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N. 116 - Agosto 2017 (CXLVII)

Le maschere teatrali

del Museo Archeologico Eoliano Luigi Bernabň Brea

Produzione, tipologia, personaggi

di Alessandra Romeo

 

La splendida collezione di maschere teatrali del Museo Archeologico Eoliano di Lipari comprende terrecotte teatrali datate dal IV alla seconda metŕ del III sec. a.C. e frutto di un artigianato locale.

 

Provengono da contesti funerari, da fosse votive o da discariche nell’area della necropoli. Ciň ne rivela la connessione col culto dei defunti e con quello di Dioniso: «Esse si ricollegano con un particolare aspetto che il culto di Dioniso assume a Lipari.

 

Dioniso infatti č il dio del vino, dell’ebrezza, dell’estasi che dŕ la gioia ai banchetti e alle riunioni conviviali, ed č il dio del teatro, che in Grecia č sorto e si č sviluppato nelle feste in suo onore. Ma č anche il dio che promette a coloro che erano iniziati ai suoi misteri, le eterne beatitudini nell’al di lŕ, una prefigurazione, questa, del paradiso cristiano.

 

La stretta connessione del dionisismo funerario si osserva in questa etŕ in tutta la Magna Grecia e in Sicilia, ma assume a Lipari, un aspetto particolarissimo. Infatti in assenza di una dottrina rigidamente formulata e di un’autoritŕ religiosa centrale che ne imponesse l’osservanza, le singole comunitŕ dionisiache locali potevano presentare tra loro differenze notevoli, nei riti, nelle liturgie ed anche nello stesso credo» (Bernabň Brea - Cavalier - Spigo 1994, pp. 103-104).

 

Nel teatro greco gli attori erano soliti indossare maschere che identificavano il personaggio interpretato, esprimendo anche i sentimenti e gli stati d’animo. Ciň vale anche per i personaggi femminili, in quanto le donne non erano ammesse e quindi le parti erano interpretate sempre da uomini.

 

Si tratta quasi sempre di opere teatrali che avevano avuto grande successo e che continuavano ad essere rappresentate nei teatri di tutto il mondo greco attraverso il IV e III sec. a.C., ben oltre la morte degli autori.

 

Probabilmente molte di esse producono prototipi ateniesi e sono quindi ispirate alle maschere originali che i tragediografi avevano creato per la presentazione delle loro opere ad Atene.

 

Nel complesso questo tipo di reperti, costituisce la piů ampia documentazione relativa alla maschera teatrale e al costume scenico dell’antichitŕ, mostrando nel contempo il legame indissolubile con il culto dei defunti e la sfera funeraria dionisiaca, riscontrabile anche nella coeva produzione ceramica magnogreca e siceliota.

 

Dal punto di vista tecnico le maschere sono modellate con argilla locale. Sono realizzate grazie all’uso di matrici o di due mezze forme, una per il volto e l’altra per la calotta cranica. Alcune delle matrici e delle due mezze forme sono state ritrovate in sede di scavo.

 

Una volta estratte dalla matrice, si procedeva alla realizzazione plastica delle chiome e degli elementi caratterizzanti non presenti nello stampo originario. Sfruttando la mollezza dell’argilla, si interveniva anche sulla stessa forma: la maschera, quindi, subiva anche un cambiamento tale da renderla unica e ogni esemplare differiva dagli altri, anche quelli estratti dalla medesima matrice e raffiguranti lo stesso soggetto.

 

Finito il processo creativo, la maschera subiva una prima cottura. La superficie era poi dipinta con la tecnica dell’ingobbio e successivamente era applicato il colore finale. 

 

Grande importanza era data al colore: in generale le maschere femminili si presentano dipinte con una vernice chiara, rosso-bruna invece era usata per l’incarnato delle maschere maschili. Le chiome erano lasciate opache, mentre le parti nude erano rese lucide.

 

Tracce di pittura sui reperti mostrano, infine, che erano dipinti anche particolari anatomici quali bulbi oculari, pupilla, labbra, ciglia, sopracciglia, ciocche di capelli, non facenti parte della chioma plastica, e barba. Alla fine della fase della decorazione pittorica, i reperti subivano una seconda cottura allo scopo di fissare il colore. 

 

Le maschere si suddividono in maschere della tragedia, del dramma satiresco e della commedia.

 

La tragedia č un genere teatrale di argomento mitologico. Ogni tragediografo ne presentava tre al concorso che si svolgeva ad Atene ed esse potevano essere collegate dallo stesso impianto tematico (trilogia) o indipendenti l’una dall’altra.

 

Il dramma satiresco, il cui nome deriva dal fatto che il coro era formato da satiri (creature semiferine legate alla sfera dionisiaca), č la parte conclusiva di una tetralogia, formata da questo e dalle tre tragedie precedentemente definite. Con esso si metteva in scena storie mitiche in trattazione burlesca e serviva a rasserenare gli animi degli spettatori.

 

La commedia era, infine, un genere teatrale di argomento comico, in cui sempre presente l’elemento derisorio, la licenziositŕ e l’attacco personale. Forte č la componente realistica e riferimenti all’attualitŕ. La storia della commedia nell’antica Grecia si divide in tre periodi: “commedia antica”, fino al V sec. a.C., “commedia di mezzo”, fino al 330 a.C. e “commedia nuova”, fino al 260 a.C.

 

Le maschere della tragedia conservate al museo sono trentatré, ma di cinque di esse esistono piů esemplari, quindi in tutto sono venticinque tipi. Le altre rappresentano personaggi diversi, ma qualche volta questi sono ottenuti modificando una stessa matrice, soprattutto per quanto riguarda gli attributi che caratterizzano il personaggio (leontea, berretto frigio, corona ecc.).

 

Esse si suddividono, ad esclusione delle maschere isolate e dei frammenti purtroppo non identificabili,  in quelle relative alle tragedie di Sofocle (Filottete e Paride dell’opera Filottete a Troia, Edipo e Giocasta dell’Edipo re, Acheloos e Deianira delle Trachinie), di Euripide (Priamo, Paride, Deifobo e Cassandra della perduta Aléxandros, Polydoros e Polymestor dell’Hekŕbe, Herakles ed Admetos delle Troiane, maschere non identificate della perduta Chrysippos) e, infine, le maschere riferibili forse alla tragedia Héktor di Astidamante il giovane, nel particolare i personaggi di Ettore e Ecuba.

 

Le maschere del dramma satiresco presenti nel museo sono cinque. I tipi in cui si suddividono sono presenti tra i quarantaquattro descritti nel catalogo Onomastikon di Polluce, autore di epoca imperiale: il satiro canuto, il satiro con la barba, il satiro senza barba, il papposileno, ossia un satiro anziano e con un aspetto piů ferino degli altri.

 

Le maschere comiche conservate al museo, infine, sono ventidue e corrispondono a quattordici tipi diversi, essendo alcuni rappresentati da piů esemplari: sei maschere delle Ecclesiazuse di Aristofane ed esemplari di maschere comiche di opere non identificate.

 

Come precedentemente scritto, le maschere sono caratterizzanti per ciascun personaggio, ma ne esistono anche di tipi generici.

 

Nel caso di quelle della commedia, sulla base del catalogo di Polluce, sono stati identificati quattro tipi: maschere di anziani, giovani, schiavi e donne.

 

Le maschere di anziani sono il páppos prótos, il primo nonno, il páppos éteros, il secondo nonno, l’hegemón presbytes, l’anziano principale, e pornoboskós, il padrone di una casa del piacere.

 

Al secondo tipo appartengono il párochros, il giovane eroe, il pánchrestos, il giovane perfetto, il melas, il giovane bruno o lo studioso, l’oúlos, il giovane dai capelli ondulati o giovane sfrontato, il apalós, il giovane delicato, l’ágroikos, il rustico, l’epíseistos, il soldataccio vanaglorioso o il secondo vanaglorioso, il kólax, l’adulatore, il parásitos, il parassita, l’eikonikós o eupáryphos, il forestiero presuntuoso, e il Siciliano.

 

Gli esemplari relativi ai personaggi degli schiavi sono, invece, il páppos, il vecchio, l’hegemón, il principale, il káto trichías, il basso capelluto, l’oúlos, il ricciuto o lo schiavo indisciplinato, il Máison, uno dei cuochi, l’hegemón epíseistos, il piů giovane degli schiavi.

 

Ultimo tipo sono le maschere delle donne.

 

Si attestano la mesókouros ochrŕ, la giovane donna, l’oúle, la ricciuta, la kore, la ragazza, la pseudokóre, falsa vergine, la spartopólion lektiké, la chiacchierona dai capelli grigi, la pallaké, cioč la concubina o forestiera che, in quanto tale, non poteva essere sposata da un cittadino ateniese e ne rimaneva l’amante, la téleion etairikón, l’etera raffinata,  la diámitros etairikón, l’etera che fasciava le chiome in un fazzoletto, la lampádion, l’etera sofisticata con un’acconciatura a forma di fiamma, la ábra períkouros, la schiavetta favorita, e, infine, la vecchietta magra, o lupetta, e la vecchia domestica.

 

Secondo Bernabó Brea, infine, č possibile che in scena le folti chiome e barbe erano direttamente rese grazie all’uso di parrucche ed elementi posticci.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bernabň Brea, L. - Cavalier, M. - Spigo, U., Museo Eoliano, Edizioni Novecento, Palermo 1994, pp. 99-117.

Bernabň Brea, L., Maschere e personaggi del teatro greco nelle terracotte liparesi, «L’Erma» di Betschneider, Roma 2001.



 

 

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