[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

191 / NOVEMBRE 2023 (CCXXII)


antica

Mesenzio, o Mezenzio, re etrusco
Una figura mitologica

di Fabio Serafini

 

La lettura delle fonti coeve permette di conoscere aspetti del passato, sebbene talvolta occorra interpretare le informazioni riportate dai documenti o testi presi in considerazione. Un esempio di quanto appena affermato è dato dal re etrusco Mesenzio o Mezenzio – a seconda delle fonti –, il quale ha trovato spazio in varie opere pur risalenti a vari secoli successivi ai presunti eventi narrati.

 

Catone, vissuto fra il 234 circa e il 149 a.C., lo inserì nel suo Origines – di cui sono giunti in epoca contemporanea solo dei frammenti –, scritto fra il 174 a.C. e l’anno della sua morte. Il re etrusco Mezenzio si alleò con i Rutuli di re Turno per combattere i Latini e gli esuli troiani guidati da Enea; sopravvisse sia a Enea che a Turno, ma perse la vita o fu sottomesso da Ascanio, figlio di Enea, a seguito di un duello.

Catone, inoltre, riportò l’origine della festività del Vinalia, celebrate in onore di Giove – il 23 aprile, quando si usava il vino nuovo – e di Venere – il 19 agosto –, aggiungendo che Mezenzio avrebbe preteso da Turno l’offerta del vino nuovo mentre i Latini lo offrirono a Giove. Per essersi quindi arrogato gli onori riservati agli dei, il re etrusco fu denominato “spregiator degli dei” e un tale appellativo si ritroverà anche nelle opere successive al Catone.

 

Stando a quanto riportato successivamente da Plinio il Vecchio, Marco Terenzio Varrone, vissuto fra il 116 e il 27 a.C. citò l’episodio della richiesta del vino nuovo da parte di Mesenzio al re dei Turni in cambio del suo aiuto militare.

 

L’opera più famosa in cui si ritrova il re etrusco oggetto del presente studio è l’Eneide di Virgilio, scritta fra il 29 o 27 e il 19 a.C., l’unico a essere un poema e non un’opera storica come i testi degli altri autori citati – salvo una eccezione su cui si tornerà –, oltre a essere l’unico testo a chiamare la figura etrusca Mesenzio e non Mezenzio.

 

La seconda metà dell’Eneide è dedicata alla guerra che ha visto coinvolti gli esuli troiani e i Latini da una parte e, dall’altra, i Rutuli di re Turno e gli Etruschi di Cere – in realtà l’etrusca Caere, precedentemente denominata Agylla dai Greci e successivamente diventata Cerveteri – il cui re era Mesenzio, sebbene sia definito re dei Tirreni e non degli Etruschi.

 

Mesenzio fu qui definito “bestemmiatore dei Numi”, intesi sicuramente con gli dei, o “sacrilego bestemmiatore”, oltre a essere definito “esecrato tiranno” – quindi detestato –, tanto che già il figlio Lauso avrebbe preferito un padre migliore, oltre a subire una rivolta dal suo stesso popolo.

 

In Virgilio Mesenzio perderà la vita per mano di Enea, il quale poi userà le armi dell’Etrusco per addobbare una quercia, oltre a glorificarsi con i compagni di aver ucciso Mesenzio.

 

Nella Storia di Roma, Tito Livio – vissuto fra il 59 e il 17 a.C. – riportò Mezenzio come re di Caere, definita opulenta e, seguendo Catone, l’Etrusco sopravvisse a Enea prima di essere sconfitto dai Latini e ciò permise il termine della guerra.

Secondo la mitologia romana, almeno in parte riportata da Tito Livio, ad Ascanio – nella versione greca – o Iulo – nella versione latina – si deve la fondazione di Alba Longa, così come Enea fondò precedentemente la città di Lavinio. Tito Livio, infine, ripose nella preoccupazione di Mezenzio per la fondazione di quest’ultima località il motivo dell’alleanza fra Etruschi e Rutuli a seguito della quale scaturì la guerra contro Latini ed esuli troiani.

 

Ovidio, vissuto fra il 43 a.C. al 17 d.C., differisce in parte dagli altri autori, poiché nei Fasti i Rutuli erano già in guerra quando re Turno chiese all’omologo Mezenzio di impegnarsi contro Enea. L’Etrusco accettò la richiesta, a condizione di ricevere in cambio l’offerta del vino nuovo, mentre Enea offerse a Giove la medesima tipologia di bene: la successiva sconfitta di Mezenzio appare perciò come l’esito negativo di chi prescinde e si discosta da quanto è ritenuto sacro.

 

In Ovidio, quindi, Mezenzio è ritenuto ancora una persona sacrilega, ma vi è la novità di aver inserito lo stesso nell’origine mitologica della festività dei Vinalia o almeno a quella festività di aprile dedicata a Giove, in virtù sia dell’aver menzionato il vino nuovo che dell’offerta a Giove e non anche a Venere.

 

Verrio Flacco, invece, vissuto fra il 55 a.C. e il 20 d.C., autore del calendario denominato Fasti Prenestini, per il giorno dedicato alla festività della Vinalia di inizio anno, riposto al 23 aprile, riporta come Mezenzio richiese e ottenne dai Rutuli un tributo annuo di vino in cambio del suo aiuto: si tratta quindi di un riferimento al vino nuovo per la festività di inizio anno dedicata a Giove.

 

Sesto Pompeo Festo, vissuto nel II secolo d.C. e autore del verborum significatu, trasportò invece l’evento riportato da Verrio Flacco alla festività del Vinalia del 19 agosto, quando Mezenzio richiese vino come offerta sacra, quindi come donazione non per sé ma per le divinità.

 

L’Origo gentis Romanae, risalente al IV secolo d.C., è l’ultimo testo prodotto dalla cultura romana in cui si può trovare la figura di Mezenzio. Il suo autore, rimasto anonimo, ha seguito la versione di Dionigi di Alicarnasso, vissuto nel I secolo a.C. e su cui si tornerà a breve, con l’eccezione del tributo di vino richiesto dal re etrusco: in cambio dell’alleanza con i Rutuli, l’imposizione di vino sarebbe durata solo per alcuni anni.

 

Alle opere di matrice romana ne vanno aggiunte due pubblicate da autori greci, il primo dei quali il già menzionato Dionigi di Alicarnasso. Questi ripropose la versione secondo cui Mezenzio, re dei Tirreni come in Virgilio, richiese ai Rutuli un tributo annuale in vino in cambio del suo sostegno – come proposto da Verrio Flacco – e sopravvisse a Enea e a Turno. Inoltre, a seguito di una sconfitta in battaglia in cui perse la vita il figlio, Mezenzio chiese e ottenne da Ascanio la tregua e successivamente vi fu un rapporto amichevole fra il re etrusco e i Latini.

 

Dionigi di Alicarnasso si soffermò anche su una leggenda sulla fondazione di Lavinio: in una foresta vicina la città divampò un incendio, alimentato da un lupo e un’aquila,  che ebbero poi la meglio, mentre una volpe tentò di spegnerlo.

 

Mezenzio è definito innanzitutto “generale degli Etruschi” e si può quindi supporre che egli non sarebbe stato re. Plutarco nella sua opera Questioni romane riportò, sotto forma di domanda, come Mezenzio offrì la pace a Enea, a condizione che quest’ultimo offrisse all’Etrusco il vino prodotto nell’anno in corso. Il rifiuto dell’esule troiano fece scaturire la guerra e Mezenzio promise al suo popolo di impadronirsi del vino richiesto ma non ottenuto; al termine del conflitto Enea consacrò il vino agli dei, offrendolo al tempio di Venere, quindi forse collegandolo alla festività della Vinalia di agosto.

 

Per concludere, va innanzitutto ricordato come in varie civiltà del mondo antico 0 come nelle popolazioni della Persia, di Sparta e di Cartagine – era diffusa la richiesta di beni come tributi. L’informazione secondo la quale Mezenzio richieste il vino in cambio dell’aiuto ai Rutuli può quindi essere una per così dire eco del passato, sebbene non propria di Roma.

 

Catone, come si è visto, fu infatti il primo a riportare una simile richiesta e lo stesso Catone visse in quell’età repubblicana durante la quale Roma combatté quelle guerre puniche contro la Cartagine dove erano in uso quei tributi affini a quanto riportato dal medesimo autore.

 

Il personaggio Mesenzio o Mezenzio è apparso nella letteratura romana – per lo più nelle opere storiche – secoli dopo la sua ipotetica vita e, in base alle attuali conoscenze, si può dubitare di una sua realtà storica. Tuttavia è stato rinvenuto a Caere un vaso risalente al secondo quarto del VII secolo a.C. che riporta una iscrizione etrusca in cui sono si legge “mi Laucies Mezenties”, traducibile con “Io sono Lucio Mezenzio”.

 

Ciò significa che è effettivamente esistito un Mezenzio originario o quantomeno vissuto in età adulta a Caere, ma questi non deve essere identificato con il Mezenzio della letteratura presa in considerazione poiché vissuto circa cinque secoli dopo. Il personaggio di Mezenzio potrebbe invece avere un significato politico in cui rappresenterebbe la monarchia assoluta e la teocrazia dei popoli confinati a quello romano, mentre quest’ultimo era alla ricerca della libertà.

 

La leggenda dell’incendio di Lavinio, invece, ha fatto ipotizzare l’identificazione della volpe con Mezenzio, opposto alle divinità di Pico – l’uccello – e Fauno – il lupo; inoltre si è voluto identificare il Castrum Inui, oggi nel territorio di Ardea, con la roccaforte di Mezenzio.

 

Sempre in epoca contemporanea Lorenzo Da Ponte scrisse una tragedia nel 1791 intitolandola Il Mezenzio, ripubblicata successivamente. Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson, vissuta a cavallo fra la fine del XVIII secolo e l’inizio del successivo, produsse due disegni sul combattimento fra Mezenzio ed Enea, mentre Louis-Jean Desprez ne dipinse uno. Tre sculture, infine, furono eseguite da Louis-Léon Cugnot, Alexandre Falquiére e Denys Puech, quest’ultimo vincitore del Prix de Rome nel 1884.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]