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TURISMO STORICO


N. 98 - Febbraio 2016 (CXXIX)

MONTEFINO

PANORAMICA STORICA

di Giorgio Giannini

 

Montefino si erge a 352 metri s.l.m., su una collina che chiude, insieme a Castiglione Messer Raimondo, la Valle del Fino, che anticamente segnava il confine (finis) tra il territorio dei Vestini (Vestinia) e quello dei Sabini Adriatici (l'Ager Hadrianus) ed al tempo dei Romani il confine tra la Regione (Regio) IV Sabina e Sannio e la Regione V Piceno. Successivamente, nel periodo longobardo, il fiume Fino segnava il confine tra il Ducato di Spoleto (a nord) e il Ducato di Benevento (a sud).

 

Il territorio è di circa 18 Kmq. Gli abitanti sono circa 1.100 e si chiamano montefinesi.

Il Patrono è la Madonna del Carmine, che si festeggia il 16 luglio.

 

Montefino conserva l'impianto delle fortificazioni medioevali. Nella parte più alta ci sono i resti dell’antico Castello risalente al periodo normanno (XIV secolo), di cui rimane solo una torre, a pianta quadrata, con basamento a scarpa e con mura in pietre di arenaria semilavorate e disposte con poca malta pozzolanica, spesse fino a 6 metri. Su questa torre, di proprietà privata, è stato installato da molti anni un pluviometro per il controllo delle precipitazioni, gestito dalla Regione.

 

Sotto l'antico Castello, c'è il Borgo medioevale, con il Castello d'Acquaviva e la Chiesa di S. Giacomo Apostolo. La cinta muraria, realizzata dagli Acquaviva, aveva due porte: la Porta Guardiola, di cui non rimane più nulla, e la Porta da Piedi, detta anche Il Portone, di cui rimane l' apertura con l'arco superiore ed a fianco, a destra, la scritta 1768.

 

Del Castello d'Acquaviva, ubicato ad est, rimane la torre di forma rotonda, simile a quella di Cellino Attanasio, inglobata nella cinta fortificata realizzata dagli Acquaviva e attualmente nel nuovo Castello realizzato alla metà del Novecento, di proprietà privata. È ben conservata e presenta due muri di rinforzo (scarponi) realizzati nel 1734 dopo il devastante terremoto del 1703. Inoltre, sulla sommità c'è un loggiato realizzato al momento del restauro novecentesco. Nel Castello c'era anche la torre centrale, di forma cilindrica (dongione), che è stata abbattuta in seguito ai danni conseguenti al terremoto del 1933. È gemellato con la cittadina di Aiterhofen in Baviera.

 

ORIGINI DEL NOME

Il nome originario antico era Mons Siccus (Monte Secco), certamente per la mancanza di acqua), poi diventato Montefiore, modificato nell'attuale, per volontà degli abitanti, con il Regio Decreto 28.6.1863 n. 1426.

 

Il nome ha subito varie modifiche nel corso dei secoli: Monte Secco, nel primo documento storico del 1019; Montesecco nella donazione del 1065 di Sassone, figlio di Rinaldo, al Monastero di S. Maria di Picciano; Montis Sicci nel Catalogo dei Baroni, compilato nel 1186 per volere del Re Normanno di Sicilia per registrare la leva straordinaria nelle Provincie di terraferma del Regno; Montesicco, in un documento del 1275 del Monastero di S. Maria di Picciano.

 

NOTIZIE STORICHE

Non ci sono documenti che attestano la presenza nel territorio di insediamenti protostorici, italici o romani, probabilmente per la mancanza di adeguati studi, dato che nei Comuni limitrofi sono stati rinvenuti varie vestigia di questi periodi. Probabilmente, nella zona c'era una villa rustica, appartenente a Marcianus, come dimostrerebbe il toponimo Colle Marciano. Secondo altri studiosi, nella località c'era una chiesa dedicata a S. Marciano.

 

È stato rinvenuto un tratto di basolato stradale, che probabilmente faceva parte della strada romana che portava da Montorio al Vomano ad Atri, attraverso Valviano (Cellino Vecchio) e che era un diverticolo della Via Cecilia che conduceva a Interamnia (Teramo) che, a sua volta, si dipartiva dalla Via Salaria in località Ponte Buida (attuale km 55) nel Comune di Monteleone Sabino (l’antica città sabina Trebula Mutuesca). Probabilmente, questa strada è stata utilizzata nel periodo medioevale come tratturo e precisamente il Regio Tratturo di Frisia-Rocca di Roseto, utilizzato per lo spostamento delle greggi dall'Abruzzo adriatico alle Puglie.

 

Il primo documento storico, con la menzione dell'abitato di Monte Secco, è del 1019, quando a Gardeniano, nel territorio di Penne, Trasberto, figlio del defunto Ildeberto, promette a Girardo (o Giraldo), figlio del defunto Adodato, di non vendere le nove staia di terra, vicino al Castello di Monte Secco, ricevute ed impegna 30 moggia di terra nella località di Gardeniano, a garanzia del suo obbligo di assicurare a Girardo il servizio miliare per 20 anni.

 

Nel 1065, Sassone, figlio di Rinaldo, dona la sesta parte del Castello di Montesecco a Giovanni, abate del Monastero di S. Maria di Picciano.

 

Nell'aprile 1076, Corvo, figlio di Gisone, e il Conte Berardo di Penne, donano a Siolfo, Abate del Monastero di S. Maria di Picciano, due parti del Castello e delle Chiese di S. Angelo e di S. Antonino, ubicate nel Castello, con le loro pertinenze consistenti in 200 moggia di terreno.

 

Il Catalogo dei Baroni, compilato nel 1186 per volere del Re Normanno di Sicilia per registrare la leva straordinaria nelle Provincie di terraferma del Regno, attesta la presenza del castellum di Montis Sicci, con appena 65 abitanti, facente parte della Contea di Penne, tenuto in feudo per la metà da Trasmondus (Trasmondo) di Colle Madii (Collemaggio) per conto di Roberto, Conte de Aprutio. Trasmondus ha anche la metà di Collis Sicci nel territorio di Penne.

 

Nel 1251 entra far parte della nuova Diocesi di Atri unita a quella di Penne. Il 5 ottobre 1273, ad Alife, Carlo d'Angiò costituisce i Giustizierati di Abruzzo Ulteriore e Citeriore, includendo nel primo Mons Siccus Bifarum e Mons Siccus Ferratus. Nel 1275, l'abate del Monastero di S. Giovanni in Venere, Giordano, chiede alla reale Corte che un certo Raone gli presti il giuramento di fedeltà per  Sempre nel 1275, Rainaldo, figlio del defunto Matteo, denunciando la morte del padre, chiede il sostegno agli abitanti per il pagamento del relevio dovuto alla Corona, pari alla metà del valore del territorio. Nel 1276, Raone de Tritis ottiene dal Re l'autorizzazione a procedere contro i suoi Vassalli che hanno abbandonato il Castello. Ugualmente è autorizzato, nel 1277, Riccardo di Acquaviva, contro i suoi Vassalli del territorio di Montis Sicci.

 

Nel 1277, versano l'adoa Abbamonte e Rainaldo di Montesicco. Nel 1280 o 1281, è celebrato il matrimonio tra la figlia di Abbamonte e Gualtiero di Rocca. Nel 1290, Rainaldo di Monte Secco presta il servizio militare feudale. Nel 1292, Boemondo di Monte Sicco versa una oncia come tassa per la costruzione delle navi da carico regie, ai feudatari da Carlo II d'Angiò.

 

Nel 1306, Carlo II d'Angiò riduce le collette al feudatario di Montis Sicci Biferani, per i meriti acquisiti dai feudatari Abbamonte e Rinaldo, che nel 1283, durante la Rivolta di Macchia, si sono schierati con Carlo I d'Angiò contro Corrado di Antiochia.

 

Nel 1309, i chierici di Montis Sicci versano alla Camera Apostolica la Decima di 2 tarì e 6 grani, per la Chiesa di S. Angelo (sita nel Castello) ed 1 tarì e 14 grani per la Chiesa di S. Eustasio. Nelle Decime Vaticane del 1324 sono citate le Chiese di S. Petri (S. Pietro), di S. Iacobi (S. Giacomo), di S. Ylarii (S. Ilario), di S. Marie (S. Maria), di S. Iohannis (S. Giovanni) in Plumba (Valle del Piomba) ed il Monastero di S. Michele (di cui oggi rimane solo la Chiesa), nel territorio di Mons Siccus, e la Chiesa di S. Marie (S. Maria) nella Frazione di Villa Bozza. Alcune di queste ed altre Chiese (S. Angeli - S. Angelo e S. Eustasii - S. Eustasia) sono citate nelle Decime del 1326 e del 1328.

 

Il 9 ottobre 1320, a Napoli, i Maestri razionali della Corte stabiliscono la sovvenzione annua di Mons Siccus Bifaranum in 5 once, 14 tarì e 5 grani e quella di Mons Siccus Ferratus in 6 once, 23 tarì e 7 grani.

 

Il 27 settembre1399, Ladislao d'Angiò Durazzo esenta Montesecco per 10 anni, per le condizioni di miseria in cui versa, dal pagamento delle 10 once dovute per la sovvenzione generale.

Nel 1430, Giosia di Acquaviva, figlio di Andrea Matteo I e Conte di S. Flaviano, acquista Montis Sicci dal Capitano di ventura Iacopo Caldora. Così, il Castello diventa possedimento degli Acquaviva di Atri, che costituiscono la Baronia di Montesecco e restaurano le mura del Castello e le 4 Chiese.

 

Il 22 luglio 1446, Alfonso V d'Aragona, a Gaeta, concede a Giosia d'Acquaviva, figlio di Andrea Matteo I e quinto Duca di Atri, i possedimenti dei suoi predecessori nell'Abruzzo Ultra, compreso Montis Sicchi (nonostante che il nipote Andrea Matteo si era schierato contro gli Aragona e dalla parte di Francesco Sforza).

 

Il 27 settembre 1462, a Lucera, il Re Ferrante I d'Aragona restituisce a Giulio Antonio Acquaviva, dopo averlo assolto dal reato di lesa maestà, in base all'accordo siglato con il Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini, i possedimenti del padre Giosia, tra i quali c'è Montissicci. La restituzione è confermata dal Re il 6 gennaio 1464, a Monopoli.

 

Nel 1469, Giulio Antonio d'Acquaviva paga l'adoa annuale per il possesso di Mons Siccus.

Il 15 maggio 1481, a Matera, Ferrante I conferma la terra di Montis Sicci a Andrea Matteo III, figlio primogenito di Giulio Antonio, Marchese di Bitonto, Conte di Conversano e di S. Flaviano e settimo Duca di Atri. Il 20 aprile 1488, nel Palazzo Reale di Castelnuovo, a Napoli, Ferrante I d'Aragona ratifica l'acquisto di due terzi dell'ottava parte di Montesecco Bifarano, da parte di Giovanni della Valle.

 

Il 15 marzo 1495, nel Palazzo Reale di Castel Capuano a Napoli, Carlo VIII di Valois conferma ad Andrea Matteo III d'Acquaviva il possedimento del Castello di Montis Sicchi. Il possesso è confermato, nel maggio 1502, a Blois da Luigi XII di Valois-Orleans. Il 20 novembre 1506, nel Palazzo Regio di Castelnuovo a Napoli, il Re Ferdinando il Cattolico restituisce a Matteo Andrea III i suoi feudi, tra i quali c'è Montis Sichi o Montesicchio, in seguito agli accordi della Pace di Blois con il Re Luigi XII di Valois-Orleans, secondo la quale i nobili che avevano parteggiato contro di lui dovevano essere reintegrati nei loro possedimenti.

 

Il 19 gennaio 1563, Giovanni Girolamo I Acquaviva d'Aragona, IX Duca di Atri, ottiene dal Consiglio Collaterale l'autorizzazione a cedere ad Alfonso Pascale lo ius luendi nel Castello di Montesecco.

 

Nel 1575, il domenicano S. Razzi passa per Montesecco, per andare da Penne a Scorrano. Dal 1735 è documentata la presenza della Confraternita del SS. Nome di Gesù della Chiesa di S. Giacomo. Nel 1760, con l'estinzione della Casata d'Acquaviva, non avendo eredi la Duchessa Isabella d'Acquaviva di Aragona, lo Stato di Atri, di cui fa parte Montesecco, è devoluto alla Corte Regia (al Regno di Napoli). Governatore del Distretto di Montesecco e di Castiglione Messer Raimondo, è nominato Gaspare Antonio Perazza di Città S. Angelo.

 

CHIESE E MONUMENTI

Nel territorio di Monte Secco è documentata (soprattutto nelle Decime Vaticane, versate annualmente alla Camera Apostolica di Roma) la presenza di numerose Chiese (S. Angeli, S. Eustasii, S. Ylarii o S. Larii, S. Marie, S. Iohannis in Plumba o in Pluma, S. Marie in Bozza, S. Heusanii), la maggior parte delle quali sono scomparse.

 

La Chiesa di S. Giacomo Apostolo è a tre navate con volte a botte e con sei cappelle laterali quadrate con cupole ribassate. È stata rifatta nel XVIII secolo, in stile barocco, con stucchi e dorature. Il portale, del XV secolo, proviene dalla Chiesa di S. Pietro, ora scomparsa.

All’interno, ci sono due acquasantiere: una di forma ottagonale, sul cui bordo è inciso lo stemma dei Cavalieri del Santo Sepolcro; un'altra di forma rotonda, con scolpiti all'interno animali marini (un pesce, un granchio, una anguilla), realizzata nel XVI secolo. Vi sono conservate anche una Croce Processionale astile in argento e rame dorato, dell'inizio del XV secolo (probabilmente della Scuola di Guardiagrele), una tela con raffigurata la Madonna del Carmine, datata 1651, con lo stemma ovale con i 5 monti ed una statua reliquario a tre quarti di S. Giacomo, con le vesti decorate a estofados, che tiene nella mano sinistra la Bibbia e la riproduzione del paese. Vi erano anche sei busti reliquari barocchi (XVII secolo), in legno dorato e dipinto di fattura napoletana (di scuola spagnola) che sono stati trafugati.

 

La Chiesa del Carmine, con un bel campanile, staccato dalla chiesa, realizzato nel 1827 e sopraelevato nel 1860. È ubicata immediatamente fuori dell'abitato, in un posto molto panoramico, su una piazza con una bellissima veduta sul Massiccio del Gran Sasso.

 

La Chiesa di S. Michele, ubicata appena fuori dell'abitato, sulla antica strada per Appignano. Probabilmente vi era annesso l'omonimo Convento, citato nelle Decime Vaticane del 1324. È attualmente in condizioni di stremo degrado e pericolante. Una Chiesa omonima si trovava sulla stessa strada rurale, vicino ad una fonte, a poca distanza da Appignano.

 

CHIESE SCOMPARSE

La Chiesa di S. Pietro, ubicata vicino al fiume Fino ed all'attuale cimitero, il cui portale del XV secolo è stato ricollocato all'ingresso della Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo Apostolo nel centro storico. Era probabilmente officiata dai Celestini.

 

FRAZIONE DI VILLA BOZZA

Nei documenti medioevali è indicato come Castrum Boccie. Si tratterebbe quindi di una località fortificata, ristrutturata dagli Acquaviva. Nel 1444 resiste alle truppe di Alfonso II d'Aragona, nemico di Giosia d'Acquaviva.

 

Nel 1470, è quasi completamente distrutta e disabitata, probabilmente in seguito al terremoto del 1456 ed alla peste del 1462. Pertanto, il Re Ferrante II d'Aragona lo vende al Duca di Atri che lo ripopola nel 1475 con gli Schiavoni (abitanti cristiani del Montenegro e dell’Albania, fuggiti dopo la conquista del loro Paese da parte dei Turchi). Gli Schiavoni possono abitarvi, ma non possono costruirvi né case in muratura, né un Castello, senza autorizzazione del Duca di Atri. Pertanto, le case sono realizzate con fango e paglia e sono chiamate pinciare, di cui ne sono rimaste poche a causa del materiale fittile con cui sono state realizzate.

 

Le prescrizioni sono confermate con un accordo stipulato il 30 giugno1600, con gli Schiavoni e gli abitanti di Villa Bozza, dall’Università di Atri, rappresentata da Scipione Brigotti Mastrogiurato, Giovanni Antonio Cicchitto e Gianbattista Todino. Da quel momento l'abitato non è più denominato castrum (luogo fortificato) bensì villa (paese).

 

La Chiesa della SS. Beata Vergine Maria delle Grazie, che sorge sul punto più elevato dell'abitato, probabilmente costruita sul sito di una precedente chiesa (probabilmente dedicata a S. Giacomo, patrono del paese), la cui esistenza è documentata dal 1622, ma è stata ristrutturata tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.

 

 

TRADIZIONI E FOLKLORE

Il Festival della Serenata, che si svolge da alcuni anni nel mese di Giugno, che rievocata la tradizionale serenata abruzzese fatta dall’innamorato alla fidanzata.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Dalla Valle del Piomba alla Valle del basso Pescara, Edizioni della Cassa di Risparmio di Teramo, Teramo 2001.



 

 

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