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filosofia & religione


N. 113 - Maggio 2017 (CXLIV)

La dea atena
IL MITO E IL CULTO DI ATENA NELL’ANTICA GRECIA

di Serena Scicolone

 

La divinità greca per antonomasia era certamente Zeus, re degli dei, signore dell’Olimpo e garante dell’ordine celeste e terreno. Eppure, la città che in passato ebbe un ruolo determinante per la Grecia e che tuttora, in quanto capitale, si eleva al di sopra delle altre, dimostra con il suo stesso nome l’antica importanza del culto della dea Atena.

 

Miticamente il nome della città fu giustificato con la vittoria della dea  Atena contro il dio dei mari Poseidone. Entrambe le divinità, come narravano gli antichi greci, desideravano affibbiare il proprio nome a quella città, che sarebbe in seguito divenuta gloriosa. Nacque pertanto una vera e propria disputa, risolta solo dall’intervento delle altre divinità: si chiese ai due contendenti di offrire un dono utile all’umanità e, in base a tale dono, gli altri dei avrebbero decretato il vincitore.

 

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Rappresentazione di Atena e Poseidone sul lato di un cratere risalente all'incirca al 360 a.C., attualmente conservato al Museo del Louvre di Parigi.

 

Poseidone, avendo scagliato il tridente sul terreno, diede agli uomini il primo cavallo;  Atena invece donò l’ulivo. Secondo un’altra versione del mito, il dono sarebbe stato riservato alla città appena fondata da Cecrope (la futura Atene appunto) e, inoltre, il regalo di Poseidone sarebbe stato non il cavallo ma una fonte d’acqua salata. In entrambe le versioni comunque il dono di  Atena rimane invariato, così come la sua vittoria.

 

Ma chi era  Atena? Faceva sì parte della numerosissima schiera dei figli di Zeus, noto a tutti per la sua costante infedeltà nei confronti della vendicativa moglie Era, tuttavia poteva vantare una certa unicità rispetto ai suoi fratelli e alle sue sorelle: il mito racconta che  Atena fosse nata direttamente dalla testa di Zeus, il quale, dopo essersi unito con Metis, la divorò insieme alla piccola dea che era ancora nel grembo della madre. Pertanto, in quanto figlia di Metis, dea del senno, e partorita dal capo di Zeus,  Atena non poteva che essere la dea della ragione!

 

Non a caso, dunque, uno dei suoi attributi fu la civetta, simbolo di saggezza per via dei suoi grandi occhi e del suo sguardo penetrante capace di carpire le informazioni più profonde, le quali sfuggono spesso allo sguardo superficiale della maggior parte degli esseri viventi. Intelligenza, d’altronde, deriva etimologicamente dalle parole latine intuslegere, ovvero leggere dentro e i Greci ritenevano che la civetta fosse in grado di fare ciò anche nell’oscurità della notte, quando per tutti gli altri è difficile persino scorgere i contorni delle cose.

 

A essere singolare non fu solo la maniera con cui  Atena nacque, ma anche il suo aspetto: secondo il mito, la dea nacque già adulta e vestita con la corazza. Il perché i Greci sentissero l’esigenza di far nascere la dea già grande è facilmente spiegabile con il fatto che la saggezza e la prudenza non sarebbero stati facilmente attribuibili a una bambina, seppur dea! La presenza della corazza nel mito, invece, rivela l’aspetto guerriero della dea. Si faccia attenzione, però, al fatto che la guerra esaltata da  Atena non fu mai paragonabile a quella spietata, irrazionale e sanguinaria simboleggiata nella mitologia dal dio Ares. La guerra, per  Atena, doveva essere combattuta più con la mente che con le armi, più con le strategie che con le stragi. Si pensi, ad esempio, al fatto che il principale guerriero protetto dalla dea fu proprio Ulisse, soldato capace di distinguersi nel campo di battaglia non per i suoi muscoli ma per la sua astuzia, uomo che determinò la vittoria degli Achei contro i Troiani ideando il famoso stratagemma del cavallo di legno.

 

Sono numerosissime le opere d’arte nelle quali tale divinità è stata rappresentata dai Greci, ma certamente un ruolo di primo piano nell’esaltazione e nel culto di  Atena è costituto dal Partenone, tempio simbolo della grecità, situato sull’acropoli di Atene. Il tempio fu realizzato per volere di Pericle tra il 447 e il 438 a.C. dagli architetti Ictino e Callicrate. Il nome stesso del tempio indica che esso sia dedicato alla dea  Atena: Parthenos significa, infatti, “vergine”, e tale era l’appellativo più frequente della dea. All’interno del tempio octastilo, cioè con otto colonne su ciascuno dei lati corti, vi era la cella dominata dalla maestosa scultura di  Atena eseguita dal più grande artista greco: Fidia. Di quest’imponente opera oggi non ci rimane nulla di materiale, ma è comunque possibile ricostruirne l’aspetto e le caratteristiche in base alle fonti letterarie e ad alcune statuette che riproducevano l’originaria scultura.

 

Innanzitutto la statua era crisoelefantina, cioè realizzata in oro e avorio, ed era alta circa dodici metri. La mano destra della dea poggiava su una colonnina e mostrava allo spettatore una piccola statuetta di Nike, la vittoria alata. Il braccio sinistro era invece disteso lungo la gamba e la mano brandiva fieramente uno scudo. Il carattere guerriero della dea era inoltre rappresentato anche dalla presenza della lancia e dalla corazza con la rappresentazione di Medusa, la gorgone dallo sguardo letale ingannata e decapitata da Perseo con l’aiuto di  Atena.

 

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Replica della statua statua crisoelefantina raffigurante Atena Parthenos.

 

Tra lo scudo e la gamba della dea, faceva capolino un serpente. Si trattava di Erittonio, fin da piccolo affidato alle cure di  Atena perché, in un certo senso, poteva quasi essere considerato suo figlio! Erittonio era stato concepito, infatti, in maniera alquanto particolare: un giorno Efesto fu colto da un improvviso e irrefrenabile desiderio di unirsi ad  Atena, la quale però – parthenos di nome e di fatto – lo rifiutò prontamente. Il povero Efesto, tuttavia, incapace di placare i suoi primordiali istinti, lasciò cadere a terra il suo seme e da questo si generò Erittonio. Quest’ultimo sarebbe in seguito divenuto uno dei padri fondatori di Atene e avrebbe dunque instaurato in città il culto della dea.

 

Numerose erano le feste dedicate ad  Atena: le Oscoforie, le Procaristerie, le Plinterie, le Callinterie e, soprattutto, le Panatenee. Queste ultime erano distinte in “Piccole Panatenee” e “Grandi Panatenee”. Le prime erano celebrate ogni anno, le seconde, invece, avevano luogo ogni quattro anni. In occasione delle Grandi Panatenee, per celebrare la dea protettrice della città, erano organizzati sacrifici, giochi, gare e una grande processione. Durante la processione, la statua lignea della dea era portata in giro per la città. La sfilata culminava nell’acropoli, davanti l’altare di  Atena, con il rito del peplo. Attraverso questo rito, i cittadini ateniesi donavano al simulacro della dea una veste ricamata con figure della Gigantomachia, la mitica battaglia tra Giganti e dei dell’Olimpo.

 

Della tessitura di tale peplo si occupavano alcune nobildonne ateniesi; il rito esaltava un altro aspetto di  Atena, in quanto la dea era ritenuta anche protettrice dell’arte della filatura e della tessitura. Si raccontava che nell’antichità una fanciulla avesse pagato a caro prezzo la sua superbia: ella, ritenendosi la più brava nell’arte del tessere, aveva osato sfidare  Atena ma la dea l’aveva punita trasformandola in un ragno.

 

Come una sorta di legge dantesca del contrappasso, la dea punì dunque la ragazza costringendola a filare e a tessere tramite la bocca (per mezzo della quale aveva sfidato la dea) e a creare non più tele belle e variopinte ma una tela grigia, fondamentale per la sua stessa vita. Il nome di questa ragazza era Aracne, dal quale deriva appunto “aracnofobia”, termine indicante proprio la paura dei ragni. Per quanto saggia e razionale, dunque,  Atena era comunque una dea che non poteva accettare e perdonare quello che era ritenuto il peggiore peccato umano: la hybrisovvero la tracotanza.

 

I Greci ritenevano, infatti, che un uomo, nonostante le sue abilità e suoi successi, dovesse sempre avere una certa umiltà: macchiarsi di arroganza e superbia a tal punto da non rendersi più conto dei propri limiti porta un uomo dall’apice del successo all’abisso del fallimento. Appare evidente che dagli antichi miti greci è possibile, ancora oggi, trarre preziosi spunti di riflessione.



 

 

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