[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 209 / MAGGIO 2025 (CCXL)


contemporanea

Mostro di Firenze e Zodiac
i lati oscuri (ed enigmatici) della mente criminaleA
di Riccardo Renzi

 

Tra le dolci colline che abbracciano Firenze, città che il mondo riconosce come culla dell’arte e della bellezza, si è consumato uno degli incubi più duraturi e destabilizzanti della cronaca italiana. Tra il 1968 e il 1985, otto coppie furono brutalmente assassinate mentre cercavano intimità nelle campagne toscane. I delitti, efferati e rituali, seguivano uno schema preciso: l’uomo veniva ucciso con una pistola, la donna trascinata fuori, spesso mutilata con un’arma da taglio nei genitali o al seno. Un modus operandi che sfida le categorie convenzionali del crimine passionale o dell’aggressione sessuale. Un assassino, o forse un gruppo, agiva con freddezza chirurgica, scegliendo notti senza luna, weekend, luoghi isolati e segnando per sempre l’immaginario collettivo con la firma del “Mostro di Firenze”.


Inizialmente, nessuno immaginava di trovarsi di fronte a un serial killer. Il primo duplice omicidio, quello del 1968 a Signa, fu archiviato come crimine passionale, con Stefano Mele – marito di Barbara Locci – condannato come unico responsabile. Solo nel 1982, con il riconoscimento balistico dei bossoli, si iniziò a capire che quei delitti erano parte di un disegno ben più oscuro.
Il Mostro non lasciava tracce. Nessuno lo vide mai, nessuno lo sentì. Eppure, Firenze cambiò volto. La paura si radicò nei comportamenti quotidiani, nelle abitudini, nella libertà stessa delle persone. Gli anni delle indagini furono segnati da clamorosi errori giudiziari, piste interrotte, depistaggi e processi controversi. Pietro Pacciani, contadino con un passato di violenze e una vita opaca, fu il principale imputato. Condannato in primo grado, venne assolto in appello, morendo prima del processo di Cassazione. Seguirono le condanne di due suoi conoscenti – Mario Vanni e Giancarlo Lotti – definiti “i compagni di merende”. Nessuna prova fisica, solo confessioni contraddittorie e una sensazione generale di incompletezza.


La pistola non fu mai ritrovata. Le armi da taglio usate per le mutilazioni, neppure. E soprattutto: il movente rimase avvolto nel buio. Sadismo? Ritualità? Una rete esoterica o un mercato nero di feticci? Tutto, e nulla, sembrava plausibile.


Nel 2018, il giornalista Francesco Amicone lancia una nuova teoria: e se il Mostro di Firenze e lo Zodiac Killer fossero la stessa persona? Una proposta che, pur apparentemente fantascientifica, inizia a trovare inquietanti corrispondenze. Il nome centrale è quello di Joseph "Joe" Bevilacqua, ex militare e direttore del Cimitero Americano di Firenze, già testimone nel processo contro Pacciani.


Bevilacqua, nato a Totowa (New Jersey) nel 1935, viveva a pochi passi dalla scena dell’ultimo duplice omicidio di Scopeti. Secondo Amicone, in una confessione privata mai registrata, avrebbe ammesso la responsabilità sia dei delitti fiorentini che di quelli californiani. Una confessione non raccolta dalla magistratura, che nel frattempo archiviava la pista per mancanza di riscontri oggettivi.


Ma la narrazione di Amicone si infittisce di dettagli. Bevilacqua avrebbe operato per la Criminal Investigation Division dell’esercito americano negli anni in cui Zodiac imperversava sulla costa occidentale degli USA. Una vita da uomo-ombra, tra intelligence, missioni coperte e segreti.


Una delle teorie più singolari e persistenti è quella della cosiddetta “Water Theory”. Zodiac, come il Mostro, avrebbe scelto luoghi vicino a fiumi, pozzi, falde o addirittura laghi per perpetrare i suoi omicidi. A Scopeti, due bidoni marcati “Acquabet” – intonsi – vennero usati per occultare i cadaveri. Un gesto che per alcuni ha valore simbolico: non solo copertura, ma messaggio.


Nelle lettere del Mostro – come quella spedita al magistrato Silvia Della Monica con un lembo di seno umano – ricorre la parola “acqua”, spesso ritagliata da riviste italiane. Anche Zodiac, nelle sue criptiche comunicazioni, utilizzava simboli e riferimenti al liquido come elemento rituale. L’acqua come purificazione? Come passaggio? O come firma?


Una componente comune tra Zodiac e il Mostro è l’uso della parola scritta come mezzo di comunicazione con il mondo. Zodiac lasciava lettere, crittogrammi e sfide alla polizia. Il Mostro, più tardi, fece lo stesso: oltre alla già citata missiva del 1985, ne esiste un’altra, inviata al giornalista Paolo Vagheggi, contenente simboli zodiacali, una mappa degli omicidi e coordinate geografiche che portano esattamente alla piazzola di Scopeti. Dettagli troppo precisi per essere casuali. In entrambi i casi, chi scrive sembra voler essere trovato, ma alle sue condizioni.


Il sospetto che Joe Bevilacqua fosse l’uomo dietro i due serial killer si alimenta anche di circostanze geografiche e temporali. Si trovava in Germania durante alcuni omicidi simili a quelli di Zodiac, nella Firenze rurale durante quelli del Mostro. Conosceva, o diceva di conoscere, persone coinvolte. Contraddisse se stesso durante le testimonianze. E soprattutto, secondo Valeria Vecchione – esperta del caso – vi sarebbe anche una confessione indiretta ricevuta da personale medico toscano da parte di un paziente morente: “Ho ucciso mia moglie, sono il Mostro”. Il nome riportato? Bevilacqua.
Nel 2020, la procura di Siena ottiene un campione di DNA di Bevilacqua, nell’ambito dell’indagine sull’omicidio della tassista Alessandra Vanni. Profilo ritenuto non compatibile, ma mai inviato alle autorità statunitensi. È Amicone, anni dopo, a colmare la lacuna, inviando lui stesso il profilo ai detective californiani. La risposta? Una richiesta formale di collaborazione alla Procura di Firenze. A fine 2024, le indagini vengono riaperte.


Eppure, la giustizia italiana si muove su binari paralleli: nello stesso mese, Francesco Amicone viene condannato per diffamazione nei confronti della famiglia Bevilacqua. Nessuna prova oggettiva, dice il giudice. Ma l’indagine è riaperta. L’ombra dell’uomo resta.


Ciò che resta è il mistero. Due dei più celebri serial killer del Novecento, entrambi legati a dinamiche di coppia, ritualità e simbolismo. Entrambi sfuggiti a ogni forma di identificazione definitiva. E un uomo – Joe Bevilacqua – la cui biografia si sovrappone in modo inquietante con le tappe dei delitti. Suggestione? Coincidenza? O una verità troppo grande da ammettere?


Secondo gli esperti del Pulp Podcast, tra cui Valeria Vecchione e Andrea Rebuscini, ci sono solo quattro serial killer documentati negli ultimi settant’anni che hanno colpito coppie appartate con lo stesso schema: Zodiac, il Mostro, il killer tedesco Werner Boost e il Figlio di Sam. Bevilacqua era in Germania durante i delitti di Boost, in America durante Zodiac, in Toscana durante il Mostro. Le date? A volte sovrapposte. Le pause nei crimini? Combacianti...

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]