni le tante architetture e sculture medievali che fino a quel momento erano rimaste ignorate dagli studi sull’arte.

 

Eppure, le analisi sulle opere di scultoree, dovevano certamente evidenziare seppur in maniera frammentaria, tracce di quelle finiture policrome, che un tempo dovevano caratterizzare gran parte delle superifici delle opere prese in esame da Seroux, eppure, non vennero mai menzionate.

 

Nonostante ciò, tali policromie non vennero mai riportate come tale. Nelle pagine dei “Discours préliminaire all’Histoire de l’art”, egli si era dichiaratamente definito un erede diretto di Winckelmann di cui aveva voluto “continuer l’Histoire”.

 

Lo scopo principale del Museo creato da Lenoir, fu quello di offrire attraverso l’esposizione delle sculture, un racconto della storia della Francia, pur sapendo poco di Medioevo, scegliendo il colore per raccontarlo.

 

Veniva così creato un nesso inscindibile e del tutto nuovo per l’epoca, ovvero, colore-Medioevo. Chiunque visitava il museo non poteva non cogliere questo rapporto, non poteva non restare colpito da questa immagine policroma delle sale medievali, fondata in parte da una riconosciuta base storica, ma che Lenoir aveva voluto sfruttare oltremodo, in tutte le sue potenzialità evocative e scenografiche.

 

Attraverso le cromie degli spazi espositivi egli congiunse scenograficamente l’arte del Medioevo con la storia della Francia, presentandola pubblicamente in modo suggestivo che per molto tempo influenzerà il modo di guardare all’Età di Mezzo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Billi, I colori del Medioevo nei restauri dell’Ottocento francese. Studi sulla policromia della scultura, Firenze 2010.

S. Casiello, La cultura del restauro. Teorie e Fondatori, Venezia 1996.

G. Fiengo, S. Casiello, Note sul restauro dei monumenti agli inizi del XIX secolo, in “Restauro”, n. 5, 1973.

G. Fiengo, Il recupero dell’architettura medievale nei pensatori francesi del primo Ottocento, in “Restauro”, IX, nn. 47-49, gennaio-giugno 1980.

R. Middleton, Perfezione e colore: la policromia nell’architettura francese del XVIII e del XIX secolo, in “Rassegna”, n. 23, 1985.



 

 

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