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										arte 
										
										
										La moda con gli occhi dell’economistaSULL'URSS DEGLi ANNI SESSANTA
 
											
											
											
											di Denisa Kucik & Leila Tavi 
										
										
										  
										
										Gli anni Sessanta del secolo scorso 
										furono un decennio importante per la 
										moda nell’Unione Sovietica, perché 
										divenne una vera e propria istituzione. 
										In quel periodo il sistema moda 
										sovietico raggiunse la sua massima 
										espansione. Lo Stato finanziava l’intera 
										catena burocratica fatta di ministeri, 
										dipartimenti e scuole di design, ma 
										anche di istituti scientifici che 
										facevano ricerca sui tessuti.  
										  
										
										Tre erano i ministeri principalmente 
										coinvolti ricordiamo: il 
										
										Ministero dell’Industria Leggera 
										(Министерство легкой промышленности 
										РСФСР - Минлегпром РСФСР - и его 
										промышленные объединения. 1965–1990), il
										Ministro del Commercio 
										(Министерство торговли РСФСР - Минторг 
										РСФСР - и его предшественники, 
										1924–1991), il Ministero 
										dell’Industria Locale (Министерство 
										местной промышленности РСФСР и его 
										промышленные объединения, 1965–1990), 
										non vi era pertanto un singolo centro 
										amministrativo o un’organizzazione 
										centralizzata unificata per il design di 
										moda. In particolar modo, il Ministero 
										dell’Industria Leggera aveva assorbito 
										alcune competenze del Ministero 
										dell’Industria Tessile (Министерство 
										текстильной промышленности РСФСР - 
										Минтекстильпром РСФСР -1939–1949, 
										1955–1957), chiuso nel 1957.   
										
										Tra le strutture del Ministro 
										dell’Industria Leggera per la gestione 
										c’erano: la direzione generale per 
										l’approvvigionamento e la lavorazione di 
										lino e canapa (Росглавльнопеньковолокно, 
										1965-1967), il 2° dipartimento regionale 
										dell’industria del cotone di Mosca (2-й 
										Мосглавхлоппром, 1966–1970), la 
										direzione principale dell’industria 
										tessile e della merceria 
										(Росглавтекстильгалантерея, 1965-1967), 
										la direzione principale dell’industria 
										della maglieria di Mosca 
										(Mosglavtrikotazh - 1965-1967), il 1° e 
										il 2° dipartimento dell’industria della 
										lana (1-я Росглавшерсть, 1966-1970 e 2-я 
										Росглавшерсть), 1965-1972) e la 
										direzione generale dell’industria 
										dell’abbigliamento (Росглавшвейпром, 
										1965-1967).   
										
										Le attività relative al settore tessile 
										del Ministero dell’Industria Leggera 
										furono organizzate nel 1962 nell’Ufficio 
										Speciale per l’Arte e per il Design 
										(Специальное 
										художественно-конструкторское бюро - 
										СХКБ), diretto dalla pittrice e stilista
										Alla Levašova (Áлла Алексáндровна 
										Левашóва, 1918 - 1974). La 
										pianificazione della produzione gestita 
										dall’Ufficio Speciale era basata sulla 
										reale produzione delle fabbriche 
										sovietiche. Lo SHKB divenne la prima 
										struttura statale dell’URSS a mettere in 
										pratica un sistema a tre fasi di 
										produzione nel settore della moda. Per 
										la prima volta in URSS, lo SKHKB 
										produsse in serie sulla base di un 
										modello. Le collezioni erano arricchite 
										da tessuti e decorazioni senza, però, 
										introdurre un taglio che fosse 
										fondamentalmente nuovo. 
										
										  
										
										Durante le riforme economiche degli anni 
										Sessanta una difficoltà che si 
										incontrava nel coordinare tutte queste 
										complesse strutture burocratiche, che 
										avrebbero dovuto servire da supporto a 
										un’industria creativa, era che ognuna di 
										queste strutture agiva in modo 
										indipendente, in autonomia l’una 
										dall’altra. Il messaggio che arrivava ai 
										consumatori era quello di una aperta 
										competizione tra loro. A questo fenomeno 
										si aggiungeva quello del mercato nero: 
										singoli individui che operavano nella 
										clandestinità delle loro case, 
										soprattutto perché l’apparato 
										burocratico e le industrie di Stato nel 
										settore della moda non riuscivano a 
										coprire il fabbisogno di capi di 
										abbigliamento. La principale conseguenza 
										del rigido iter burocratico che regolava 
										la produzione di capi di abbigliamento 
										in Unione Sovietica fu un ingente spreco 
										di denaro pubblico, che si perdeva nei 
										meandri del sistema e nella competizione 
										tra i vari uffici ed enti, le cui 
										funzioni erano spesso ripetute e 
										sovrapposte, creando inefficienza.   
										
										Pertanto, nonostante ci fosse una 
										discreta attività creativa e 
										un’interessante sperimentazione da parte 
										degli stilisti sovietici, soltanto una 
										minima parte dei bozzetti creati 
										all’interno delle strutture statali era 
										messa in produzione. Il fatto che il 
										consumatore tipo sovietico non potesse 
										accedere a capi considerati “di moda” 
										ebbe ampio spazio nei giornali 
										dell’epoca.   
										
										Gli anni Sessanta furono un periodo di 
										cambiamenti sociali significativi anche 
										in l’Unione Sovietica, che era da poco 
										entrata nell’epoca post-staliniana, 
										soprattutto perché ci fu una maggiore 
										apertura verso lo stile in voga in 
										Occidente, come sottolinea Djurdja 
										Bartlett (2005, 128-129), accettando 
										implicitamente il fatto che l’Unione 
										Sovietica non fosse stata in grado di 
										creare una moda alternativa a quella 
										occidentale.   
										
										Questo ripensamento da parte degli 
										stilisti sovietici non fu un vero e 
										proprio fallimento, infatti la fusione 
										tra gli ideali sovietici e la tradizione 
										sartoriale in Occidente forgiò quello 
										che Bartlett chiama “official 
										socialist dress”, che portò a una 
										sorta di bon ton tutto socialista nel 
										vestire. Tale bon ton fu foriero della 
										diffusione di un certo tipo di moda 
										borghese in Unione Sovietica, che 
										contribuì all’identità della nuova 
										classe media socialista.   
										
										Se durante la rivoluzione e l’epoca 
										staliniana i valori tipici della classe 
										borghese furono distorti da un processo 
										di deculturazione e inculturazione, 
										durante il disgelo di Chruščëv, a 
										rappresentare la moda in occasione di 
										congressi a cui partecipavano 
										rappresentanti da tutti i Paesi 
										socialisti, gli abiti indossati dalle 
										modelle che sfilavano in passerella 
										erano fatti con tessuti pregiati come il 
										taffetà, e tagli stravaganti, ornati da 
										volant, grossi colletti, sfarzosi 
										gioielli.   
										
										Va sottolineato che nei Paesi 
										dell’Europa centrale che facevano parte 
										del blocco, il progressivo allineamento 
										al gusto occidentale in fatto di stile 
										iniziò già dalla fine degli anni 
										Quaranta. I Paesi “confinanti” a est 
										della Cortina di Ferro ebbero anche modo 
										di esportare il modello “misto” 
										sovietico in Occidente. La Hungexpo 
										di Budapest organizzò negli anni 
										Sessanta sfilate di moda a Copenaghen, 
										Oslo, Bergen, Berlino Ovest, Roma, 
										Milano, e negli Stati Uniti e in Canada, 
										destinate esclusivamente al pubblico 
										occidentale.   
										
										Anche in Unione Sovietica alla fine 
										degli anni Quaranta apparve un movimento 
										marginale formato da giovani denominati
										stilijagi 
										(стиляги), cacciatori di stile, che a un 
										certo punto della storia furono 
										equiparati alla Beat Generation. 
										Gli stilijagi adottarono uno 
										stile nel vestire ispirato ai film di 
										Hollywood, con abiti caratterizzati da 
										modelli e colori sgargianti e 
										vestibilità strette. Non potendo 
										reperire tali abiti di foggia americana 
										nei magazzini di Stato, li cucivano da 
										soli o li acquistavano sul mercato nero, 
										dai rigattieri, oppure rivolgendosi ai
										farcovšiki (Фарцовщики) 
										commercianti che vendevano sottobanco 
										merci dall’Occidente. Erano giovani 
										desiderosi di scoprire il mondo 
										dall’altra parte della Cortina di Ferro.
										Zagranica (заграница) 
										era il termine russo per la brama di 
										Occidente che avevano i giovani che 
										ascoltavano e ballavano di nascosto il 
										rock & roll. Gli stilijagi erano 
										denigrati dalla stampa sovietica, nonché 
										perseguitati dai membri del Komsomol 
										(Комсомол) e persino dalla polizia.   
										
										Famosa è la battuta “La zagranica 
										ci aiuterà, l’Occidente è con noi!” 
										(Заграница нам поможет, запад с нами!) 
										di Andrei Mironov (Андрей 
										Алекса́ндрович Миронов) nella commedia
										
										
										12 sedie 
										(12 стульев) del 1971, diretto da 
										Leonid Iovič Gajdaj. Il film è un 
										adattamento cinematografico dell’omonimo 
										romanzo di Il’ja Arnol’dovič Il’f 
										(Илья Арнольдович Ильф, pseudonimo di 
										Иехиел-Лейб Файнзильберг) ed Evgenij 
										Petrovič Petrov (Евге́ний Петро́вич 
										Петро́в, pseudonimo di Evgenij Petrovič 
										Kataev). Nel 1970 Mel Brooks ne 
										aveva già realizzato un lungometraggio 
										dal titolo The Twelve Chairs; 
										l’anno precedente un altro film fu 
										realizzato dallo stesso romanzo di Il’f 
										e Petrov dal titolo Una su 13, 
										per la regia di Nicolas Gessner e 
										Luciano Lucignani; gli interpreti 
										principali furono Vittorio Gassman
										e da Sharon Tate, nella sua 
										ultima interpretazione prima del suo 
										assassinio.   
										
										Nel luglio del 1959 l’allora 
										vice-presidente americano Richard 
										Nixon e sua moglie Pat si recarono a 
										Mosca per inaugurare l’American 
										National Exhibition, che ebbe luogo 
										nel parco Sokol’niki (Соко́льники 
										парк) dal 25 luglio al 3 settembre di 
										quell’anno. La consorte del futuro 
										presidente degli Stati Uniti, conosciuta 
										come Patricia, ma dal vero nome 
										
										
										Thelma Catherine Rayan, 
										curò in modo particolare la scelta degli 
										outfit da indossare in occasione della 
										visita diplomatica in Unione Sovietica. 
										Al contrario, Nina Chruščëva 
										(Нина Петровна Хрущёва, nata Кухарчук) 
										portava un semplice khalat 
										abbottonato sul davanti. 
										
										  
										
										Tra i tremila e cinquemila visitatori 
										assisterono a quattro sfilate in cui è 
										stata presentata la moda in voga negli 
										Stati Uniti: con proposte per i giovani, 
										abbigliamento casual e abiti da sera. In 
										occasione dell’inaugurazione 
										dell’esposizione il 24 luglio si svolse 
										il Kitchen Debate (Кухонные 
										дебаты) tra Chruščëv e Nixon. Il 
										dialogo ebbe luogo in uno spazio 
										espositivo su modello della tipica 
										abitazione statunitense di periferia, 
										tagliata a metà per poter essere 
										ammirata meglio dai numerosi russi che 
										vi fecero visita. Oltre 
										quattrocentocinquanta ditte di 
										elettrodomestici, mobili e accessori per 
										la casa avevano dotato lo spazio 
										espositivo di tutti i confort, per 
										dimostrare che l’americano medio potesse 
										permettersi un agiato tenore di vita. Ci 
										furono delle riprese televisive a colori 
										e il dibattito tra i due politici, che 
										si svolse in vari luoghi, ma 
										principalmente nelle cucina della tipica 
										dimora americana messa in mostra, fu 
										trasmesso sia dalla televisione russa 
										che da quella statunitense. Chruščëv fu 
										molto ironico nei confronti dello 
										show off del consumismo 
										statunitense, in particolar modo, 
										davanti a uno spremiagrumi portatile per 
										il tè, commentò che fosse molto più 
										pratico spremere il limone con le mani. 
										Alcuni degli elettrodomestici erano in 
										realtà soltanto prototipi che nessuna 
										famiglia statunitense aveva mai usato 
										nella vita di tutti i giorni. Nonostante 
										lo scetticismo di Chruščëv, alla fine 
										dei “dialoghi dalla cucina” i due uomini 
										politici giunsero alla conclusione che 
										erano necessaria un’apertura culturale 
										tra le due superpotenze. All’interno del 
										parco moscovita era stata inoltre 
										costruita una cupola geodetica, che 
										racchiudeva un’esposizione di prodotti 
										tecnologici e innovativi statunitensi, 
										tra cui il robot Robert. 
										
										  
										
										Già nel 1958 URSS e USA avevano 
										sottoscritto un accordo di reciproco 
										scambio culturale, che prevedeva, oltre 
										all’esibizione americana a Mosca, anche 
										una sovietica a New York, inaugurata a 
										giugno 1959 al Coliseum, un 
										centro congressi che si trovava a 
										Columbus Circle sull’isola di Manhattan.   
										
										Possiamo però considerare il principale 
										scambio tra la moda occidentale e quella 
										sovietica negli anni Sessanta fu 
										l’appuntamento con la moda a inizio 
										agosto 1967, allo scopo di dimostrare 
										che il sistema socialista avesse 
										raggiunto lo stesso di livello di 
										eccellenza delle maison parigine. Il 
										I Festival Internazionale della Moda 
										di Mosca (I Международный 
										московский фестиваль моды) ospitò le 
										sfilate delle migliori case parigine tra 
										cui, Coco Chanel e Christian Dior. Due 
										stilisti sovietici impressionarono il 
										pubblico con le loro collezioni e per 
										questo furono nominati Красный 
										Диор, i Dior rossi: Vjačeslav 
										Zajcev (Вячеслав Михайлович Зайцев) 
										e Tat’jana Osmerkina (Татьяна 
										Александровна Осмеркина), che con il suo 
										abito rosso fuoco chiamato Россия 
										e ispirato alla fiaba La 
										principessa dei cigni 
										(Царевна-Лебедь) di Aleksandr Puškin. 
										A indossare l’abito fu la modella 
										Regina Zbarskaja (Регина Збарская), 
										che era stata truccata e pettinata in 
										modo da ricordare Elizabeth Taylor 
										nel film Cleopatra (1963). 
										
										  
										
										In Occidente, però, il capo di 
										abbigliamento sovietico che andava per 
										la maggiore era la pelliccia, come 
										confermato dalla Fashion Week in Canada 
										che si svolse nello stesso anno. 
										 
										
										Tra il 1967 e il 1969 in URSS fu 
										introdotta con successo anche la moda 
										della minigonna, lanciata per la prima 
										volta in Inghilterra dalla stilista 
										londinese Mary Quant e riproposta 
										in Unione Sovietica da Zajcev. 
										Svetlana Savjolova (Светла́на 
										Ива́новна Савёлова), icona di bellezza, 
										fu immortalata in minigonna nella 
										commedia 
										
										Sette vecchi e una ragazza 
										(Семь стариков и одна девушка) 
										nel 1968, per la regia di Evgenij 
										Efimovič Karelov (Евгений Ефимович 
										Карелов).  
										
										Oltre a una questione di stile, la moda 
										sovietica negli anni Sessanta fu un 
										fenomeno sociale influenzato dalle 
										interazioni interculturali, tipiche nel 
										vasto territorio dell’Unione Sovietica e 
										tra tutti i Paesi del blocco, e 
										amplificato dalla competizione 
										ideologica, diventata in un secondo 
										momento contaminazione culturale, con 
										gli Stati Uniti e con gli altri Paesi 
										occidentali di tradizione consumistica. 
										    
										
										Riferimenti bibliografici:   
										
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										spectre that haunted socialism. MIT 
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										Gurova, Olga. “The art of dressing: 
										body, gender, and discourse on fashion 
										in Soviet Russia in the 1950s and 
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										Музалевская, Юлия Евгеньевна. “Стиляги 
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										Эпатажное течение в молодежной среде 
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										Yurchak, Alexei. Everything was 
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										Zhuravlev, Sergey, and Jukka Gronow. 
										Fashion meets socialism: Fashion 
										industry in the Soviet Union after the 
										Second World War. Finnish Literature 
										Societyborum. |