Mostro di Firenze e Zodiac
i lati oscuri (ed enigmatici) della
mente criminaleA
di Riccardo
Renzi
Tra le dolci colline che abbracciano
Firenze, città che il mondo
riconosce come culla dell’arte e
della bellezza, si è consumato uno
degli incubi più duraturi e
destabilizzanti della cronaca
italiana. Tra il 1968 e il 1985,
otto coppie furono brutalmente
assassinate mentre cercavano
intimità nelle campagne toscane. I
delitti, efferati e rituali,
seguivano uno schema preciso: l’uomo
veniva ucciso con una pistola, la
donna trascinata fuori, spesso
mutilata con un’arma da taglio nei
genitali o al seno. Un modus
operandi che sfida le categorie
convenzionali del crimine passionale
o dell’aggressione sessuale. Un
assassino, o forse un gruppo, agiva
con freddezza chirurgica, scegliendo
notti senza luna, weekend, luoghi
isolati e segnando per sempre
l’immaginario collettivo con la
firma del “Mostro di Firenze”.
Inizialmente, nessuno immaginava di
trovarsi di fronte a un serial
killer. Il primo duplice omicidio,
quello del 1968 a Signa, fu
archiviato come crimine passionale,
con Stefano Mele – marito di Barbara
Locci – condannato come unico
responsabile. Solo nel 1982, con il
riconoscimento balistico dei
bossoli, si iniziò a capire che quei
delitti erano parte di un disegno
ben più oscuro.
Il Mostro non lasciava tracce.
Nessuno lo vide mai, nessuno lo
sentì. Eppure, Firenze cambiò volto.
La paura si radicò nei comportamenti
quotidiani, nelle abitudini, nella
libertà stessa delle persone. Gli
anni delle indagini furono segnati
da clamorosi errori giudiziari,
piste interrotte, depistaggi e
processi controversi. Pietro
Pacciani, contadino con un passato
di violenze e una vita opaca, fu il
principale imputato. Condannato in
primo grado, venne assolto in
appello, morendo prima del processo
di Cassazione. Seguirono le condanne
di due suoi conoscenti – Mario Vanni
e Giancarlo Lotti – definiti “i
compagni di merende”. Nessuna prova
fisica, solo confessioni
contraddittorie e una sensazione
generale di incompletezza.
La pistola non fu mai ritrovata. Le
armi da taglio usate per le
mutilazioni, neppure. E soprattutto:
il movente rimase avvolto nel buio.
Sadismo? Ritualità? Una rete
esoterica o un mercato nero di
feticci? Tutto, e nulla, sembrava
plausibile.
Nel 2018, il giornalista Francesco
Amicone lancia una nuova teoria: e
se il Mostro di Firenze e lo Zodiac
Killer fossero la stessa persona?
Una proposta che, pur apparentemente
fantascientifica, inizia a trovare
inquietanti corrispondenze. Il nome
centrale è quello di Joseph "Joe"
Bevilacqua, ex militare e direttore
del Cimitero Americano di Firenze,
già testimone nel processo contro
Pacciani.
Bevilacqua, nato a Totowa (New
Jersey) nel 1935, viveva a pochi
passi dalla scena dell’ultimo
duplice omicidio di Scopeti. Secondo
Amicone, in una confessione privata
mai registrata, avrebbe ammesso la
responsabilità sia dei delitti
fiorentini che di quelli
californiani. Una confessione non
raccolta dalla magistratura, che nel
frattempo archiviava la pista per
mancanza di riscontri oggettivi.
Ma la narrazione di Amicone si
infittisce di dettagli. Bevilacqua
avrebbe operato per la Criminal
Investigation Division dell’esercito
americano negli anni in cui Zodiac
imperversava sulla costa occidentale
degli USA. Una vita da uomo-ombra,
tra intelligence, missioni coperte e
segreti.
Una delle teorie più singolari e
persistenti è quella della
cosiddetta “Water Theory”. Zodiac,
come il Mostro, avrebbe scelto
luoghi vicino a fiumi, pozzi, falde
o addirittura laghi per perpetrare i
suoi omicidi. A Scopeti, due bidoni
marcati “Acquabet” – intonsi –
vennero usati per occultare i
cadaveri. Un gesto che per alcuni ha
valore simbolico: non solo
copertura, ma messaggio.
Nelle lettere del Mostro – come
quella spedita al magistrato Silvia
Della Monica con un lembo di seno
umano – ricorre la parola “acqua”,
spesso ritagliata da riviste
italiane. Anche Zodiac, nelle sue
criptiche comunicazioni, utilizzava
simboli e riferimenti al liquido
come elemento rituale. L’acqua come
purificazione? Come passaggio? O
come firma?
Una componente comune tra Zodiac e
il Mostro è l’uso della parola
scritta come mezzo di comunicazione
con il mondo. Zodiac lasciava
lettere, crittogrammi e sfide alla
polizia. Il Mostro, più tardi, fece
lo stesso: oltre alla già citata
missiva del 1985, ne esiste
un’altra, inviata al giornalista
Paolo Vagheggi, contenente simboli
zodiacali, una mappa degli omicidi e
coordinate geografiche che portano
esattamente alla piazzola di
Scopeti. Dettagli troppo precisi per
essere casuali. In entrambi i casi,
chi scrive sembra voler essere
trovato, ma alle sue condizioni.
Il sospetto che Joe Bevilacqua fosse
l’uomo dietro i due serial killer si
alimenta anche di circostanze
geografiche e temporali. Si trovava
in Germania durante alcuni omicidi
simili a quelli di Zodiac, nella
Firenze rurale durante quelli del
Mostro. Conosceva, o diceva di
conoscere, persone coinvolte.
Contraddisse se stesso durante le
testimonianze. E soprattutto,
secondo Valeria Vecchione – esperta
del caso – vi sarebbe anche una
confessione indiretta ricevuta da
personale medico toscano da parte di
un paziente morente: “Ho ucciso mia
moglie, sono il Mostro”. Il nome
riportato? Bevilacqua.
Nel 2020, la procura di Siena
ottiene un campione di DNA di
Bevilacqua, nell’ambito
dell’indagine sull’omicidio della
tassista Alessandra Vanni. Profilo
ritenuto non compatibile, ma mai
inviato alle autorità statunitensi.
È Amicone, anni dopo, a colmare la
lacuna, inviando lui stesso il
profilo ai detective californiani.
La risposta? Una richiesta formale
di collaborazione alla Procura di
Firenze. A fine 2024, le indagini
vengono riaperte.
Eppure, la giustizia italiana si
muove su binari paralleli: nello
stesso mese, Francesco Amicone viene
condannato per diffamazione nei
confronti della famiglia Bevilacqua.
Nessuna prova oggettiva, dice il
giudice. Ma l’indagine è riaperta.
L’ombra dell’uomo resta.
Ciò che resta è il mistero. Due dei
più celebri serial killer del
Novecento, entrambi legati a
dinamiche di coppia, ritualità e
simbolismo. Entrambi sfuggiti a ogni
forma di identificazione definitiva.
E un uomo – Joe Bevilacqua – la cui
biografia si sovrappone in modo
inquietante con le tappe dei
delitti. Suggestione? Coincidenza? O
una verità troppo grande da
ammettere?
Secondo gli esperti del Pulp
Podcast, tra cui Valeria
Vecchione e Andrea Rebuscini, ci
sono solo quattro serial killer
documentati negli ultimi
settant’anni che hanno colpito
coppie appartate con lo stesso
schema: Zodiac, il Mostro, il killer
tedesco Werner Boost e il Figlio di
Sam. Bevilacqua era in Germania
durante i delitti di Boost, in
America durante Zodiac, in Toscana
durante il Mostro. Le date? A volte
sovrapposte. Le pause nei crimini?
Combacianti...