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N. 13 - Gennaio 2009 (XLIV)

“Memorial” di San Pietroburgo
sul sequestro del materiale d'archivio

di Umberto Vitiello

 

Nel novero delle ormai tantissime azioni censorie che continuano ad essere perpetrate in Russia sempre più frequentemente a partire dal 2000, anno in cui Vladimir Putin assurse al potere, grande scalpore ha destato in tutto il mondo la notizia che il 4 dicembre scorso la sede in via Rubinstein di San Pietroburgo del Naučno-Informacionnij Centr “Memorial” è stata sottoposta a una lunga perquisizione da parte di sette agenti di polizia inviati dalla Procura, alla fine della quale sono stati sequestrati numerosi documenti cartacei e gli undici dischi rigidi dei computer.

Oltre diecimila foto d’epoca, diari e documenti, la voce dei sopravvissuti, i risultati delle perizie sulle fosse comuni: testimonianze sulla storia dell’Arcipelago Gulag, i campi di concentramento sovietici, coi nomi di oltre cinquantamila vittime, quasi tutte della regione chiamata ancora di Leningrado nonostante il suo capoluogo abbia ripreso quello storico di San Pietroburgo.

La memoria delle vittime contro quelle dei loro repressori, la storia vissuta sulla propria pelle contro la Storia Ufficiale: una ricerca di circa venti anni di lavoro certosino che rischia di essere perduta per sempre.

Il motivo della perquisizione con il conseguente sequestro del materiale è il presunto finanziamento da parte di “Memorial” del giornale locale di opposizione al governo russo “Novyj Peterburg”, fatto chiudere dalle autorità governative nel 2007 per avere appoggiato le manifestazioni antiputiniane represse da parte delle forze speciali di polizia con l’arresto di numerosi partecipanti.

Il giornale era stato accusato d’aver pubblicato un articolo “estremista” con “istigazione all’odio”, definizione quest’ultima in cui, secondo la legge russa, ricade una miriade di “reati”, come i proclami xenofobi, l’integralismo religioso e perfino la critica al potere costituito.

Il Centro di Ricerca Scientifica e Attività Informativa detto “Memorial” - quello di Mosca fu il primo e nacque ufficialmente nel 1989, ma era già attivo come movimento nel 1987 - fin dalla sua fondazione ha per scopo non solo il tentativo di salvare la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche, ma anche la difesa e la salvaguardia del diritti umani e il monitoraggio dello sviluppo democratico della Russia post-sovietica.

Grazie a questa encomiabile organizzazione che porta il nome del dissidente scienziato e fisico sovietico Andrei Dmitrievič Sacharov (1921 – 1989), premio Nobel per la Pace, sono stati emanati i pochi provvedimenti statali a tutela della memoria delle vittime dello stalinismo e, sempre grazie a Memorial, sono state denunciate numerose violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito russo in Cecenia.

Come alcuni giornalisti russi coraggiosi hanno fatto e continuano a fare nonostante la morte non certo accidentale di diversi loro colleghi: un esempio tra tutti, Anna Politkovskaja, giornalista di Novaja Gazeta, freddata con dei colpi di pistola nel portone di casa sua a Mosca nel settembre del 2006, appena poco più di due anni fa.

L’attività di Memorial è riconosciuta internazionalmente, come dimostra la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace nel 2007 e nel 2008, ma purtroppo è osteggiata in patria, dove nei libri scolastici di storia riaffiora sempre più prepotentemente il mito di Stalin .

L’operazione del 4 dicembre, che ha messo a repentaglio non solo il materiale contenuto negli archivi della sede pietroburghese di “Memorial” ma anche il centro stesso, è l’ennesima dimostrazione di questa costante ostilità.

Contro la quale, mettendo in risalto l’importanza dell’archivio del “Memorial” di San Pietroburgo che, oltre a quanto già detto, contiene il testo di riferimento del “Museo virtuale del Gulag”, una risorsa online unica al mondo che riunisce oltre cento musei russi locali sui Gulag, sono stati scritti innumerevoli accorati appelli e lettere di protesta che denunciano la persecuzione ai danni dell’unica organizzazione non governativa della Russia e chiedono oltre alla restituzione di quanto le è stato sequestrato anche la garanzia per i suoi attivisti di poter operare liberamente.

Gli appelli dell’intellighenzia internazionale sono stati indirizzati al presidente russo Medvedev, alla presidente della regione di Leningrado Matvienko, al Procuratore di San Pietroburgo Čaika, ai ministri dell'interno e degli esteri della Federazione e alla Commissione Russa per i Diritti Umani.

Anche dall’Italia sono partiti non pochi vigorosi e significativi appelli, tra cui quello del professore universitario e ricercatore di Storia dell’Europa Orientale Marco Clementi che ho sottoscritto senza esitare un solo istante, convinto che una mobilitazione ampia ed immediata di studiosi di tutto il mondo possa ottenere in casi come questo molto più di altri interventi, compresi quelli comunque auspicabili delle Organizzazioni Internazionali, come l’ONU e la sua emanazione culturale, l’UNESCO.

 

 

 

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