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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


contemporanea

CATTIVA RECLAME

IMMAGINI E RAPPRESENTAZIONI DELL’ALTRO

di Sara Fresi

 

L’immagine della caduta del muro di Berlino nel 1989 è un passato recente, che ricorda la fine della divisione tra zona americana e quella sovietica e costituisce la tappa principale verso la riunificazione dell’Europa. Venne diffusa l’idea di un Europa libera e unita all’insegna della democrazia e della libera circolazione di merci e persone. Dopo la caduta del muro di Berlino e l’apertura dei confini l’attenzione dei mass media si rivolse a un nuovo e ingente flusso migratorio proveniente dall’Est Europa. Le conseguenze che ne derivarono furono avversione, intolleranza e xenofobia nei confronti dei migranti.

 

L’Italia in quel periodo si interessò al fenomeno dell’immigrazione con fatti di cronaca, leggi e provvedimenti statali. La televisione contribuì a plasmare l’opinione pubblica: da una parte venivano trasmesse immagini di migranti che non proferivano parola, perché narrare i fatti era compito del cronista o del presentatore e, dall’altra, si assisteva alla nascita di nuovi partiti pronti a fare una crociata contro gli “invasori”.

 

Ieri come oggi sono presenti formazioni politiche che assegnano ai migranti la responsabilità dell’insicurezza che i cittadini europei vivono, senza affrontare in maniera oggettiva e concreta le problematiche che hanno radici negli sconvolgimenti epocali e in una globalizzazione economica fuori da ogni controllo. Questo atteggiamento ha l’obiettivo di creare nell’opinione pubblica l’immagine di uno Stato vigile, che si preoccupa della sicurezza dei suoi cittadini.

 

Gli operatori della comunicazione hanno rappresentato il fenomeno migratorio con titoli e immagini sensazionalistiche, spesso amplificando gli avvenimenti, e ciò ha contribuito ad aumentare la percezione del clima di insicurezza, paura e odio di tanti italiani che si sentivano inermi e deboli davanti a narrazioni di orde di migranti pronte a invadere l’Italia e “rubare il lavoro” agli italiani.

 

Questi fatti hanno contribuito a diffondere immagini superficiali e stereotipate dei nuovi arrivati, direttamente nelle case degli italiani. Sono proliferati messaggi pubblicitari che promuovevano i prodotti di consumo contribuendo a veicolare pregiudizi. I pubblicitari hanno usato la psicologia del profondo per attrarre le menti inconsapevoli dei consumatori, attraverso l’utilizzo di tecniche subliminali di persuasione. Senza accorgersene le persone sono state manipolate, ma dietro c’era un lavoro eseguito dalle agenzie pubblicitarie, dai fotografi e dagli analisti della motivazione.

 

Ieri come oggi il testo pubblicitario ha finalità informative; una delle principali esigenze è quella di attirare il pubblico e distinguersi nella folla di messaggi analoghi, pertanto i pubblicitari devono elaborare il messaggio in modo sempre più articolato e complesso. Negli anni il testo ha visto potenziare e moltiplicare le sue possibilità comunicative, presentandosi ormai con un testo espressivo a tutti gli effetti.

 

Acquisisce importanza la necessità di inviare una o più informazioni dal produttore a un consumatore, quest’ultimo sempre più saturo di pubblicità e oggetti superflui. Spesso una pubblicità è il risultato dell’interazione di più codici comunicativi, tra cui suoni, lingua e immagini, che vanno a costruire la completezza del messaggio integrandosi o sovrapponendosi l’un l’altro.

 

Le immagini sono utili a comunicare suggestioni, componenti fondamentali di un messaggio pubblicitario, forse più delle caratteristiche reali del prodotto o di particolari offerte economiche. Nel testo prevalgono dati non informativi, questi possono essere scritti o pronunciati e vanno a formare lo slogan: una breve frase, sintetica e incisiva, che vuole colpire per la sua acutezza e vivacità. Spesso lo slogan è formato da giochi di parole con ripetizioni e le informazioni utili sono posizionate in secondo piano.

 

Oggigiorno la persuasione può essere potenziata dai mezzi di comunicazione di massa ed è diventata uno dei pilastri dei sistemi politici ed economici. È necessario difendersi dalla pressione persuasiva, per mantenere autonomia di pensiero e di scelte, quindi bisogna essere in grado di comprendere dove è collocata la componente persuasiva nei messaggi che spesso è nascosta o minimizzata.

 

“La pubblicità si serve dei suoni, delle immagini, del prestigio o della simpatia di personaggi famosi, dell’attrazione che un bell’esemplare dell’altro sesso esercita sul mammifero che è in noi. E si serve anche del linguaggio. La conoscenza approfondita delle strutture linguistiche è una delle condizioni per smascherare i trucchi, almeno quelli di natura linguistica, di cui si serve la comunicazione tendenziosa, e quindi per esserne un po’ più immuni”.

 

Nei messaggi persuasivi ci sono trucchi linguistici; come può essere utilizzata la grammatica per persuadere?

 

Anche la pubblicità ha subìto un evoluzione, se in passato il messaggio era chiaro ed esplicito, è stato compreso che per essere efficaci non è necessario affermare che il prodotto è particolarmente buono, per non stimolare lo spirito di contraddizione dei potenziali acquirenti: piuttosto, risulta più conveniente creare simpatia e prestigio intorno ad esso.

 

La maggior parte dei messaggi pubblicitari non propongono in modo esplicito le migliori caratteristiche per indurre i potenziali clienti ad acquistare il prodotto, ma questo deve entrare nella mente del pubblico in modo indiretto. È per questo che si fa ricorso alle immagini e ai suoni, alle ragazze nude o a modelli convenzionali di comportamenti e di discorsi riconosciuti e condivisi dalla maggioranza, o presunta tale, del gruppo sociale di appartenenza.

 

Sono stati tanti i messaggi pubblicitari trasmessi in radio oppure in televisione, con un retrogusto razzista, pensati sia ad un pubblico giovanile che adulto. Il pensiero va al simpatico Calimero, apparso per la prima volta nel 1963 nel programma televisivo Carosello. La storia è quella di un pulcino tutto nero, con un timbro di voce debole, che non viene riconosciuto dalla madre, ma quando si lava diventa tutto bianco e dice lo slogan «Ava come lava!» per pubblicizzare la nota marca di detersivo Ava. Questo spot è stato visto da milioni di italiani e riferimenti razzisti non sono neanche troppo subliminali.

 

Questo spot televisivo rievoca l’immagine dei manifesti pubblicitari del secolo scorso. Nel 1910 un’azienda americana realizzò il manifesto «Useremo Clorinolo e saremo come un negro bianco» per pubblicizzare la soda utilizzata per lo sbiancamento. Una pubblicità razzista rivolta a individui afroamericani e pensata da persone “bianche”. Un annuncio che idolatra il colore della pelle bianca su qualsiasi altro colore. Tutte le persone ricevono il messaggio che dovrebbero aspirare ad essere bianchi, anche se sanno che la vera “bianchezza” non può essere raggiunta. Questa pubblicità incoraggia ulteriormente le persone a cambiarsi in razza bianca, anche attraverso misure drastiche, al fine di adattarsi meglio a ciò che la società ritiene più desiderabile e accettabile.

 

Nel 1935 un’azienda con sede a Chicago utilizzò lo spot Elliott’s White Veneer per creare un annuncio pubblicitario. Nel manifesto si affermava quanto fosse bianca la vernice e, per dimostrarlo, c’erano due ragazzini afroamericani, uno dei quali stava spargendo la vernice bianca sull’altro. Lo slogan diceva: «Guarda come copre il nero». Questo annuncio è molto forte e razzista; è sbagliato e non etico ritrarre un’etnia in modo così irrispettosa. È incredibile come le persone siano state così inconsapevoli del fatto che certi personaggi dei cartoni animati erano ritratti come afroamericani e che il loro colore della pelle veniva confrontato con la vernice bianca. 

 

Oggigiorno sono molte le pubblicità che si avvalgono di comparse di uomini “neri” vestiti da indigeni, con il corredo di arco e frecce, e abiti succinti; protagonista è l’uomo “bianco” che spesso agisce e parla con tono di superiorità nei confronti dell’indigeno. Sono immagini che rievocano un passato coloniale con gli europei che consideravano i nativi del luogo come barbari, persone prive di cultura quindi da “addomesticare”.

 

Troviamo una vasta letteratura di missionari, conquistatori, scrittori e, nella storia recente, romanzi, cartoni animati e film. Stereotipi utilizzati per esagerare tratti della realtà: persone più o meno rozze, più o meno violente. Sono omesse sfumature, ma vengono creati modelli applicati anche in contesti culturali differenti. Così come l’idea del “buon selvaggio”, non ribelle e sottomesso, figura che ebbe successo nel Settecento, periodo storico che vide l’intensificarsi della tratta degli schiavi dall’Africa all’America latina. Milioni di africani e di indigeni furono considerati “buoni” per essere sfruttati e sottomessi al servizio degli europei occidentali.

 

Questi sono stereotipi rozzi basati sulla convinzione che “noi” siamo umani e civili, mentre “loro” sono poco diversi da animali. Proprio sulla bestialità non mancano storici riferimenti che gli occidentali fecero, per esempio, nei confronti dei turchi. Per tanti secoli Islam e Occidente vissero all’interno di un mondo permeabile e aperto allo scambio; il momento di svolta fu la presa di Costantinopoli da parte dei turchi nel 1453. La capitale dell’Impero d’Oriente, erede dell’Impero romano, venne occupata da Mehmed II: fu la vittoria eclatante dei turchi che venne avvertita come fonte di pericoli da parte di Spagna, Francia, Impero asburgico, stati della penisola italiana e Chiesa di Roma.

 

Da quel momento il turco divenne un nemico agguerrito, temibile e sanguinario. Per denigrare il nemico vennero diffusi stereotipi e pregiudizi: inaffidabile nel commercio, maestro di furberie, lussurioso e tanto altro ancora. Quel mondo favoloso, lontano e sensuale venne narrato nelle Mille e una notte di Antoine Galland, raccolta di racconti diffusi in Europa tra il 1704 e il 1717. Gli occidentali manifestarono interesse, quasi invidia, per quel mondo misterioso e affascinante. Con il Grand Tour si diffuse la volontà di comunicare suggestioni, esperienze vissute o immaginate e, in questo contesto, è stata pubblicata una vasta letteratura e diaristica relativa alla scrittura di viaggio.

 

Molti cristiani che per fede e religione erano monogami, svilupparono forme di invidia per i turchi che erano poligami, quindi li immaginavano lussuriosi e peccatori e le donne sottomesse e disponibili. Diffusi i casi di cristiani che rinnegarono la loro religione per diventare islamici. Questi stereotipi si trovano anche in recenti spot: arabi scaltri, donne disponibili e, sovente, l’accostamento di fatti terroristici alla religione islamica.

 

È necessario chiarire che l’Islam non è terrorismo. I tragici fatti e le azioni criminali a cui abbiamo assistito sono state messe in atto da frange estremiste giustificate da una lettura deviata e politicizzata dell’Islam. Questa operazione di accostare la religione islamica al terrorismo viene effettuata da molti mass media ed è per questo che una lettura sommaria dei fatti e visione parziale della storia potrebbe portare a pensare che ci siano religioni cattive e altre buone. Sembra quasi la volontà di evocare quei fantasmi e quelle paure che gli occidentali europei patirono nella metà del Quattrocento con la presa di Costantinopoli che, allora, rappresentava la roccaforte e simbolo della grandezza dell’Impero romano.

 

Attualmente in televisione vengono trasmessi spot con messaggi negativi sull’etnia, probabilmente sono meno diffusi rispetto al passato perché, in una società di consumi e globalizzata quale la nostra, certi messaggi offenderebbero una fascia di presunti consumatori. Per evitare di ricevere critiche negative, diminuzione delle vendite e, perfino, sanzioni da parte delle autorità preposte, spesso tali spot vengono rimossi e, non di rado, la rimozione è seguita dalle scuse dell’azienda.

 

In Italia dal 1966 esiste l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha l’obiettivo di vigilare affinché una comunicazione commerciale sia onesta, veritiera e corretta. All’interno è presente un sistema consolidato, rapido ed efficace, in grado di eliminare la cattiva pubblicità e di tutelare quella buona.

 

Lo IAP ha elaborato un Codice di Autodisciplina che è vincolante per le aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi di diffusione, concessionarie e per tutti coloro che lo abbiano accettato tramite la propria associazione, o mediante la conclusione di un contratto di inserzione pubblicitaria. Gli organismi aderenti, infatti, si impegnano a inserire nei propri contratti, o in quelli dei propri associati, una speciale clausola di accettazione del Codice e delle decisioni autodisciplinari. Quindi la larga generalità della comunicazione commerciale italiana è tenuta a rispettarli.

 

Tutti possono fare una segnalazione: se un utente è convinto che una pubblicità sia offensiva, ingannevole, violenta o volgare può fare una segnalazione compilando e inviando il modulo presente sul sito web dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Dardano M., Giovanardi Claudio, Le strategie dell’italiano scritto. Modelli di lingua tecniche di comunicazione esercizi e verifiche, Zanichelli, Bologna 2001, pp. 95-96.

Formica M., Lo specchio turco. Immagini dell’Altro e riflessi del Sé nella cultura italiana d’età moderna Donzelli editore, Roma 2012, pp. 18-19.

Ghirelli M., L’antenna e il baobab. I dannati del villaggio globale, Sei Frontiere, Torino 2005, pp. 93-94.

Lombardi Vallauri E., La linguistica. In pratica, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 62-63.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]