[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


contemporanea

SUL C.A.M.E.N.
QUANDO LA MARINA ITALIANA EBBE L’AMBIZIONE DEL NUCLEAR

di Davide Sansò

 

Per oltre un ventennio nella località di San Piero a Grado, una frazione di Pisa a metà strada tra la città e la costa del Tirreno, sorse quello che ufficialmente veniva indicato come un reattore di ricerca. Siamo a metà degli anni ’50, e il momento storico merita una piccola riflessione: l'Italia si trovava sulla linea del fronte tra Nato e Patto di Varsavia, e lo scontro silente tra le due superpotenze nucleari, ovvero Stati Uniti e Unione Sovietica, era all’apice; pertanto era necessario comprendere appieno quali fossero le intenzioni politicho-strategiche di ogni Paese alleato.

Tuttavia si trattava di un reattore a uso civile ed esportabile in Italia nello spirito della Conferenza di Ginevra del 1955, con possibili sviluppi di carattere militare. E fu proprio per quest’ultimo motivo, che nel 1958 il Ministero della Difesa lo acquistò dal Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari.

Le limitate conoscenze nel settore indussero a costituire un centro di studio e di sperimentazione, avvalendosi anche dell’esperienza e della capacità dei docenti universitari pisani. Fu così che nel 1956 nasce, all’interno del comprensorio dell’Accademia Navale di Livorno, il C.A.M.E.N. (Centro per le Applicazioni Militari dell’Energia Nucleare) segnalato da una targa di bronzo affissa alla parete e simboleggiato da uno scudo medioevale con al centro un atomo stilizzato e sulla corona la scritta: C.A.M.E.N.

Il personale operante all’interno della struttura era sia militare che civile, e a tal proposito è necessario menzionale il Prof. Tito Franzini, che fu il direttore del gruppo dei fisici che si occuparono dei progetti e degli sviluppi tecnologici in ambito militare all’interno della struttura.

Una stretta collaborazione fu inoltre stabilita con l’Istituto di Ingegneria Nucleare, allora diretto dal Prof. Lucio Lazzarino. Infatti, in quegli anni, diversi corsi di specializzazione in Ingegneria nucleare organizzati dall’Università di Pisa furono tenuti presso il Centro. La disponibilità di una attrezzatura così particolare e così rara, almeno per il nostro Paese, diede l’impulso per ricerche sull’applicazione dell’energia nucleare anche in altri settori, come quello medico e biologico. Oltre all’allestimento presso il Centro, di laboratori specializzati per la radioprotezione e per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti su cellule e tessuti viventi, furono organizzati anche corsi di Medicina nucleare presso la Clinica Medica dell’Università di Pisa.

Sempre all’interno del Centro vi era un simulatore di onda d'urto: si trattava di un cannone lungo dieci metri con una bocca di fuoco da settanta centimetri, esso testava su mezzi e materiali gli effetti di un'eventuale esplosione nucleare. Al centro vi era uno spiazzo, detto poligono, attrezzato per simulare il fall-out radioattivo sui carri armati, oltre a un laboratorio di radio patologia, che compiva esperimenti su cavie e primati per valutare gli effetti sanitari di una guerra nucleare.

Nello specifico il Centro era composto di tre divisioni nucleari così suddivise:
- la Divisione Difesa, costituita dalla Sezione Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti e dalla Sezione Sperimentazioni R-N;
- la Divisione Protezione Ambientale, costituita dalle Sezioni Fisica Sanitaria, Igiene delle Radiazioni, Controlli Radiometrici e Studi ed Emergenze R-N;
- la Divisione Reattore, costituita dalle Sezioni Reattore, Radioprotezione Impianti e Gestione Rifiuti Radioattivi e Decontaminazione.

Le tre divisioni “nucleari”, oltre a partecipare stabilmente a gruppi di lavoro costituiti in seno all’UNICHIM, UNICEN ed ENEA, fornirono consulenza legislativa e tecnica rappresentando il Ministero della Difesa presso Enti interministeriali; esse ebbero anche funzioni di consulenza concernenti argomenti riguardanti la protezione dai rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti o lo smaltimento di rifiuti radioattivi. In tutti questi laboratori si insediarono gruppi di ricerca di grandi enti come Eni Agip Nucleare, CNR, CNEN e industrie come FIAT, MONTEDISON, ENEL – CISE e, oltre al personale accademico dell’Università di Pisa, altri ancora provenienti dalle Università di Pavia, Bologna, Siena, Parma e Torino.
 
Il reattore in dotazione era un reattore sperimentale RTS-1 fornito dalla ditta americana Babcok& Wilcox del tipo “swimming pool”, della potenza di 5 megawatt, a cui corrispondeva un flusso di neutroni temici di circa 3x10 alla 13 neutroni/centimetro quadrato/secondo.

Il contenitore del reattore era costituito da una piscina in calcestruzzo baritico lunga 22 metri e profonda 9 metri, alla cui sommità vi erano le strutture per abbassare e operare sul reattore. Il core era composto da 21 elementi dei quali 19 contenenti uranio -235 e 4 barre di controllo.

Il reattore RTS-1 era stato progettato per prove di schermatura, per prove di irradiazione su materiali strutturali, misure di parametri nucleari, produzione di radioisotopi, etc.

La prima criticità avvenne il 4 aprile 1963 e la massima potenza fu raggiunta il 14 febbraio 1966; l’inizio dell’attività continuativa (24 ore su 24), avvenne il 3 aprile 1967 e proseguì ininterrottamente, salvo le interruzioni periodiche per la manutenzione previste dal Regolamento di Esercizio, fino al 7 marzo 1980 quando il reattore fu definitivamente spento.


 

Vista aerea del reattore
 


Targa identificativa del reattore RTS-1
 

La Marina Militare Italiana si interessò seriamente su un possibile impiego dell’energia nucleare nel campo della propulsione navale, sia di superficie che subacquea, impiego che necessitava dello sforzo di un Paese intero; e a tal proposito si rimandano le parole che furono pronunciate, qualche anno dopo l’avvio del progetto dall’allora Ministro della Difesa Giulio Andreotti, che alla Camera dei Deputati nel settembre 1963 dichiarò: «La costruzione del sommergibile atomico resta l'obiettivo finale a cui tutti dobbiamo cooperare».

Il progetto ebbe inizio il 16 giugno 1957, con la costruzione del primo anello di scafo del sommergibile "Guglielmo Marconi", presso i Cantieri Navali di Taranto, quale costruzione n. 170; ma solo due anni dopo, nel mese di Luglio 1959, il Ministro della Difesa Giulio Andreotti annuncia l'approvazione del governo per il progetto dell'S-521 “Guglielmo Marconi”, un sommergibile nucleare da attacco (SSN), quindi senza missili balistici, ma questo portò a un passo indispensabile per la successiva costruzione di veri SSBN.

La propulsione doveva essere affidata a un impianto nucleare ad acqua pressurizzata da 30 MW di potenza termica, derivato dal modello S5W della Westinghouse e studiato dal CAMEN, che alimentava due turbine (alta e bassa pressione) accoppiate a un diruttore. La potenza massima erogata sull'unico asse con elica a 5 pale era di 15.000 cavalli, cui doveva corrispondere una velocità massima continuativa di 30 nodi.

 

Fotografia dalla “Rassegna e Bollettino di Statistica del Comune di Taranto” di Novembre-Dicembre 1957,
che testimonia l'avvenuta impostazione, il 16 giugno 1957, del primo anello di scafo
del sommergibile "Guglielmo Marconi", presso i Cantieri Navali di Taranto.

 

La classe Marconi della Marina Militare Italiana doveva essere composta da due unità sottomarine d'attaccoa propulsione nucleare: la prima delle quali battezzata "Guglielmo Marconi" la seconda "Enrico Toti", anche se il nome della seconda unità non fu confermato, costruite entrambe presso Italcantieri (l’odierna Fincantieri).

Avvalendosi anche delle esperienze compiute dagli Statunitensi con il sottomarino sperimentale "Albacore", era stato progettato un sottomarino d'attacco a propulsione nucleare, che avrebbe dovuto avere un dislocamento in immersione di 3.400 tonnellate e una velocità massima in immersione di 30 nodi. La carena si presentava come un solido di riduzione (serie 58), che permetteva lo sviluppo di elevate velocità in immersione. La manovrabilità sarebbe stata assicurata da superfici di governo poppiere cruciformi (timoni orizzontali e verticali), mentre i timoni orizzontali di prora erano posizionati sulla falsatorre allo scopo di migliorare le prestazioni di sensori elettroacustici.

Quattro paratie stagne delimitavano il locale siluri (6 tubi da 533 su due file orizzontali da 3 con 30 armi di riserva), il compartimento destinato al controllo dell'unità e ai locali di vita (su 4 livelli), il compartimento reattore, il compartimento dell'impianto di distribuzione dell'energia elettrica e del sottostante gruppo diesel-generatore di emergenza, e, infine, il compartimento del gruppo propulsore e i due gruppi turbo-alternatori con una potenza unitaria di 1.800 kW.

La “bocca di fuoco” era costituita da ben sei tubi di lancio, oltre al progetto mai sviluppato definitivamente (si trattava di soli disegni e schemi) del missile balistico Alfa: milleseicento chilometri di gittata, l'equivalente italiano del missile Polaris della US NAVY, il tutto con una peculiarità che avrebbe sicuramente trasformato la capacità operativa della Marina Militare Italiana di quel periodo, ovvero dodicimila ore di autonomia in immersione.

Fu pertanto necessario,per la realizzazione del progetto, la collaborazione degli Stati Uniti d'America che, però, nel Luglio del 1963 rifiutarono di soddisfare le richieste italiane e quindi di fornire uranio e assistenza tecnica; sulla base di una legge che vietava il trasferimento all'estero di conoscenze e tecnologie nucleari utilizzabili a fini militari, e ad altri impedimenti non molto chiari di carattere politico. Il progetto venne quindi bloccato e infine abbandonato.

A tal proposito, è opportuno ricordare che vi era anche una “guerra strategica" tra le due super potenze dell’epoca, e un possibile trasferimento di tecnologia strategica all’Unione Sovietica tramite l’Italia era un errore da non potersi permettere da parte degli statunitensi; inoltre per lo sviluppo del progetto era prevista una spesa di trenta miliardi di lire dell’epoca, cifra che rendeva utopistico il proseguimento del progetto, date le difficoltà di bilancio delle FFAA.

DATI TECNICI:
- costruttore: Italcantieri
- ordine: luglio 1959
- dislocamento in emersione: 2.300 t
- dislocamento in immersione: 3.400 t
- lunghezza: 83 m
- larghezza diametro: 9,55 m
- propulsione: 1 reattore nucleare CAMEN (derivato dal Westinghouse S5W) da 30 MW di potenza termica e15.000 hp, un’elica a 5 pale
- velocità: 30 nodi
- armamento: siluri: 6 tubi da 533 su due file orizzontali da 3 con 30 siluri complessivi.

A oggi sono presenti due riproduzioni, uno presso palazzo Marina a Roma e l'altro presso la caserma “Scirè” di La Spezia.

 

Nella foto in alto si può notare lo schema del sommergibile S251 “Guglielmo Marconi,
in basso il modellino presente presso la caserma “Scirè” di La Spezia.


Agli inizi degli anni Ottanta, un riesame da parte del Ministero della Difesa delle esigenze nucleari delle Forze Armate porta alla determinazione di ridurre l’impegno in questo settore e quindi di bloccare di fatto l’attività principale del Centro.

Vengono quindi avviati studi per l’individuazione di nuove potenziali attività tecniche di interesse del Ministero della Difesa, verso le quali riconvertire il Centro. Dopo una laboriosa gestazione, il 13 luglio 1985 un apposito decreto del Ministero Difesa sancisce la nascita del C.R.E.S.A.M. (Centro Ricerche, Esperienze e Studi per Applicazioni Militari).

Il nuovo Centro, posto alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa, amplia la sua sfera di interesse verso nuovi settori: quali la Compatibilità Elettromagnetica, l’Optoelettronica e la Diagnostica dei Materiali; pur continuando a operare nel campo della Sicurezza e della Difesa Nucleare. È da ricordare l’impegno del Centro durante la tragedia di Chernobyl, che lo pone come punto di riferimento nazionale per la Protezione Civile.

Il 28 aprile 1994, con Decreto del Ministro della Difesa, viene quindi istituito il C.I.S.A.M. (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), ente di supporto per le Forze Operative, sempre alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il 20 gennaio 1998, infine, con il Decreto Ministeriale il C.I.S.A.M. passa alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Marina.

Interessante per comprendere al meglio quello che fu il progetto del C.A.M.E.N. per il personale operante è sicuramente il libro redatto dal Cav. Amerigo Vaglini, operatore del reattore RTS-1, e una menzione speciale merita la descrizione dell’ultima accensione effettuata prima della dismissione definitiva, riporto di seguito un estratto tratto proprio dal suo libro Il nucleare a Pisa” edito nel 2009:

«Il tozzo cilindro dell'edificio di contenimento spuntava appena sopra le cime dei pini. Sul fianco svettava il camino, l'unica uscita dell'aria contenuta all'interno. Tra le nubi si aprì un varco e il sole fioco illuminò la facciata a mattoncini blu del basamento quadrato. La pioggia discontinua minacciava tempesta e bagnava la tesa del cappello e i fregi sulle spalline dell'ufficiale che camminava solitario lungo il viale.
Era solo capitano di vascello, ma era il più alto in grado del centro. I suoi predecessori erano stati tutti generali o ammiragli. Il personale aveva afferrato immediatamente il senso di quell'avvicendamento e non l'aveva presa bene. Le guardie sotto la tettoia d'ingresso scattarono sull'attenti quando lo videro attraversare il piazzale. L'ufficiale, scuro in volto, passò senza degnarli.
All'interno si lasciò ispezionare con il contatore Geiger, le norme di sicurezza lo imponevano anche in entrata. Salì la scala metallica, attraversando i piani come i ponti di una nave fino al vestibolo del vano piscina. La porta si richiuse alle sue spalle e rimase per alcuni secondi nella camera di decompressione. Nelle orecchie sentì un lieve fastidio finché la porta successiva si aprì con un sibilo. La sala vasche gli ricordava la cupola di una cattedrale. Le pareti azzurre circolari, il tetto bombato e tutt'intorno il ballatoio del corridoio visitatori. Al centro la piscina. Ventidue metri di lunghezza e nove di profondità. Poteva contenere un palazzo di tre piani.
Una delle due estremità si allargava in una forma arrotondata e sopra poggiava immobile il carroponte. Sul corrimano un salvagente con la scritta "Galileo Galilei", come se fosse una nave e qualcuno potesse veramente cadere in acqua. L'ufficiale non ne aveva mai colto l'involontaria ironia.
Percorse il pavimento di linoleum rosso fino alla cabina di comando, una struttura di metallo e vetro che si affacciava sulla piscina. Il capoturno, in camice bianco, salutò l'ufficiale superiore. Avrà avuto meno di trent'anni. Capelli corti sulla nuca e scriminatura come tagliata con il bisturi.
"Siamo pronti", esclamò il giovane ufficiale.
Due pareti erano coperte di strumentazione. Quadranti a lancette, spie luminose, pulsanti, interruttori, manopole.
Alla consolle di comando era seduto un tecnico. Un altro fissava un rullo di carta che scorreva dietro un vetro. Il pennino tracciava una riga nera rettilinea.

 

"Procedete pure", ordinò l'ufficiale con voce diretta e autoritaria. Nel vano piscine si accese un lampeggiante. Il tecnico alla consolle azionò un interruttore. Una lancetta cominciò a ruotare lentamente. Il pennino sul rullo si mosse.
"Stiamo estraendo le barre di controllo" spiegò il capoturno, pentendosi subito di aver aperto bocca e di aver usato quel tono. Non si spiega a un superiore, tutt'al più si informa. Ma il tecnico sapeva bene perché avevano mandato lì quell'ufficiale, un militare di carriera senza nessuna competenza in campo nucleare.
Il capitano di vascello si avvicinò al vetro che dava sulla piscina. Tutta quella tecnologia lo metteva in soggezione.
Lui preferiva il mare, per questo era diventato ufficiale di marina. Sul pelo dell'acqua vide alzarsi le barre. Una spia luminosa sulla consolle si rifletté sul vetro.
"Reattore critico", dichiarò il tecnico che fissava il rullo. La voce tradiva una nota di emozione. Era iniziata la fissione dell'uranio contenuto nelle barre di combustibile dentro la piscina. Una luminescenza azzurrognola rischiarava l'acqua. L'effetto Cherenkov. Una luce che esiste solo dentro un reattore nucleare. Poche persone al mondo l'hanno vista, perché pochissimi sono i reattori a piscina aperta come l'Rts-1.
Ma l'ufficiale non condivideva l'entusiasmo dei suoi tecnici per quella visione. In fondo, per lui, era solo una luce blu.
"200 chilowatt in crescita", avvertì il tecnico alla consolle mentre muoveva rapido manopole e interruttori.
Sudava. Il pennino sul rullo sobbalzava. Sulla parete dietro si accesero le luci delle pompe. L'altro tecnico ruotò un paio di interruttori. L'acqua scaldata dalla fissione veniva ora estratta e portata allo scambiatore a fasci tubieri all'esterno dell'edificio.
"5 megawatt", dichiarò infine il tecnico. Era la massima potenza. Un rombo sordo proveniva dalla stessa struttura dell'edificio, come se una forza primordiale nelle viscere della Terra lo scuotesse.
Dallo scambiatore a un centinaio di metri dalla cupola si alzava una nube di vapore, quasi indistinguibile dal cielo plumbeo che la sovrastava.
Per ventiquattro lunghi minuti il reattore ruggì come una bestia ferita.
"Giù le barre!", ordinò infine il capoturno, con lo stesso tono con cui avrebbe ordinato di fare fuoco a un plotone di esecuzione. 
Aveva gli occhi bagnati di lacrime.
"Spento", fece il tecnico alla console dopo pochi secondi.
L'orologio a muro segnava le undici e nove minuti. Era il 7 marzo 1980. L'ultima accensione del reattore. La missione del tenente di vascello era chiudere le attività del centro.
Nessun'altra sperimentazione, nessun ulteriore studio o sviluppo. L'Italia aveva firmato il trattato di non proliferazione. Si era impegnata a cessare ogni ricerca nucleare in campo militare» (vaglini, 2009).

Difatto con Decreto Ministeriale del 13 luglio 1985 firmato dall’allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini, veniva soppresso il C.A.M.E.N. e sostituito con il Centro Ricerche Studi Applicazioni Militari (CRESAM), e forse con questo sogno svaniva anche la speranza di avviare uno studio serio e costruttivo sulla possibilità di sviluppare anche in Italia, come del resto è accaduto in diversi Paesi limitrofi, una possibilità di includere quella nucleare tra le fonti energetiche attualmente disponibili.
 
 
Riferimenti bibliografici:
 
A. VAGLINI, Il nucleare Pisa. CAMEN, CRESAM, CISAM, Quaderno di memorie storiche, Edizioni ETS, Pisa 2009.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]