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                          N. 26 - Luglio 2007 
                                    
                                    
                                    
                                    MOSCA 
                                    
                                    
                                    La 
                                    capitale di un rinato impero economico 
                          
                          di Leila 
                          Tavi 
                          
                            
                          
                          
                          Mosca non fa più paura a nessuno. Te ne accorgi appena 
                          metti piede all'aeroporto Domodedovo, dopo la 
                          ristrutturazione le sue forme d’acciaio e vetro 
                          appaiono agli occhi dei visitatori anonime e lineari, 
                          prive di qualsiasi accenno al passato sovietico. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il viaggio dall’aeroporto alla città è lungo e pian 
                          piano gli spazi aperti lasciano il posto ai grattaceli 
                          e al raccordo soffocato di automobili a qualsiasi ora 
                          del giorno. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il taxista suda tra gincane e pirati della strada, 
                          sbraita: “Весь стоит!” , lascia il raccordo di 
                          nuovo e comincia a girare per la città in cerca di 
                          strade alternative, si asciuga il sudore, sintonizza 
                          la radio su Руский шансон, offre a Denisa una 
                          caramella. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Per la strada sfilano convogli militari, si incontrano 
                          ogni tre, quattro chilometri, poi accanto al taxi 
                          fermo a un semaforo un autobus per Нальчик. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca delle vecchie signore e dei ragazzini che 
                          raccolgono i rubli abbandonati dai turisti nella 
                          fontana del Комплекс “Охотныи Рад” o nel “punto 
                          zero”, il centro della città, come rito propiziatore 
                          di buona fortuna. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca dei sosia di Lenin e Nicola II, che giocano a 
                          carte davanti al Museo storico in attesa che qualche 
                          turista buontempone si lasci fotografare insieme a 
                          loro. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Le corone di fiori, che sono state deposte il 22 
                          giugno al Cremlino in memoria dei caduti della seconda 
                          guerra mondiale, non sono ancora appassite. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Un bambino è venuto a visitare con la nonna il 
                          monumento ai caduti e sventola una piccola bandiera di 
                          stoffa con i colori della Russia, старая мама 
                          fa fatica a immortalare il suo nipotino che non le 
                          concede una posa, indaffarato come è a sventolare 
                          senza sosta la sua bandierina. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il Манеж rifatto, un esempio di come i palazzi 
                          non sono mai ristrutturati, ma buttati giù e poi 
                          ricostruiti da capo con lo stesso stile; Nastia 
                          davanti a uno dei pochi palazzi del Seicento ancora 
                          originali pensa che sia, in un certo modo, ridicolo 
                          considerarlo un’”antichità” in presenza di italiani. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          L’Università Lomonosov si staglia nel cielo, sovrasta 
                          il palazzetto dello sport: è questo che offre alla 
                          vista dei turisti il punto panoramico della città, da 
                          dove si può scorgere, seminascosto dagli alberi, 
                          l’imponente trampolino per il salto con gli sci, che 
                          si trova nel parco dove i Moscoviti sono usi sciare 
                          d’inverno. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Peccato che lo scorso inverno la neve è comparsa solo 
                          per pochi giorni in febbraio e i ragazzi sono stati 
                          privati di uno dei loro divertimenti invernali 
                          preferiti. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          D’estate li vedi girare in skateboard o 
                          inline, rigorosamente con l’Hi Pod Nano e 
                          griffati; giovani slavi, asiatici, qualche volta 
                          africani; nonostante il latente razzismo dei Russi 
                          sembrerebbe che gli studenti ospiti delle università 
                          moscovite siano ben integrati. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Se ne stanno in piacevole compagnia ore e ore a fumare 
                          nei sushi bar, una vera e propria moda del 
                          momento, commentando ad alta voce la lezione appena 
                          seguita con i libri alla mano. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Nel Кафе (095) è un via vai di studenti nel 
                          fracasso di tecno e house proiettate su 
                          schermi al plasma ultrapiatti.  
                          
                          
                          Con i loro telefonini sofisticati e la sigaretta 
                          perennemente in bocca si lasciano servire sushi 
                          e caviale, mentre l’aria fredda dei condizionatori li 
                          toglie dall’imbarazzo di un caldo torrido a cui Mosca 
                          si sta lentamente abituando. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Accanto al caffè si trova il RGVIA, l’Archivio 
                          storico, un palazzo che cade a pezzi, assediato dai 
                          piccioni, i cui escrementi rendono le pareti 
                          dell’edificio ancora più sudice e abbandonate; nel 
                          traffico assordante della Большая Серпуковская 
                          l’archivio sembra da lontano una prigione. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il filo spinato, le alte mura, le grate alle finestre, 
                          la porta d’ingresso d’acciaio spesso, quasi un’isola 
                          di socialismo reale circondata da un consumismo 
                          sfrenato; una rocca che è restia a cedere alla logica 
                          del mercato e dove gli archivi sono ancora 
                          “gelosamente” custoditi, in un’era in cui con internet 
                          e l’accesso illimitato anche i documenti top secret 
                          della CIA sono diventati di pubblico dominio. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          La guardia all’ingresso sembra non vedere un essere 
                          umano da anni, abituato alle mummie imbalsamate che 
                          frequentano l’archivio regolarmente. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Sembrerebbe dai registri delle presenze che non molti 
                          occidentali abbiano messo piede in archivio, almeno 
                          ultimamente. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il sorvegliante è molto ospitale e mostra fiero il 
                          retro della guardiola, che ricorda gli scenari del 
                          film Goodbye Lenin; da buon russo offre una 
                          tazza di tè, come a volere compensare gli sguardi 
                          gelidi e sospettosi dell’archivista soprappeso, che si 
                          sente il garante della segretezza degli atti custoditi 
                          in archivio. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          I fondi ivi contenuti, ricorda il saccente archivista, 
                          sono un bene di proprietà dello Stato russo e recita a 
                          memoria tutti gli articoli del regolamento per la 
                          consultazione. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Eppure nella toilette di servizio dell’archivio fanno 
                          bella mostra varie bottiglie di alcolici, dalla vodka 
                          al martini bianco. Chissà se il bere è un passatempo 
                          solo dei guardiani o prima di recitare il decalogo 
                          dell’onesto visitatore l’archivista benpensante si 
                          lascia tentare da uno стаканчик. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il poliziotto dell’archivio parla con un suo collega 
                          attraverso un walky talky e si aggira per i 
                          corridoi; forse è il caso di sparire, se l’archivista 
                          inquisitrice sapesse che sono riuscita a fotografare 
                          dei documenti di “proprietà dello Stato russo” mi 
                          verrebbe, in futuro, impedito di mettere piede ancora 
                          in qualsiasi archivio sul territorio russo. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mentre lascio l’archivio con circospezione mi viene da 
                          ridere al pensiero che un registro di nomi che sono 
                          passati per la frontiera russa nel marzo del 1811 non 
                          debba essere reso pubblico. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Se fossimo stati ai tempi della guerra fredda sarebbe 
                          stata tutta un’altra cosa, ma oggi non c’è più bisogno 
                          di rischiare la vita per sapere, basta dare 
                          un’occhiata ai documenti del CESAER, POLO and ESAU per 
                          sbirciare nei grandi segreti di venti anni di storia e 
                          spionaggio. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca come New York con gli uomini d’affari, le auto 
                          di lusso e i grattaceli sul fiume Moskva. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          I nuovi ricchi si incontrano a tutti gli eventi 
                          mondani, alla fiera delle barche a motore, al festival 
                          del cinema e, di notte, parcheggiano la macchina in 
                          doppia fila o sui marciapiedi davanti ai caffè 24 
                          часа, aperti giorno e notte. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Seduti ai tavolini all’aperto aspettano che si 
                          avvicinino le belle ragazze per farsi offrire un 
                          drink o per chiedere un passaggio a casa; a volte 
                          si assiste a un vero e proprio реальна шоу, 
                          quando arriva il carro attrezzi con in testa il 
                          poliziotto di turno, interessato solo a incassare dai 
                          proprietari delle auto parcheggiate male un piccolo 
                          obolo. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Alla fine della ronda le auto rimangono così come 
                          erano parcheggiate, ma ogni proprietario è uscito dal 
                          caffè per contrattare con il poliziotto. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Aleksey cambia auto come cambia la camicia e alle 3 di 
                          notte è abbastanza ubriaco da barcollare fino alla 
                          mercedes di turno; in giacca bianca alla Miami 
                          Vice, urla per la strada al suo amico Aleksandr che 
                          uno dei suoi uomini può riportarlo a casa. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          In macchina Aleksandr si presenta come “Alessandro” e 
                          parla un discreto italiano con un forte accento russo, 
                          la conversazione passa alternativamente dal russo, 
                          all’inglese, all’italiano; di tanto in tanto mi 
                          vengono fatte domande in polacco e in francese. 
                           
                          
                          
                            
                          
                          
                          Poi Aleksandr chiede al mio amico se sono una delle 
                          ragazze di Aleksey, una переводчика. Quando 
                          confesso, ridendo, di essere a Mosca per una ricerca 
                          d’archivio, “Alessandro” diventa serio e attento, 
                          mostra improvvisamente rispetto per me: “Interessante, 
                          an Italian girl enjoying Moscow”; faccio la solita 
                          battuta scontata sugli uomini italiani che arrivano a 
                          Mosca, ma Aleksandr taglia corto amareggiato e dice: 
                          “But they come for other reasons”.  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Sotto casa sua si accomiata da noi con garbo e 
                          stringendomi la mano mi dice che se mai dovessi 
                          decidere di trasferirmi a Mosca, o di cambiare lavoro, 
                          posso rivolgermi a lui sicuramente; l’invito sembra 
                          serio e senza secondi fini, quasi una proposta 
                          d’affari. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il mio amico e io risaliamo nella BMW 7 seriese 
                          nera, verso le quattro comincia a fare giorno, mentre 
                          sul raccordo i cantieri sono in piena attività; 
                          all’uscita dal raccordo la BMW sfreccia per la città 
                          incurante dei semafori rossi. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Wale chiede se voglio che rallenti, io sorrido, 
                          figuriamoci se lo privo del brivido della corsa per le 
                          strade deserte della città. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Eppure per i poliziotti l’unica infrazione da 
                          fischiare e da multare è quella dei pedoni che 
                          decidono, incuranti del pericolo, di attraversare le 
                          strade senza semaforo pedonale invece di utilizzare i 
                          sottopassaggi, dove il fetore di urina e la sporcizia 
                          non sono dei più invitanti.  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Quegli incoscienti si guadagnano dai poliziotti 
                          l’appellativo di баран; agli automobilisti 
                          invece è permessa qualsiasi infrazione del codice 
                          della strada, soprattutto se guidano auto costose e 
                          potenti. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca senza crepuscolo, dove la notte è così breve 
                          anche senza l’alba boreale. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca dei distributori automatici di quotidiani, dei 
                          mercati coperti dove la frutta fuori stagione costa 
                          più che un cena in un ristorante di lusso, dove 
                          all’improvviso arriva un temporale e ti chiedi come 
                          mai tutti cercano un riparo e pazientemente aspettano. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Invece bisogna aspettare pazientemente che spiova, non 
                          fare come i turisti che si lasciano tentare dalla 
                          smania di andare comunque e si ritrovano bagnati 
                          fradici, mentre il temporale si allontana in pochi 
                          minuti e spunta di nuovo il sole. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mosca dai mille centri commerciali con le vetrine 
                          sfavillanti e tutte le marche che si trovano in 
                          Occidente: Zara, New Yorker, Orsey, Benetton, Top 
                          Shop, Tommy Hilfiger, Lacoste,… e i салон красоты 
                          dietro ogni angolo, ma se per avventura cerchi una 
                          copisteria o un ufficio postale puoi girare per ore 
                          prima di trovarne uno. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Una visita al Собор Храм Христа Спасителя a me 
                          è negata dal custode, che sostiene che il mio 
                          abbigliamento non è adeguato.  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Fuori mentre aspetto mi siedo sul marmo del pavimento 
                          all’esterno della chiesa, in un punto rialzato, dove 
                          posso osservare un bellissimo scorcio dei tetti di 
                          Mosca, fino a quando il custode infastidito esce e mi 
                          indica che per sedere ci sono le panchine. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Tanto rigore quanto a San Pietro per una chiesa 
                          totalmente ricostruita dopo che, durante il 
                          socialismo, fu adibita a piscina pubblica scoperta. 
                          Denisa mi racconta di aver acceso una candela e di 
                          essersi coperta il capo con il cappuccio della felpa, 
                          così come le ho spiegato, fanno le donne ortodosse 
                          quando entrano in chiesa per pregare. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          In periferia, a nord della città, nei pressi del 
                          Северный бульвар, si trova un complesso recintato 
                          in cui sono state costruite da un privato una chiesa 
                          ortodossa, una moschea e una sinagoga, con al centro 
                          il solito салон красоты. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il complesso ricorda Las Vegas, dove anche il sacro 
                          può somigliare a un esercizio commerciale. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Alla biblioteca dedicata a Lenin fanno bella mostra 
                          corridoi con arredamenti e tappeti preziosi, 
                          illuminati maestosamente, ma la burocrazia la rende 
                          una bella gabbia dorata, dove per muoverti 
                          “liberamente” devi far attenzione a non smarrire il 
                          biglietto della registrazione giornaliera, la tessera 
                          annuale, un documento e la contromarca. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Sfinita dello girare come una trottola da un ufficio 
                          all’altro agli “antipodi” dell’edificio e di 
                          memorizzare regole su regole, crollo su una sedia 
                          della sala attigua alla читальный сал numero 2, 
                          quella in cui mi è stato assegnato il posto a sedere. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Con gli occhi semichiusi dalla stanchezza e la musica 
                          ad alto volume nelle orecchie per contrastare 
                          l’atmosfera ingessata della biblioteca, osservo gli 
                          altri visitatori. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Un signore anziano attira la mia attenzione, in 
                          seguito mi spiegheranno che si tratta di un veterano, 
                          sta inveendo contro la signora che fa le fotocopie e 
                          sua figlia perché, sostiene, non portano rispetto per 
                          la cultura e se ne va urlando: “Культура Культура 
                          или ниет Культура, пираты”. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          All’uscita dalla biblioteca sono affamata e non ho 
                          voglia di camminare, mi dirigo verso l’insegna più 
                          vicina di un caffè e m’imbatto in una dei locali di 
                          grido del momento, il Кафе Муар. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Per l’estate sono stati sistemati dei canapè color 
                          crema e avorio all’esterno del ristorante, in una 
                          veranda ubicata nel cortile interno di un bel palazzo 
                          del Seicento, non sembra neanche di stare al centro di 
                          Mosca per il silenzio e la musica lirica di sottofondo 
                          di cui si può godere. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Spero che non mi rimanderanno indietro per le mie 
                          ciabatte da mare, i jeans strappati e, soprattutto, 
                          per la tracolla verde militare con la faccia di Mao 
                          stampata, sopra di cui risalta il colletto dipinto di 
                          rosso. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          So di sembrare una di quelle straniere affiliate al 
                          nuovo movimento comunista giovanile che tanto da 
                          fastidio alle istituzioni russe; e pensare che a Roma 
                          non mi presenterei mai in un ristorante elegante in 
                          questo modo, neanche per la causa. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mi fanno accomodare su uno dei canapè e i camerieri 
                          sono meravigliati che ordini da mangiare, forse si 
                          aspettavano che ordinassi una bevanda solo per il 
                          privilegio di star seduta su quel canapè, ma a me del 
                          canapè importa poco, sono solo affamata. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il cibo tra l’altro è italiano, una delle ragioni per 
                          cui, in altre occasioni, mi alzerei; alla fine mi 
                          lascio tentare da un carpaccio e dai comodi cuscini. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Ad un tavolo accanto al mio siedono due ragazze, di 
                          cui una di straordinaria bellezza, fumano e bevono 
                          dell’acqua minerale, sul loro tavolo non c’è altro 
                          oltre ai due bicchieri d’acqua. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          La ragazza bella sembra una porcellana, sfoggia un 
                          carrè biondo anni Quaranta ed è vestita con una 
                          camicia a righe sobria ed elegante, che tiene aperta 
                          per far ammirare il decolté e una collana tipo Bliss o 
                          Morellato; sembra uscita da una vetrina milanese. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Dallo sguardo un po’ vuoto e fisso non mi sembra che 
                          stiamo facendo discorsi impegnati, si staranno 
                          sicuramente raccontando degli ultimi acquisti o di 
                          chissà quale attrice. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Ad un certo punto la bambola bionda solleva i gomiti e 
                          dalle maniche della camicia aperta appaiono gli 
                          avambracci nudi completamente coperti da ematomi 
                          violacei, forse un segno d’affetto del fidanzato di 
                          turno che, perché le compra i vestiti e la bigiotteria 
                          alla moda, si sente in diritto di tutto ed è così 
                          subdolo da non far vedere i segni della violenza su 
                          quel bel viso, sarebbe un peccato. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Oppure chissà, un cliente con esigenze particolari. 
                          Smetto di chiedermi il perché di quegli avambracci 
                          tumefatti; a loro si è unita una terza ragazza, 
                          capelli lunghi mogano, ovale tondo e labbra carnose; 
                          ha fatto la sua entrata come una diva del passato. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Appena seduta chiama la cameriera, le chiede un 
                          cuscino, una coperta, il menu. Scuote il capo 
                          graziosamente e ordina, anche lei, solo dell’acqua. E’ 
                          evidente che gli avventori di sesso maschile non hanno 
                          occhi che per lei, semi sdraiata sul canapè a piedi 
                          nudi e con la coperta rossa che fa intravedere le 
                          gambe scoperte. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Maliziosamente gioca con l’unghia laccata di rosso nel 
                          bicchiere del ghiaccio, parla poco, sorride molto e si 
                          guarda continuamente intorno. Di tanto in tanto chiama 
                          un cameriere, come a fare vedere che lei lì e di casa, 
                          ma non sempre i camerieri accorrono, occupati a 
                          servire i “clienti”. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          E lei è li in vetrina, per il miglior offerente, 
                          chiede che le si porti un калиан, da cui comincia ad 
                          aspirare il tabacco aromatizzato e a buttare fuori il 
                          fumo come se stesse prendendo parte a un rito magico, 
                          con il viso rivolto dalla parte della veranda dove 
                          siedono gli uomini. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Sembra una di quelle danzatrici orientali e gli unici 
                          tre uomini seduti nella veranda sono già caduti nella 
                          trappola. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Cercano di attirare la sua attenzione e lei se ne 
                          compiace: il giovane russo alza il tono della voce 
                          mentre è al telefono per una compravendita, per far 
                          capire (o per far credere) che è un uomo d’affari; 
                          l’anziano grasso seduto allo stesso tavolo le dedica 
                          una canzone popolare russa; il piacente italiano di 
                          mezza età vorrebbe liberarsi della russa che gli siede 
                          accanto, a cui adesso non dedica neanche più uno 
                          sguardo; si alza spesso, prende il cellulare, le passa 
                          avanti; si passa nervoso la mano tra i capelli. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Ad un tratto la ragazza si gira verso di me 
                          incuriosita, osserva la tracolla, i jeans, la coda 
                          scomposta dopo la lunga giornata passata tra carte 
                          vecchie e polverose. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mi guarda e sa che a lei non sarebbe permesso di 
                          sedersi in ciabatte da mare e che, nonostante i piedi 
                          sporchi di terra bagnata, ricevo dai camerieri più  
                          attenzioni di lei. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Come una graziosa scimmia ammaestrata ripete di tanto 
                          in tanto i miei gesti. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Guardo ancora una volta quelle ragazze in vetrina 
                          prima di pagare il conto e andare via; penso a come 
                          sono fortunata a non dovere aspettare qualche uomo che 
                          paghi il conto per me e che poi si permette di 
                          mettermi le mani addosso. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Mentre lascio il locale entra una signora anziana con 
                          una guardia del corpo e un cagnolino minuscolo ma 
                          griffato chanel dalle orecchie alle zampe; 
                          faccio fatica a immaginarla come una giovane compagna 
                          in una fabbrica sovietica, questa signora è stata così 
                          sempre, un residuo di nobiltà russa camuffato nella 
                          burocrazia di partito. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Nelle sere chiare le piazze centrali sono affollate e 
                          lontano dai caffè di grido le famiglie passeggiano 
                          mangiando un gelato, i ragazzi si radunano sui bordi 
                          delle fontane, le coppie fanno progetti sedute sulle 
                          panchine e le giovani laureate sfilano per la città in 
                          abito da sera. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          C’è un’atmosfera da città nordica d’estate, come tante 
                          altre; fino a che, girato l’angolo, non passi sotto 
                          l’ennesimo metal detector all’entrata del 
                          solito anonimo centro commerciale.  |