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filosofia e religione


N. 109 - Gennaio 2017 (CXL)

LA VOLONTÀ DI SAPERE SECONDO MICHEL FOUCAULT

POTERE, SAPERE E SESSUALITÀ
di Laura Sugamele

 

La volontà di sapere. Storia della sessualità 1 è il testo introduttivo all’opera La storia della sessualità, in cui il filosofo francese Michel Foucault ricostruisce una genealogia della sessualità. Nello specifico, l’intento dell’autore non è quello di attuare «una storia dei comportamenti sessuali nelle società occidentali, ma trattare un problema molto più austero e circoscritto: in che modo questi comportamenti sono diventati oggetto di sapere?» (p. 7).

 

Leggendo il testo, viene a profilarsi un’indagine meticolosa e accurata sulla relazione tra le formazioni di sapere e i dispositivi di potere. Secondo Foucault, infatti, la nostra società si è storicamente caratterizzata per una incredibile proliferazione dei discorsi sulla sessualità, laddove ogni aspetto sociale e culturale della vita ruota attorno alla sesso e alla sessualità. Allora, la domanda che emerge leggendo il testo è questa: come è avvenuta la produzione dei discorsi sul sesso?  

 

La riflessione foucaltiana individua una relazione tra le istituzioni e i meccanismi di potere e la volontà di sapere, atta al controllo e alla normalizzazione degli individui e del loro piacere personale, al fine di mantenere inalterato l’equilibrio sociale. In quest’ottica, il sapere sul sesso si presenta come uno strumento per il controllo del comportamento sia individuale sia sociale, dove la riflessione di Foucault attua un incastro tra indagine storica e indagine sociale che ha nella morale cristiana il suo apice, che dal XVII secolo ruotava attorno alle pratiche penitenziali ed ascetiche del corpo, il quale, con la pastorale cristiana della controriforma diventa addirittura «la radice di tutti i peccati» (p. 21).

 

In tal modo, il corpo diventa l’asse portante da cui iniziare una trasformazione interiore del soggetto che, mediante la confessione, si purifica e si libera dalle colpe commesse; la confessione che, come sottolinea Foucault, diventa «un dispositivo per produrre sul sesso discorsi, […] suscettibili di funzionare e di produrre effetti nella sua stessa economia» (p. 25).

 

Dal XVIII secolo, la tecnica della confessione si è, invece, traslata in nuovi orizzonti conoscitivi; ha esteso il suo potere di azione e controllo; è stata assimilata nel discorso medico, scientifico e giuridico, facendo emergere da questo asse trasformativo, la formazione di ciò che Foucault definisce come scientia sexualis.   È qui che poggia il nocciolo della questione. La scientia sexualis diviene il fulcro di un’azione predominante, quella della relazione potere-sapere, sulla cui forza vengono a prodursi saperi e dispositivi diretti a definire una verità sul sesso, attraverso la creazione e il rafforzamento delle istituzioni di potere, educative, religiose, mediche o giuridiche, allorché il corpo acquisisce il carattere dell’oggettività e, perciò, inizia a essere esaminato, analizzato e curato da eventuali patologie interiori o anomalie.

 

A questo punto, la domanda che si pone il filosofo è questa: «il sesso sarebbe dunque nascosto? Sottratto da nuovi pudori, tenuto sotto il moggio delle tristi esigenze della società borghese? Al contrario, è incandescente. È stato posto, […] al centro di una formidabile petizione di sapere» (pp. 69-70). Questo perché l’interesse per la sessualità e per le perversioni sorto, in particolare, in epoca vittoriana, non ne ha infatti limitato il contenimento, piuttosto, ne ha aumentato la proliferazione in nuovi campi di studio scientifico-disciplinari. L’epoca ottocentesca si caratterizza proprio per l’intervento della medicina e della psichiatria sulla sessualità di coppia, con l’obiettivo di attuare su di essa una gestione ai fini procreativi. Si sviluppa inoltre la nozione di ‘contro natura’, nel senso che le trasgressioni alla morale come l’incesto e l’adulterio e la stabilità della famiglia con il matrimonio, vengono distinte dalle violazioni alle leggi naturali che regolano il funzionamento della sessualità come le perversioni e, quindi, del corpo che diviene oggetto di analisi medica e giuridica.

 

La nascita dei manicomi e la definizione di folle e di follia si allineano come antitesi di ciò che serve ai fini di una categorizzazione sociale e, al contempo, linguistica-semantica, per rendere fisso e stabile cosa è normale o anormale, lecito o illecito, sano o deviante. In quest’ottica, risulta visibile nella riflessione di Foucault un punto di congiunzione comune ad altre opere dell’autore, per esempio «Nascita della clinica» e «Sorvegliare e punire», in cui lo sguardo esterno assume il carattere oggettivante della trasformazione e della ridefinizione dell’altro, del patologico, del deviante, sul quale si agisce per modificarne il comportamento rendendolo così adattabile socialmente.

 

Tale problema viene ricondotto dall’autore alla società borghese, nella quale le donne che, per esempio, non desideravano sposarsi e diventare madri, venivano categorizzate socialmente e paragonate a donne voraci o isteriche, o medicalizzate dal punto di vista psichiatrico. Una società, quella che viene presentata da Foucault, in cui il predominare dei pregiudizi e degli stereotipi culturali rappresentano il risultato visibile del meccanismo potere-sapere. Qui lo stile psichiatrico di ragionamento sulla sessualità, non è altro che una di queste forme di volontà di sapere e dove la repressione pulsionale ha inizio nell’infanzia e nel momento in cui il bambino prende confidenza con il suo corpo, da un punto di vista tattile, diventando così il principale oggetto da esaminare ed orientare educativamente, creando una stretta connessione tra morale e sessualità, condizione che colloca il desiderio e il piacere individuale nell’orizzonte dell’illecito.

 

In tal senso, la psichiatrizzazione del piacere, fa da padrone, in una società come quella ottocentesca-borghese, in cui l’aspirazione al desiderio provoca nel soggetto vergogna e quindi sottomissione alla morale comune. «L’istinto sessuale è stato isolato come istinto biologico e psichico autonomo; si è fatta analisi clinica di tutte le forme di anomalie da cui può essere affetto; gli si è assegnato un ruolo di normalizzazione e di patologizzazione sull’intera condotta; si è infine cercata per queste anomalie una tecnologia correttiva» (p. 93). Ed è la famiglia che assume il ruolo cardine nel controllo sociale della sessualità.

 

Come osserva Foucault, il controllo avviene già all’interno del nucleo familiare in cui la preoccupazione dominante si rivolge ai bambini e agli adolescenti, ma anche al raggiungimento della fecondità femminile come garanzia e proseguimento della fecondità del corpo sociale, condizione che porta la società borghese, a preoccuparsi di tutte quelle anomalie e devianze connesse all’esercizio di una eventuale sessualità distorta ed errata. Detto ciò «il sesso non è la parte del corpo che la borghesia ha dovuto screditare o annullare per mettere al lavoro quelli che dominava. È l’elemento di se stessa che l’ha più di ogni altro inquietata, preoccupata, che ha sollecitato ed ottenuto le sue cure, ch’essa ha coltivato con un misto di paura, di curiosità, di piacere, di febbrilità» (p. 110).

 

Si evince, allora, una  correlazione tra corpo, sesso e sangue, laddove le alleanze matrimoniali e una discendenza in vigore e in salute, si delineano come componenti fondamentali che, secondo Foucault, sono strettamente incardinate ad un processo storico, sociale ed economico di crescita e benessere per l’egemonia della classe borghese, condizione che, di fatto, ha condotto alla creazione di un meccanismo, sia di normalizzazione e valorizzazione del corpo che di un aspetto normativo sul e del sesso.

 

Perciò, sono interessanti le ultime pagine del testo, nelle quali la prospettiva foucaltiana si inserisce in una visione più cupa, di ciò che ha caratterizzato il XIX secolo e, che viene a profilarsi come immagine dura di un’espansione economico-sociale borghese, in cui si passa da una visione del sesso come mantenimento della sanità della specie, ad una analitica del sesso che diventa «valore di senso» (p. 131), in negativo, quale sintomo di un tipo di razzismo dinamico, feroce e aggressivo.

 

Una visione del sesso, quindi, che il filosofo riesce bene a trasporre come elemento terrifico e minaccioso, quando esso è legato ad un significato distorto della salute della specie e delle future generazioni, che inevitabilmente, può generare effetti nefasti come il razzismo. In quest’ottica «il nazismo è stato probabilmente la combinazione più ingenua e più scaltra […] dei fantasmi del sangue con i parossismi di un potere disciplinare» (p. 133). In tal senso, scopo della riflessione di Foucault, è dimostrare che la verità non è scevra da condizionamenti storici e culturali, ma la sua produzione si rivela essere congiunta ai rapporti di potere.

 

Pertanto, l’autore auspica di liberarci da una tale forma di potere e dalla costrittiva molteplicità dei discorsi sul sesso. E come possiamo far ciò? Liberandoci «dall’istanza del sesso se si vuole far valere contro gli appigli del potere, con un rovesciamento tattico dei vari meccanismi della sessualità, i corpi, i piaceri, i saperi, nella loro molteplicità e nella loro possibilità di resistenza» (p. 140).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, traduzione di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2011.



 

 

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