N. 126 - Giugno 2018 
                          
                          (CLVII)
																						masaniello
																			
																			
																			
																			il 
																			giovane 
																			eroe 
																			e la 
																			reale 
																			repubblica 
																			napoletana
																			
																			
																			
																			
																			di
																			
																			
																			Umberto 
																			Vitiello
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Tommaso 
																			Aniello 
																			d’Amalfi, 
																			detto 
																			Masaniello, 
																			è 
																			tornato 
																			in 
																			auge 
																			con 
																			le 
																			Quattro 
																			Giornate 
																			di 
																			Napoli 
																			del
																			
																			
																			27-30 
																			settembre 1943,
																			insurrezione 
																			popolare 
																			con 
																			la 
																			quale 
																			durante 
																			la 
																			Seconda 
																			Guerra 
																			Mondiale 
																			i 
																			napoletani 
																			fiancheggiati 
																			da 
																			militari 
																			fedeli 
																			al Regno 
																			del 
																			Sud
																			
																			riuscirono 
																			a 
																			liberare 
																			la 
																			loro 
																			città 
																			dall’occupazione 
																			delle 
																			forze 
																			armate 
																			nazi-tedesche 
																			e 
																			dai 
																			fascisti 
																			italiani 
																			loro 
																			collaboratori.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			«Le 
																			Quattro 
																			Giornate 
																			di 
																			Napoli, 
																			espressione 
																			di 
																			antifascismo 
																			morale 
																			e 
																			politico, 
																			il 
																			cui 
																			ricordo 
																			è 
																			vivido 
																			ancora 
																			oggi 
																			– 
																			scrive 
																			anni 
																			dopo 
																			Marina 
																			Azzinnari 
																			– 
																			rappresentano 
																			un 
																			evento 
																			della 
																			storia 
																			nazionale 
																			non 
																			isolato: 
																			un 
																			filo 
																			rosso 
																			lega 
																			il 
																			popolo 
																			napoletano 
																			delle 
																			Quattro 
																			Giornate, 
																			attraverso 
																			l’esperienza 
																			risorgimentale, 
																			ai 
																			patrioti 
																			della 
																			Repubblica 
																			napoletana 
																			del 
																			1799, 
																			eredi 
																			del 
																			popolo 
																			di 
																			Masaniello. 
																			Nel 
																			1943, 
																			come 
																			assunto 
																			dalla 
																			storiografia, 
																			dal 
																			meridione 
																			parte 
																			la 
																			prima 
																			resistenza, 
																			in 
																			cui 
																			Napoli 
																			gioca 
																			il 
																			ruolo 
																			di 
																			laboratorio 
																			della 
																			transizione 
																			dal 
																			fascismo 
																			alla 
																			repubblica».
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			periodo 
																			storico 
																			durante 
																			il 
																			quale 
																			in 
																			Italia 
																			Masaniello 
																			fu 
																			maggiormente 
																			denigrato 
																			fu 
																			il 
																			ventennio 
																			di 
																			dittatura 
																			fascista. 
																			A 
																			quell’epoca 
																			nei 
																			testi 
																			scolastici 
																			o 
																			non 
																			se 
																			ne 
																			parlava 
																			affatto 
																			o 
																			veniva 
																			descritto 
																			come 
																			un 
																			popolano 
																			che 
																			conquistato 
																			il 
																			potere 
																			s’era 
																			dato 
																			esclusivamente 
																			al 
																			proprio 
																			arricchimento 
																			illecito.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			propulsione 
																			promozionale 
																			di 
																			rievocazione 
																			e 
																			rivalutazione 
																			dell’eroe 
																			popolare 
																			napoletano 
																			del 
																			‘600 
																			nel 
																			celebrare 
																			le 
																			Quattro 
																			Giornate 
																			di 
																			Napoli 
																			indusse 
																			i 
																			padri 
																			carmelitani 
																			a 
																			collocare 
																			nel 
																			1961, 
																			anno 
																			del 
																			Centenario 
																			dell’Unità 
																			d’Italia, 
																			una 
																			lapide 
																			in 
																			suo 
																			ricordo 
																			nella 
																			Chiesa 
																			del 
																			Carmine 
																			di 
																			Napoli 
																			e 
																			un’altra 
																			nel 
																			loro 
																			adiacente 
																			convento.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			prima, 
																			posta 
																			dov’era 
																			un 
																			tempo 
																			la 
																			sua 
																			sepoltura, 
																			porta 
																			incise 
																			queste 
																			parole: 
																			“Mendace 
																			riparazione/ 
																			di 
																			un 
																			delitto 
																			preordinato/ 
																			il 
																			sepolcro 
																			di/ 
																			MASANIELLO/ 
																			qui 
																			era/ 
																			fu 
																			tolto/ 
																			per 
																			mire 
																			politiche/ 
																			di 
																			un 
																			dispotico 
																			sovrano/ 
																			nel 
																			1799/ 
																			durante/ 
																			la 
																			Rivoluzione 
																			Partenopea”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			seconda, 
																			collocata 
																			nel 
																			corridoio 
																			principale 
																			del 
																			monastero 
																			dove 
																			Masaniello 
																			fu 
																			ammazzato, 
																			porta 
																			incise 
																			queste 
																			parole: 
																			“Umile 
																			pescivendolo/ 
																			nativo 
																			di 
																			Piazza 
																			Mercato/ 
																			e 
																			sguattero 
																			di 
																			questo 
																			convento/ 
																			MASANIELLO 
																			DI 
																			CICCO 
																			D’AMALFI/
																			
																			capitano 
																			generale 
																			del 
																			popolo 
																			napoletano/ 
																			dopo 
																			aver 
																			inutilmente 
																			/ 
																			levato 
																			la 
																			voce 
																			e le 
																			armi/ 
																			contro 
																			l’oppressore 
																			straniero/ 
																			per 
																			trame 
																			ordite 
																			dalla 
																			spergiuri 
																			viceré/ 
																			il 
																			duca 
																			d’Arcos/ 
																			QUI 
																			CADDE/ 
																			il 
																			16 
																			luglio 
																			1647. 
																			/ I 
																			Padri 
																			Carmelitani/ 
																			nel 
																			Centenario 
																			dell’Unità 
																			d’Italia”.
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Le 
																			due 
																			lapidi 
																			restituiscono 
																			dignità 
																			e 
																			onore 
																			a un 
																			personaggio 
																			ch’era 
																			stato 
																			col 
																			tempo 
																			degradato 
																			fino 
																			a 
																			divenire 
																			il 
																			suo 
																			nome, 
																			Masaniello, 
																			sinonimo 
																			di 
																			demagogo 
																			populista.
																			
																			
																			
																			
																			Da 
																			allora, 
																			da 
																			quando 
																			cioè 
																			nel 
																			1961 
																			sono 
																			state 
																			poste 
																			dai 
																			padri 
																			carmelitani 
																			queste 
																			due 
																			lapidi, 
																			una 
																			nella 
																			Chiesa 
																			del 
																			Carmine 
																			e 
																			l’altra 
																			nel 
																			convento, 
																			egli 
																			è 
																			tornato 
																			ad 
																			essere 
																			considerato 
																			un 
																			rivoluzionario 
																			riverito, 
																			ritenuto 
																			addirittura 
																			“nostro 
																			contemporaneo”, 
																			stando 
																			a 
																			quanto 
																			teorizza 
																			Benedetto 
																			Croce.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Secondo 
																			il 
																			filosofo:
																			
																			«Il 
																			bisogno 
																			pratico, 
																			che 
																			è 
																			nel 
																			fondo 
																			di 
																			ogni giudizio 
																			storico, 
																			conferisce 
																			a 
																			ogni 
																			storia 
																			il 
																			carattere 
																			di 
																			‘storia 
																			contemporanea’, 
																			perché, 
																			per 
																			remoti 
																			e 
																			remotissimi 
																			che 
																			sembrino 
																			cronologicamente 
																			i 
																			fatti 
																			che 
																			vi 
																			entrano, 
																			essa 
																			è, 
																			in 
																			realtà, 
																			storia 
																			sempre 
																			riferita 
																			al 
																			bisogno 
																			e 
																			alla 
																			situazione 
																			presente, 
																			nella 
																			quale 
																			quei 
																			fatti 
																			propagano 
																			le 
																			loro 
																			vibrazioni».
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			giudizio 
																			storico 
																			che 
																			deve 
																			ovviamente 
																			essere 
																			il 
																			risultato 
																			di 
																			una 
																			interpretazione 
																			corretta 
																			degli 
																			eventi 
																			e 
																			non 
																			finalizzato 
																			a 
																			indebiti 
																			scopi 
																			speculativi.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Le 
																			due 
																			lapidi 
																			volute 
																			e 
																			poste 
																			dai 
																			padri 
																			carmelitani 
																			ci 
																			tramandano 
																			il 
																			ricordo 
																			d’un 
																			ventisettenne 
																			di 
																			nome 
																			Tommaso 
																			Aniello, 
																			detto 
																			Masaniello, 
																			che 
																			l’11 
																			luglio 
																			1647 
																			fu 
																			nominato 
																			Capitano 
																			Generale 
																			del 
																			Fedelissimo 
																			Popolo 
																			Napoletano 
																			in 
																			seguito 
																			alla 
																			rivolta 
																			da 
																			lui 
																			capeggiata 
																			contro 
																			le 
																			gabelle, 
																			rivolta 
																			andata 
																			a 
																			buon 
																			fine.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Purtroppo 
																			appena 
																			cinque 
																			giorni 
																			dopo, 
																			esattamente 
																			il 
																			16 
																			luglio 
																			di 
																			quello 
																			stesso 
																			1647, 
																			festa 
																			della 
																			Madonna 
																			del 
																			Carmine, 
																			egli 
																			cercò 
																			con 
																			tutte 
																			le 
																			sue 
																			forze 
																			di 
																			difendersi 
																			dalle 
																			accuse 
																			di 
																			tradimento 
																			e di 
																			follia 
																			che 
																			l’avevano 
																			travolto. 
																			Ma 
																			non 
																			ottenne 
																			che 
																			minacce 
																			e, 
																			vistosi 
																			perso, 
																			si 
																			rifugiò 
																			nella 
																			Chiesa 
																			del 
																			Carmine, 
																			dove 
																			strappandosi 
																			i 
																			propri 
																			abiti 
																			fece 
																			il 
																			suo 
																			ultimo 
																			discorso 
																			al 
																			popolo 
																			che 
																			gli 
																			aveva 
																			voltato 
																			le 
																			spalle 
																			da 
																			quando 
																			si 
																			erano 
																			diffuse 
																			le 
																			infamanti 
																			calunnie 
																			su 
																			di 
																			lui.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			I 
																			padri 
																			carmelitani 
																			riuscirono 
																			a 
																			calmarlo 
																			e 
																			Masaniello, 
																			per 
																			consentire 
																			la 
																			ripresa 
																			della 
																			Messa 
																			da 
																			lui 
																			interrotta, 
																			se 
																			ne 
																			andò 
																			nel 
																			convento, 
																			dove 
																			percorrendo 
																			il 
																			corridoio 
																			principale 
																			fu 
																			raggiunto 
																			da 
																			uomini 
																			armati 
																			che 
																			lo 
																			ammazzarono 
																			con 
																			alcuni 
																			colpi 
																			di 
																			archibugio.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Decapitato, 
																			mentre 
																			il 
																			corpo 
																			fu 
																			gettato 
																			in 
																			un 
																			fosso 
																			non 
																			lontano 
																			dalla 
																			Chiesa 
																			del 
																			Carmine, 
																			la 
																			sua 
																			testa 
																			fu 
																			portata 
																			in 
																			giro 
																			per 
																			la 
																			città 
																			dopo 
																			essere 
																			stata 
																			mostrata 
																			al 
																			viceré 
																			Rodrigo 
																			Ponce 
																			de 
																			Leòn, 
																			duca 
																			d’Arcos.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Bastò 
																			tuttavia 
																			un 
																			brevissimo 
																			lasso 
																			di 
																			tempo 
																			perché 
																			diversi 
																			popolani 
																			si 
																			rendessero 
																			conto 
																			che 
																			con 
																			la 
																			morte 
																			di 
																			Masaniello 
																			le 
																			gabelle 
																			avevano 
																			immediatamente 
																			ripreso 
																			a 
																			salire 
																			e 
																			che 
																			la 
																			palata 
																			di 
																			pane, 
																			pur 
																			conservando 
																			lo 
																			stesso 
																			prezzo, 
																			era 
																			diminuita 
																			di 
																			peso. 
																			E 
																			non 
																			furono 
																			pochi 
																			quelli 
																			che 
																			compresero 
																			d’aver 
																			fatto 
																			un 
																			grande 
																			errore 
																			a 
																			credere 
																			veritiere 
																			le 
																			calunnie 
																			di 
																			tradimento 
																			e di 
																			follia 
																			ch’erano 
																			state 
																			diffuse 
																			per 
																			togliere 
																			a 
																			Masaniello 
																			il 
																			consenso 
																			del 
																			popolo 
																			ed 
																			eliminarlo 
																			fisicamente 
																			senza 
																			provocare 
																			una 
																			nuova 
																			rivolta.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Per 
																			l’acquisita 
																			consapevolezza 
																			di 
																			ciò 
																			ch’era 
																			davvero 
																			accaduto 
																			i 
																			più 
																			coscienziosi 
																			di 
																			loro 
																			si 
																			sentirono 
																			in 
																			dovere 
																			di 
																			andare 
																			a 
																			ripescare 
																			il 
																			suo 
																			cadavere 
																			nel 
																			fossato 
																			in 
																			cui 
																			era 
																			stato 
																			buttato, 
																			lo 
																			lavarono, 
																			gli 
																			congiunsero 
																			la 
																			testa 
																			che 
																			altri 
																			avevano 
																			recuperato, 
																			e a 
																			meno 
																			di 
																			due 
																			giorni 
																			dalla 
																			sua 
																			morte 
																			portarono 
																			il 
																			suo 
																			cadavere 
																			in 
																			giro 
																			per 
																			la 
																			città: 
																			una 
																			processione 
																			che 
																			ebbe 
																			fine 
																			in 
																			piena 
																			notte 
																			nella 
																			Chiesa 
																			del 
																			Carmine, 
																			dove 
																			il 
																			cadavere 
																			fu 
																			sepolto 
																			col 
																			consenso 
																			delle 
																			autorità 
																			per 
																			la 
																			“mendace 
																			riparazione 
																			di 
																			un 
																			delitto 
																			preordinato”, 
																			com’è 
																			scritto 
																			all’inizio 
																			della 
																			prima 
																			lapide.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			E là 
																			rimase 
																			fino 
																			alla 
																			repressione 
																			della 
																			Repubblica 
																			Napoletana 
																			del 
																			1799, 
																			quando 
																			Ferdinando 
																			IV 
																			tornato 
																			sul 
																			trono 
																			ne 
																			ordinò 
																			la 
																			rimozione.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Tommaso 
																			Aniello 
																			d’Amalfi, 
																			detto 
																			Masaniello, 
																			era 
																			nato 
																			a 
																			Napoli 
																			il 
																			29 
																			giugno 
																			1620 
																			in 
																			Vico 
																			Rotto 
																			al 
																			Mercato 
																			da 
																			Francesco 
																			d’Amalfi 
																			e 
																			Antonia 
																			Gargano. 
																			D’Amalfi 
																			è il 
																			suo 
																			cognome 
																			e 
																			non 
																			la 
																			città 
																			di 
																			provenienza, 
																			come 
																			ricercatori 
																			poco 
																			attenti 
																			avevano 
																			creduto 
																			e 
																			fatto 
																			credere. 
																			Ne 
																			fa 
																			testo 
																			il 
																			registro 
																			della 
																			Chiesa 
																			parrocchiale 
																			di 
																			Santa 
																			Caterina 
																			in 
																			Foro 
																			Magno, 
																			dove 
																			fu 
																			battezzato 
																			il 
																			giorno 
																			stesso 
																			della 
																			sua 
																			nascita. 
																			Ed è 
																			in 
																			questa 
																			chiesa 
																			che 
																			nel 
																			1641, 
																			quando 
																			aveva 
																			21 
																			anni, 
																			Masaniello 
																			sposò 
																			la 
																			sedicenne 
																			Bernardina 
																			Pisa.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Pescatore 
																			e 
																			pescivendolo 
																			come 
																			suo 
																			padre, 
																			Masaniello 
																			quando 
																			vendeva 
																			il 
																			pesce 
																			ai 
																			nobili, 
																			come 
																			il 
																			duca 
																			di 
																			Maddaloni 
																			Diomede 
																			Carafa 
																			e la 
																			marchesa 
																			di 
																			Brienza, 
																			glielo 
																			portava 
																			personalmente, 
																			cercando 
																			in 
																			tal 
																			modo 
																			di 
																			evitare 
																			di 
																			pagare 
																			le 
																			gabelle. 
																			Ma 
																			non 
																			sempre 
																			gli 
																			riusciva, 
																			per 
																			cui 
																			fu 
																			più 
																			d’una 
																			volta 
																			multato 
																			e 
																			addirittura 
																			arrestato.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ed è 
																			nel 
																			carcere 
																			del 
																			Grande 
																			Ammiraglio 
																			che 
																			ebbe 
																			modo 
																			di 
																			fare 
																			amicizia 
																			con 
																			il 
																			giovane 
																			dottor 
																			Marco 
																			Vitale 
																			di 
																			Cava 
																			dei 
																			Tirreni, 
																			figlio 
																			illegittimo 
																			del 
																			ben 
																			noto 
																			avvocato 
																			Matteo 
																			Vitale. 
																			Anche 
																			lui 
																			laureato 
																			in 
																			legge, 
																			diventò 
																			poi 
																			il 
																			suo 
																			segretario. 
																			E fu 
																			lui 
																			a 
																			fargli 
																			conoscere 
																			don 
																			Giulio 
																			Genoino, 
																			un 
																			vecchio 
																			sacerdote 
																			ultraottantenne 
																			da 
																			anni 
																			difensore 
																			del 
																			popolo, 
																			e 
																			alcuni 
																			borghesi, 
																			noti 
																			per 
																			essersi 
																			da 
																			tempo 
																			schierati 
																			contro 
																			i 
																			soprusi 
																			dei 
																			gabellieri 
																			e i 
																			privilegi 
																			dei 
																			nobili.
																			
																			
																			Marco 
																			Vitale 
																			morì 
																			anche 
																			lui 
																			nel
																			
																			1647. 
																			Uscito 
																			da Castel 
																			Nuovo dove 
																			aveva 
																			dormito, 
																			fu 
																			ucciso 
																			per 
																			strada 
																			a 
																			Porta Chiaia da 
																			un 
																			capitano 
																			della 
																			milizie 
																			spagnole.
																			
																			
																			
																			Don 
																			Giulio 
																			Genonio, 
																			insigne 
																			giurista 
																			oltre 
																			che 
																			sacerdote, 
																			nel 
																			1620 
																			fu 
																			destituito 
																			dal 
																			Consiglio 
																			Collaterale, 
																			in 
																			cui 
																			durante 
																			il 
																			vicereame 
																			di 
																			Pedro 
																			Téllez-Giròn, 
																			terzo 
																			duca 
																			di 
																			Osuna, 
																			era 
																			entrato 
																			a 
																			far 
																			parte 
																			ben 
																			due 
																			volte 
																			come 
																			rappresentante 
																			dei 
																			diritti 
																			del 
																			popolo.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Messo 
																			in 
																			galera 
																			lontano 
																			dalla 
																			città 
																			per 
																			aver 
																			tentato 
																			una 
																			sollevazione 
																			contro 
																			le 
																			gabelle 
																			eccessive 
																			e 
																			per 
																			ottenere 
																			di 
																			equiparare 
																			i 
																			diritti 
																			del 
																			popolo 
																			a 
																			quelli 
																			dei 
																			nobili, 
																			riottenne 
																			la 
																			libertà 
																			solo 
																			nel 
																			1639, 
																			quando 
																			tornato 
																			a 
																			Napoli 
																			organizzò 
																			un 
																			gruppo 
																			di 
																			agitatori, 
																			tra 
																			cui 
																			si 
																			distinsero 
																			il 
																			padre 
																			carmelitano 
																			Savino 
																			Boccardo, 
																			il 
																			dottor 
																			Marco 
																			Vitale, 
																			Francesco 
																			Antonio 
																			Arpaia, 
																			non 
																			pochi 
																			popolani 
																			detti 
																			lazzari 
																			e i 
																			capitani 
																			delle 
																			ottine, 
																			i 
																			seggi 
																			minori 
																			dei 
																			Sedili 
																			del 
																			Popolo 
																			della 
																			Città 
																			di 
																			Napoli.
																			
																			Fu 
																			insieme 
																			a Masaniello, 
																			di 
																			cui 
																			era mentore e 
																			consigliere, 
																			l’artefice 
																			della 
																			rivolta 
																			popolare 
																			del 
																			luglio 1647.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			I 
																			soprusi 
																			si 
																			attenuarono 
																			e le 
																			gabelle 
																			si 
																			abbassarono 
																			seppure 
																			lievemente 
																			solo 
																			dal 
																			1644 
																			al 
																			febbraio 
																			1646, 
																			periodo 
																			in 
																			cui 
																			era 
																			viceré 
																			Juan 
																			Alfonso 
																			Enriquez 
																			de 
																			Cabrera, 
																			che 
																			chiese 
																			al 
																			re 
																			di 
																			Spagna 
																			Filippo 
																			IV 
																			di 
																			essere 
																			sostituito 
																			quando 
																			da 
																			Madrid 
																			fu 
																			sollecitato 
																			a 
																			reperire 
																			con 
																			l’innalzamento 
																			delle 
																			gabelle 
																			un 
																			milione 
																			di 
																			ducati 
																			per 
																			finanziare 
																			la 
																			guerra 
																			della 
																			Spagna 
																			contro 
																			la 
																			Francia.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Al 
																			suo 
																			posto 
																			fu 
																			nominato 
																			Rodrigo 
																			Ponce 
																			de 
																			Leòn, 
																			duca 
																			d’Arcos, 
																			che 
																			non 
																			tardò 
																			a 
																			mettere 
																			in 
																			atto 
																			la 
																			richiesta 
																			del 
																			governo 
																			spagnolo 
																			di 
																			aumentare 
																			le 
																			tasse, 
																			reintroducendo 
																			una 
																			pesante 
																			gabella 
																			sulla 
																			frutta, 
																			colpendo 
																			in 
																			tal 
																			modo 
																			i 
																			ceti 
																			sociali 
																			più 
																			umili. 
																			Ciò 
																			che 
																			indusse 
																			don 
																			Giulio 
																			Genoino 
																			a 
																			preparare 
																			i 
																			suoi 
																			collaboratori 
																			a 
																			una 
																			rivolta, 
																			come 
																			quella 
																			da 
																			lui 
																			organizzata 
																			nel 
																			1620 
																			per 
																			la 
																			stessa 
																			gravosa 
																			gabella.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 7 
																			luglio 
																			1647, 
																			domenica, 
																			mentre 
																			ci 
																			si 
																			preparava 
																			ai 
																			festeggiamenti 
																			per 
																			la 
																			Madonna 
																			del 
																			Carmine, 
																			la 
																			cui 
																			chiesa 
																			e il 
																			suo 
																			convento 
																			erano 
																			divenuti 
																			luoghi 
																			di 
																			comizi 
																			popolari, 
																			Masaniello 
																			divenne 
																			il 
																			braccio 
																			armato 
																			di 
																			don 
																			Giulio 
																			Genoino 
																			e a 
																			capo 
																			di 
																			un’ampia 
																			schiera 
																			di 
																			rivoltosi 
																			da 
																			lui 
																			addestrati 
																			insorse 
																			contro 
																			il 
																			viceré 
																			distruggendo 
																			tutto 
																			ciò 
																			che 
																			apparteneva 
																			ai 
																			nobili 
																			e 
																			facendo 
																			alcune 
																			vittime 
																			al 
																			grido 
																			di: 
																			“Viva 
																			il 
																			Re 
																			di 
																			Spagna 
																			e 
																			mora 
																			il 
																			malgoverno”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Quattro 
																			giorni 
																			dopo, 
																			l’11 
																			luglio, 
																			giovedì, 
																			Masaniello 
																			al 
																			fianco 
																			del 
																			Cardinale 
																			Filomarino, 
																			di 
																			don 
																			Giulio 
																			Genonio 
																			e 
																			del 
																			nuovo 
																			eletto 
																			del 
																			popolo 
																			Francesco 
																			Antonio 
																			Arpaia, 
																			nipote 
																			di 
																			Genonio, 
																			percorse 
																			a 
																			cavallo 
																			tra 
																			la 
																			folla 
																			di 
																			popolani 
																			in 
																			festa 
																			le 
																			strade 
																			principali 
																			della 
																			città 
																			di 
																			Napoli 
																			fino 
																			al 
																			Palazzo 
																			Reale, 
																			dove 
																			incontrò 
																			lo 
																			sconfitto 
																			viceré 
																			Rodrigo 
																			Ponce 
																			de 
																			Leòn, 
																			duca 
																			d’Arcos, 
																			che 
																			dopo 
																			aver 
																			tentato 
																			invano 
																			di 
																			corrompere 
																			il 
																			giovane 
																			pescatore 
																			divenuto 
																			condottiero 
																			offrendogli 
																			ben 
																			duecento 
																			ducati 
																			al 
																			mese 
																			per 
																			tutta 
																			la 
																			vita, 
																			fu 
																			costretto 
																			suo 
																			malgrado 
																			a 
																			nominarlo 
																			“Capitano 
																			Generale 
																			del 
																			Fedelissimo 
																			Popolo 
																			Napoletano”. 
																			Titolo 
																			che 
																			Masaniello 
																			conservò 
																			solo 
																			per 
																			cinque 
																			giorni.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Dopo 
																			la 
																			morte 
																			e la 
																			sepoltura 
																			di 
																			Masaniello, 
																			il 
																			popolo 
																			napoletano 
																			riprese 
																			la 
																			sua 
																			agitazione 
																			in 
																			maniera 
																			spontanea 
																			e 
																			via 
																			via 
																			sempre 
																			più 
																			accanita. 
																			Tanto 
																			da 
																			costringere 
																			il 
																			viceré 
																			ad 
																			abbandonare 
																			la 
																			reggia 
																			e a 
																			rifugiarsi 
																			in 
																			Castel 
																			Nuovo, 
																			il 
																			Maschio 
																			Angioino, 
																			che 
																			venne 
																			munito 
																			di 
																			artiglieria. 
																			I 
																			successi 
																			ottenuti 
																			dai 
																			ribelli 
																			sfociarono 
																			presto 
																			nell’anarchia, 
																			per 
																			cui 
																			“tutti 
																			comandavano 
																			e 
																			nessuno 
																			obbediva”, 
																			come 
																			si 
																			legge 
																			in 
																			una 
																			cronaca 
																			dell’epoca. 
																			Si 
																			decise 
																			allora 
																			di 
																			ricorrere 
																			a un 
																			capo, 
																			come 
																			ai 
																			tempi 
																			di 
																			Masaniello. 
																			E la 
																			scelta 
																			cadde 
																			prima 
																			su 
																			Carlo 
																			della 
																			Gatta, 
																			principe 
																			di 
																			Monastarace, 
																			che 
																			si 
																			rifiutò 
																			dicendosi 
																			ammalato, 
																			e 
																			poi 
																			su 
																			Francesco 
																			Toraldo, 
																			principe 
																			di 
																			Massa, 
																			che 
																			non 
																			poté 
																			rifiutarsi 
																			anche 
																			lui, 
																			perché 
																			sua 
																			moglie 
																			era 
																			nelle 
																			mani 
																			dei 
																			ribelli 
																			come 
																			ostaggio.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Valendosi 
																			della 
																			sua 
																			autorità, 
																			Francesco 
																			Toraldo 
																			riuscì 
																			ad 
																			ottenere 
																			dalle 
																			due 
																			parti 
																			una 
																			tregua 
																			di 
																			cinquantatré 
																			ore. 
																			Nel 
																			frattempo 
																			il 
																			viceré 
																			duca 
																			d’Arcos 
																			cercò 
																			di 
																			proteggere 
																			il 
																			vecchio 
																			don 
																			Giulio 
																			Genonio, 
																			strumento 
																			prezioso 
																			per 
																			tenere 
																			a 
																			bada 
																			la 
																			plebe, 
																			ma 
																			anche 
																			perché 
																			il 
																			prete 
																			aveva 
																			capito 
																			ch’era 
																			importante 
																			distinguere 
																			la 
																			lotta 
																			per 
																			le 
																			riforme 
																			da 
																			azioni 
																			contro 
																			la 
																			Spagna. 
																			Ed è 
																			questa 
																			la 
																			ragione 
																			per 
																			cui 
																			don 
																			Giulio 
																			Genoino 
																			fu 
																			accusato 
																			dal 
																			popolo 
																			napoletano 
																			di 
																			fare 
																			gli 
																			interessi 
																			del 
																			viceré 
																			e di 
																			tradire 
																			le 
																			aspirazioni 
																			dei 
																			suoi 
																			concittadini.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Alla 
																			fine 
																			della 
																			tregua 
																			prevalse 
																			tuttavia 
																			il 
																			buonsenso 
																			e fu 
																			firmato 
																			un 
																			accordo 
																			di 
																			58 
																			punti 
																			tra 
																			il 
																			re 
																			di 
																			Spagna 
																			e il 
																			popolo 
																			napoletano, 
																			in 
																			cui 
																			era 
																			previsto 
																			anche 
																			l’esilio 
																			di 
																			don 
																			Giulio 
																			Genonio. 
																			Il 
																			sacerdote 
																			e 
																			giurista 
																			ultraottantenne 
																			su 
																			ordine 
																			del 
																			viceré 
																			duca 
																			d’Arcos 
																			fu 
																			imbarcato 
																			su 
																			un 
																			vascello 
																			diretto 
																			a 
																			Cagliari 
																			e da 
																			questa 
																			città, 
																			sempre 
																			sotto 
																			scorta, 
																			fu 
																			inviato 
																			a 
																			Malaga. 
																			Dove 
																			non 
																			giunse 
																			mai, 
																			perché 
																			per 
																			l’età 
																			avanzata, 
																			i 
																			malanni 
																			del 
																			corpo 
																			e 
																			quelli 
																			dell’anima 
																			morì 
																			durante 
																			il 
																			lungo 
																			viaggio 
																			e il 
																			suo 
																			cadavere 
																			fu 
																			sbarcato 
																			nel 
																			1648 
																			a 
																			Porto 
																			Mahòn, 
																			sull’isola 
																			di 
																			Minorca.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			1° 
																			ottobre 
																			1647 
																			apparve 
																			nel 
																			golfo 
																			la 
																			flotta 
																			spagnola 
																			comandata 
																			da 
																			don 
																			Giovanni 
																			d’Austria, 
																			figlio 
																			illegittimo 
																			del 
																			re 
																			Filippo 
																			IV. 
																			Tre 
																			giorni 
																			dopo 
																			dalle 
																			navi 
																			e 
																			dai 
																			castelli 
																			gli 
																			Spagnoli 
																			cominciarono 
																			a 
																			cannoneggiare 
																			la 
																			città. 
																			Gli 
																			insorti 
																			dal 
																			loro 
																			unico 
																			forte 
																			del 
																			Carmine 
																			risposero 
																			coi 
																			loro 
																			cannoni 
																			e le 
																			navi 
																			spagnole 
																			furono 
																			costrette 
																			a 
																			mettersi 
																			fuori 
																			tiro. 
																			 
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Francesco 
																			Toraldo 
																			ritenne 
																			opportuno 
																			trattare 
																			segretamente 
																			con 
																			gli 
																			Spagnoli, 
																			ma 
																			fu 
																			scoperto 
																			e 
																			decapitato 
																			per 
																			ordine 
																			del 
																			quarantatreenne 
																			Gennaro 
																			Annese, 
																			che 
																			si 
																			fece 
																			eleggere 
																			generalissimo 
																			al 
																			posto 
																			dell’ucciso.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			22 
																			ottobre 
																			1647 
																			il 
																			nuovo 
																			generalissimo 
																			annunciò 
																			pubblicamente 
																			la 
																			morte 
																			del 
																			Toraldo, 
																			proclamò 
																			la 
																			nascita 
																			della 
																			Repubblica 
																			e la 
																			rivolta 
																			assunse 
																			un 
																			marcato 
																			carattere 
																			antispagnolo. 
																			Gli 
																			scontri 
																			divennero 
																			sempre 
																			più 
																			violenti 
																			e 
																			durarono 
																			fino 
																			alla 
																			cacciata 
																			da 
																			Napoli 
																			delle 
																			truppe 
																			spagnole.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Scaltro 
																			com’era, 
																			il 
																			duca 
																			di 
																			Guisa 
																			non 
																			tardò 
																			a 
																			capire 
																			le 
																			insidie 
																			dei 
																			nobili 
																			messi 
																			da 
																			parte 
																			e 
																			l’impossibilità 
																			di 
																			potere 
																			raggiungere 
																			i 
																			suoi 
																			scopi 
																			col 
																			solo 
																			appoggio 
																			del 
																			popolo. 
																			Pensò 
																			dunque 
																			di 
																			attirare 
																			a sé 
																			almeno 
																			alcuni 
																			esponenti 
																			dell’aristocrazia, 
																			promettendo 
																			loro 
																			un 
																			intervento 
																			della 
																			flotta 
																			francese. 
																			Presto 
																			in 
																			provincia 
																			con 
																			lui 
																			si 
																			schierarono 
																			anche 
																			numerosi 
																			capibanda 
																			che 
																			conducevano 
																			una 
																			fortunata 
																			guerriglia 
																			contro 
																			i 
																			baroni 
																			e le 
																			sorti 
																			della 
																			loro 
																			lotta 
																			si 
																			volsero 
																			a 
																			suo 
																			favore. 
																			 
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			1° 
																			marzo 
																			1648 
																			al 
																			posto 
																			del 
																			duca 
																			d’Arcos 
																			la 
																			Spagna 
																			nominò 
																			viceré 
																			il 
																			conte 
																			d’Ognatte, 
																			un 
																			abile 
																			uomo 
																			politico. 
																			Il 
																			quale 
																			in 
																			poco 
																			più 
																			di 
																			un 
																			mese 
																			con 
																			l’aiuto 
																			di 
																			ex 
																			rivoltosi 
																			riuscì 
																			a 
																			far 
																			condannare 
																			di 
																			tradimento 
																			e a 
																			catturare 
																			il 
																			duca 
																			di 
																			Guisa 
																			che, 
																			impaurito 
																			dal 
																			malcontento 
																			generale, 
																			aveva 
																			dato 
																			ordini 
																			crudeli, 
																			facendo 
																			lavorare 
																			il 
																			boia 
																			sempre 
																			più 
																			assiduamente. 
																			E il 
																			5 
																			aprile 
																			1648, 
																			il 
																			giorno 
																			dopo 
																			la 
																			sua 
																			cattura, 
																			con 
																			l’arrivo 
																			degli 
																			Spagnoli 
																			venne 
																			proclamata 
																			solennemente 
																			la 
																			fine 
																			della 
																			Reale 
																			Repubblica 
																			Napoletana.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Due 
																			mesi 
																			e 
																			mezzo 
																			dopo, 
																			ed 
																			esattamente 
																			il 
																			22 
																			giugno 
																			1648, 
																			il 
																			generalissimo 
																			Gennaro 
																			Annese 
																			fu 
																			decapitato
																			
																			
																							
																							
																			 
																			
																			
																			