[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 159 / MARZO 2021 (CXC)


arte

La moda con gli occhi delleconomista
SULL'URSS DEGLi ANNI SESSANTA

di Denisa Kucik & Leila Tavi

 

Gli anni Sessanta del secolo scorso furono un decennio importante per la moda nell’Unione Sovietica, perché divenne una vera e propria istituzione. In quel periodo il sistema moda sovietico raggiunse la sua massima espansione. Lo Stato finanziava l’intera catena burocratica fatta di ministeri, dipartimenti e scuole di design, ma anche di istituti scientifici che facevano ricerca sui tessuti.

 

Tre erano i ministeri principalmente coinvolti ricordiamo: il Ministero dell’Industria Leggera (Министерство легкой промышленности РСФСР - Минлегпром РСФСР - и его промышленные объединения. 1965–1990), il Ministro del Commercio (Министерство торговли РСФСР - Минторг РСФСР - и его предшественники, 1924–1991), il Ministero dell’Industria Locale (Министерство местной промышленности РСФСР и его промышленные объединения, 1965–1990), non vi era pertanto un singolo centro amministrativo o un’organizzazione centralizzata unificata per il design di moda. In particolar modo, il Ministero dell’Industria Leggera aveva assorbito alcune competenze del Ministero dell’Industria Tessile (Министерство текстильной промышленности РСФСР - Минтекстильпром РСФСР -1939–1949, 1955–1957), chiuso nel 1957.

 

Tra le strutture del Ministro dell’Industria Leggera per la gestione c’erano: la direzione generale per l’approvvigionamento e la lavorazione di lino e canapa (Росглавльнопеньковолокно, 1965-1967), il 2° dipartimento regionale dell’industria del cotone di Mosca (2-й Мосглавхлоппром, 1966–1970), la direzione principale dell’industria tessile e della merceria (Росглавтекстильгалантерея, 1965-1967), la direzione principale dell’industria della maglieria di Mosca (Mosglavtrikotazh - 1965-1967), il 1° e il 2° dipartimento dell’industria della lana (1-я Росглавшерсть, 1966-1970 e 2-я Росглавшерсть), 1965-1972) e la direzione generale dell’industria dell’abbigliamento (Росглавшвейпром, 1965-1967).

 

Le attività relative al settore tessile del Ministero dell’Industria Leggera furono organizzate nel 1962 nell’Ufficio Speciale per l’Arte e per il Design (Специальное художественно-конструкторское бюро - СХКБ), diretto dalla pittrice e stilista Alla Levašova (Áлла Алексáндровна Левашóва, 1918 - 1974). La pianificazione della produzione gestita dall’Ufficio Speciale era basata sulla reale produzione delle fabbriche sovietiche. Lo SHKB divenne la prima struttura statale dell’URSS a mettere in pratica un sistema a tre fasi di produzione nel settore della moda. Per la prima volta in URSS, lo SKHKB produsse in serie sulla base di un modello. Le collezioni erano arricchite da tessuti e decorazioni senza, però, introdurre un taglio che fosse fondamentalmente nuovo.

 

Durante le riforme economiche degli anni Sessanta una difficoltà che si incontrava nel coordinare tutte queste complesse strutture burocratiche, che avrebbero dovuto servire da supporto a un’industria creativa, era che ognuna di queste strutture agiva in modo indipendente, in autonomia l’una dall’altra. Il messaggio che arrivava ai consumatori era quello di una aperta competizione tra loro. A questo fenomeno si aggiungeva quello del mercato nero: singoli individui che operavano nella clandestinità delle loro case, soprattutto perché l’apparato burocratico e le industrie di Stato nel settore della moda non riuscivano a coprire il fabbisogno di capi di abbigliamento. La principale conseguenza del rigido iter burocratico che regolava la produzione di capi di abbigliamento in Unione Sovietica fu un ingente spreco di denaro pubblico, che si perdeva nei meandri del sistema e nella competizione tra i vari uffici ed enti, le cui funzioni erano spesso ripetute e sovrapposte, creando inefficienza.

 

Pertanto, nonostante ci fosse una discreta attività creativa e un’interessante sperimentazione da parte degli stilisti sovietici, soltanto una minima parte dei bozzetti creati all’interno delle strutture statali era messa in produzione. Il fatto che il consumatore tipo sovietico non potesse accedere a capi considerati “di moda” ebbe ampio spazio nei giornali dell’epoca.

 

Gli anni Sessanta furono un periodo di cambiamenti sociali significativi anche in l’Unione Sovietica, che era da poco entrata nell’epoca post-staliniana, soprattutto perché ci fu una maggiore apertura verso lo stile in voga in Occidente, come sottolinea Djurdja Bartlett (2005, 128-129), accettando implicitamente il fatto che l’Unione Sovietica non fosse stata in grado di creare una moda alternativa a quella occidentale.

 

Questo ripensamento da parte degli stilisti sovietici non fu un vero e proprio fallimento, infatti la fusione tra gli ideali sovietici e la tradizione sartoriale in Occidente forgiò quello che Bartlett chiama “official socialist dress”, che portò a una sorta di bon ton tutto socialista nel vestire. Tale bon ton fu foriero della diffusione di un certo tipo di moda borghese in Unione Sovietica, che contribuì all’identità della nuova classe media socialista.

 

Se durante la rivoluzione e l’epoca staliniana i valori tipici della classe borghese furono distorti da un processo di deculturazione e inculturazione, durante il disgelo di Chruščëv, a rappresentare la moda in occasione di congressi a cui partecipavano rappresentanti da tutti i Paesi socialisti, gli abiti indossati dalle modelle che sfilavano in passerella erano fatti con tessuti pregiati come il taffetà, e tagli stravaganti, ornati da volant, grossi colletti, sfarzosi gioielli.

 

Va sottolineato che nei Paesi dell’Europa centrale che facevano parte del blocco, il progressivo allineamento al gusto occidentale in fatto di stile iniziò già dalla fine degli anni Quaranta. I Paesi “confinanti” a est della Cortina di Ferro ebbero anche modo di esportare il modello “misto” sovietico in Occidente. La Hungexpo di Budapest organizzò negli anni Sessanta sfilate di moda a Copenaghen, Oslo, Bergen, Berlino Ovest, Roma, Milano, e negli Stati Uniti e in Canada, destinate esclusivamente al pubblico occidentale.

 

Anche in Unione Sovietica alla fine degli anni Quaranta apparve un movimento marginale formato da giovani denominati stilijagi (стиляги), cacciatori di stile, che a un certo punto della storia furono equiparati alla Beat Generation. Gli stilijagi adottarono uno stile nel vestire ispirato ai film di Hollywood, con abiti caratterizzati da modelli e colori sgargianti e vestibilità strette. Non potendo reperire tali abiti di foggia americana nei magazzini di Stato, li cucivano da soli o li acquistavano sul mercato nero, dai rigattieri, oppure rivolgendosi ai farcovšiki (Фарцовщики) commercianti che vendevano sottobanco merci dall’Occidente. Erano giovani desiderosi di scoprire il mondo dall’altra parte della Cortina di Ferro. Zagranica (заграница) era il termine russo per la brama di Occidente che avevano i giovani che ascoltavano e ballavano di nascosto il rock & roll. Gli stilijagi erano denigrati dalla stampa sovietica, nonché perseguitati dai membri del Komsomol (Комсомол) e persino dalla polizia.

 

Famosa è la battuta “La zagranica ci aiuterà, l’Occidente è con noi!” (Заграница нам поможет, запад с нами!) di Andrei Mironov (Андрей Алекса́ндрович Миронов) nella commedia 12 sedie (12 стульев) del 1971, diretto da Leonid Iovič Gajdaj. Il film è un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Il’ja Arnol’dovič Il’f (Илья Арнольдович Ильф, pseudonimo di Иехиел-Лейб Файнзильберг) ed Evgenij Petrovič Petrov (Евге́ний Петро́вич Петро́в, pseudonimo di Evgenij Petrovič Kataev). Nel 1970 Mel Brooks ne aveva già realizzato un lungometraggio dal titolo The Twelve Chairs; l’anno precedente un altro film fu realizzato dallo stesso romanzo di Il’f e Petrov dal titolo Una su 13, per la regia di Nicolas Gessner e Luciano Lucignani; gli interpreti principali furono Vittorio Gassman e da Sharon Tate, nella sua ultima interpretazione prima del suo assassinio.

 

Nel luglio del 1959 l’allora vice-presidente americano Richard Nixon e sua moglie Pat si recarono a Mosca per inaugurare l’American National Exhibition, che ebbe luogo nel parco Sokol’niki (Соко́льники парк) dal 25 luglio al 3 settembre di quell’anno. La consorte del futuro presidente degli Stati Uniti, conosciuta come Patricia, ma dal vero nome Thelma Catherine Rayan, curò in modo particolare la scelta degli outfit da indossare in occasione della visita diplomatica in Unione Sovietica. Al contrario, Nina Chruščëva (Нина Петровна Хрущёва, nata Кухарчук) portava un semplice khalat abbottonato sul davanti.

 

Tra i tremila e cinquemila visitatori assisterono a quattro sfilate in cui è stata presentata la moda in voga negli Stati Uniti: con proposte per i giovani, abbigliamento casual e abiti da sera. In occasione dell’inaugurazione dell’esposizione il 24 luglio si svolse il Kitchen Debate (Кухонные дебаты) tra Chruščëv e Nixon. Il dialogo ebbe luogo in uno spazio espositivo su modello della tipica abitazione statunitense di periferia, tagliata a metà per poter essere ammirata meglio dai numerosi russi che vi fecero visita. Oltre quattrocentocinquanta ditte di elettrodomestici, mobili e accessori per la casa avevano dotato lo spazio espositivo di tutti i confort, per dimostrare che l’americano medio potesse permettersi un agiato tenore di vita. Ci furono delle riprese televisive a colori e il dibattito tra i due politici, che si svolse in vari luoghi, ma principalmente nelle cucina della tipica dimora americana messa in mostra, fu trasmesso sia dalla televisione russa che da quella statunitense. Chruščëv fu molto ironico nei confronti dello show off del consumismo statunitense, in particolar modo, davanti a uno spremiagrumi portatile per il tè, commentò che fosse molto più pratico spremere il limone con le mani. Alcuni degli elettrodomestici erano in realtà soltanto prototipi che nessuna famiglia statunitense aveva mai usato nella vita di tutti i giorni. Nonostante lo scetticismo di Chruščëv, alla fine dei “dialoghi dalla cucina” i due uomini politici giunsero alla conclusione che erano necessaria un’apertura culturale tra le due superpotenze. All’interno del parco moscovita era stata inoltre costruita una cupola geodetica, che racchiudeva un’esposizione di prodotti tecnologici e innovativi statunitensi, tra cui il robot Robert.

 

Già nel 1958 URSS e USA avevano sottoscritto un accordo di reciproco scambio culturale, che prevedeva, oltre all’esibizione americana a Mosca, anche una sovietica a New York, inaugurata a giugno 1959 al Coliseum, un centro congressi che si trovava a Columbus Circle sull’isola di Manhattan.

 

Possiamo però considerare il principale scambio tra la moda occidentale e quella sovietica negli anni Sessanta fu l’appuntamento con la moda a inizio agosto 1967, allo scopo di dimostrare che il sistema socialista avesse raggiunto lo stesso di livello di eccellenza delle maison parigine. Il I Festival Internazionale della Moda di Mosca (I Международный московский фестиваль моды) ospitò le sfilate delle migliori case parigine tra cui, Coco Chanel e Christian Dior. Due stilisti sovietici impressionarono il pubblico con le loro collezioni e per questo furono nominati Красный Диор, i Dior rossi: Vjačeslav Zajcev (Вячеслав Михайлович Зайцев) e Tat’jana Osmerkina (Татьяна Александровна Осмеркина), che con il suo abito rosso fuoco chiamato Россия e ispirato alla fiaba La principessa dei cigni (Царевна-Лебедь) di Aleksandr Puškin. A indossare l’abito fu la modella Regina Zbarskaja (Регина Збарская), che era stata truccata e pettinata in modo da ricordare Elizabeth Taylor nel film Cleopatra (1963).

 

In Occidente, però, il capo di abbigliamento sovietico che andava per la maggiore era la pelliccia, come confermato dalla Fashion Week in Canada che si svolse nello stesso anno.

Tra il 1967 e il 1969 in URSS fu introdotta con successo anche la moda della minigonna, lanciata per la prima volta in Inghilterra dalla stilista londinese Mary Quant e riproposta in Unione Sovietica da Zajcev. Svetlana Savjolova (Светла́на Ива́новна Савёлова), icona di bellezza, fu immortalata in minigonna nella commedia Sette vecchi e una ragazza (Семь стариков и одна девушка) nel 1968, per la regia di Evgenij Efimovič Karelov (Евгений Ефимович Карелов).

Oltre a una questione di stile, la moda sovietica negli anni Sessanta fu un fenomeno sociale influenzato dalle interazioni interculturali, tipiche nel vasto territorio dell’Unione Sovietica e tra tutti i Paesi del blocco, e amplificato dalla competizione ideologica, diventata in un secondo momento contaminazione culturale, con gli Stati Uniti e con gli altri Paesi occidentali di tradizione consumistica.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bartlett, Djurdja. FashionEast: the spectre that haunted socialism. MIT press, 2010.

“Let them wear beige: The petit-bourgeois world of official socialist dress.” Fashion Theory 8.2 (2004): 127-164.

Gurova, Olga. “The art of dressing: body, gender, and discourse on fashion in Soviet Russia in the 1950s and 1960s.” See Paulicelli & Clark 2009 (2009): 73-92.

Музалевская, Юлия Евгеньевна. “Стиляги как феномен отечественной послевоенной моды.” Труды Санкт-Петербургского государственного института культуры 175 (2007).

Осипов, А. Г., et al. “Стиляги. Эпатажное течение в молодежной среде 1940-1960-х гг.” Интерэкспо гео-сибирь 6 (2011).

Yurchak, Alexei. Everything was forever, until it was no more: The last Soviet generation. Princeton University Press, 2006.

Zhuravlev, Sergey, and Jukka Gronow. Fashion meets socialism: Fashion industry in the Soviet Union after the Second World War. Finnish Literature Societyborum.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]