[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


filosofia & religione

MARÍA ZAMBRANo

STORIA DI UNA FILOSOFA, PER UNA FILOSOFIA DELL’ANIMA

di Raffaele Pisani

 

Da una serie di articoli che vanno dagli anni Trenta agli anni Sessanta del Novecento, ora raccolti in due libri: Verso un sapere dell’anima e Per l’amore e per la libertà, abbiamo cercato di ricavare qualche spunto di riflessione sulla figura di María Zambrano.
 
Allieva di José Ortega y Gasset e di Xavier Zubiri, opera come saggista e come docente nella Spagna a partire dagli anni Trenta; l’avvento della dittatura franchista la porta a scegliere l’esilio, a Portorico e anche in Italia e in altri paesi europei, e solo nel 1984 rientrerà in patria.
 
La sua visione del mondo, che affonda le radici nella saggezza prefilosofica e si nutre della classicità letteraria, unisce intimamente il pensare con l’azione educativa. Tale unione a suo dire è essenziale perché il sapere che non si propone di raggiungere il cuore della persona resta arido razionalismo, d’altra parte un’educazione basata sulla sola spontaneità non è adeguata a far apprendere all’educando “il mestiere di uomo”.
 
Lo studio, i rapporti personali, la pedagogia, la politica: è su questi aspetti che si pone la riflessione dell’autrice, con una nutrita serie di scritti composti durante l’intero arco della sua lunga vita.
 
La rigidità del concetto contrapposta alla dinamicità dell’immagine e la razionalità che non riesce a comunicare con il sentimento generano mostri, la Zambrano si riferisce al Novecento ma il discorso vale pure per il presente. Per affrontare questo si rende necessaria una mediazione che passi attraverso l’anima, intesa in un senso globale tale da comprendere i vari aspetti dell’esistenza. Alla scelta unilaterale tra la luce della ragione e l’oscurità della caverna la Zambrano risponde con l’atteggiamento mediano di chi non rinuncia alla propria visceralità, al cuore, pur aprendosi al raggio di luce.
 
Viene raccontato che mentre all’Università stava seguendo una lezione sulle categorie aristoteliche, un raggio di sole sia penetrato attraverso la tenda determinando un chiarore che non ha eliminato la tenebra ma ha prodotto una penombra: metafora di un filosofare intimamente legato alla vita.
 
Così ebbe a scrivere lei stessa nel 1986 nella nota per una nuova edizione di Hacia un saber sobre el alma,in italiano Verso un sapere dell’anima: «In un attimo mi ritrovai, non tanto presa da un’illuminazione folgorante, quanto pervasa da qualcosa che si è sempre rivelato più adatto al mio pensiero: la penombra toccata dall’allegria. E allora, in silenzio – nella penombra, più che nella mente direi dell’animo, del cuore –, si dischiuse a poco a poco, come un fiore, la netta sensazione che non avevo forse alcun motivo per abbandonare la filosofia» (Zambrano 1996, p. 4). Così Maria Zambrano ha saputo congiungere ragione e passione, intelletto e cuore.
 
L’anima a cui l’autrice si riferisce non è descritta concettualmente ma richiamata con rapidi riferimenti alla storia della filosofia, della letteratura e il generale della cultura. Si esprime con un’essenzialità che presume un lettore abbastanza preparato e intuitivo: «“Tutto scorre”: scorre l’acqua del fiume, però il fiume stesso e il suo letto rimangono.È necessario che ci sia un percorso, e il percorso della vita è la verità. È indispensabile che un fiume abbia un letto, altrimenti non si avrebbe un fiume ma un pantano» (Zambrano 1996, p. 12). Questo per significare che la filosofia, come lei la intende, è argine alle passioni della vita, limita un disordinato espandersi ma proprio per questo ne guida il cammino.
 
Nel capitolo intitolato Una vita in crisi descrive con viva originalità la situazione novecentesca. Inquietudine, solitudine, oppressione speranza, ma pure credenze e idee vengono esaminate da un’angolazione particolare, che porta talvolta a conclusioni che hanno il sapore del paradosso. Lo fa ad esempio quando parla della schiavitù, da un lato vista come condizione dovuta a un potere oppressivo e dall’altro vista invece nella sublimità dell’amore.
 
La creatura umana, a differenza delle altre che abitano la terra, nasce incompleta, non pienamente inserita nel mondo e perciò anelante di trascendenza. Le religioni e le filosofie possono essere una risposta, ma bisogna porre molta attenzione.«La filosofia è stata tradizionalmente ragione, tentativo di rendere abitabile il mondo, sottraendo alle speranze umane il loro delirio per ottenere in cambio ciò che è possibile “la possibilità” di cui parla tanto la Filosofia e in cui ha forse il suo intimo significato» (Zambrano 1996, p. 98).
 
Quanto alla religione in generale, dice: «È vero, la Religione è stata depositaria tradizionalmente delle speranze umane, delle più imprescindibili, cioè delle più vere e viscerali» (Zambrano 1996, p. 98).
 
In ogni caso, guardando la storia del pensiero si constata come la separazione tra filosofia e religione non sia così netta, anzi in qualche caso i rispettivi compiti sembrano invertirsi. Il discorso della Zambrano è comunque volto alla filosofia ed è di questa che propone una riforma al fine di evitarne pericolose derive; se «entrare nella ragione (entrar en razòn)» è stato il compito iniziale della filosofia, ora che ci sono filosofie che hanno prodotto il delirio attraverso la ragione, «il risveglio è un entrare nella realtà (entrar in realidad)» (Zambrano 1996, p. 99).
 
Per la Zambrano il reale non coincide con il razionale; la constatazione del limite della ragione umana, l’accettazione del mistero e l’affascinamento per il bello che sfugge a ogni concettualizzazione ne fanno la differenza.
 
Nel secondo saggio Per l’amore e per la libertà, notiamo l’interesse che la Zambrano nutre per il discorso prefilosofico, per gli antichi saggi che si esprimevano con enigmi, per l’atteggiamento meravigliato di si trova fronte a una natura che genera tensione e muove gli animi. Leggendo questa seconda serie di articoli si coglie il suo intento di analizzare proprio questo dinamismo spirituale. Lontani dal voler essere sistematici e risolutivi, appaiono piuttosto volutamente incompleti, mettono in comunicazione con vari aspetti della realtà lasciando a chi li legge il piacere e il compito di approfondire. Nella sua prosa, indubbiamente rispettosa della razionalità, trova spazio anche un dire che di tanto in tanto si fa poetico.
 
Nel suo procedere parte da situazioni molto concrete che riguardano la società, in particolare i problemi dei giovani, nel suo divenire storico o anche il piccolo mondo dell’aula scolastica alle prese con i fenomeni della percezione, dell’attenzione e dell’apprendimento. Questa pluralità di prese di posizione lascia piuttosto spiazzato il lettore, che si chiede dove la filosofa voglia arrivare; alcune pagine più di altre risultano a tale scopo chiarificatrici.
 
Nella trattazione sulla “Vocazione del Maestro” tiene a precisare il suo punto di vista riguardo la filosofia moderna, dicendo che «a partire dal razionalismo moderno inaugurato da Cartesio, possiamo dire che la condizione umana è stata parecchio abbandonata dalla ragione» (Zambrano 2021, p. 100). Chiama in causa Hegel e Husserl come esempi di razionalismi che ignorano la realtà umana della persona, parla invece di Comte, Nietzsche e Kierkegaard come passaggi essenziali verso quella concezione, propria del suo maestro Ortega y Gasset, di Ragione Vitale. Afferma di trovarsi d’accordo su quello che lei considera comunque solo un punto di partenza «giacché la maggior fedeltà al maestro consiste nel continuare a pensare» (Zambrano 2021, p. 160).
 
Partendo dal maestro come figura per così dire universale, la Zambrano usa il medesimo termine per indicare colui che più degli altri l’ha aiutata nel suo cammino, il suo pensiero è il frutto di una conoscenza scaturita da un’intimità spirituale, destinata a scorrere con il passare delle generazioni da educatori a educandi.
 
Tornando al maestro in generale lei dice che il suo discorso, a differenza di quello del ricercatore che scrive saggi e trattati, che vivono una loro autonomia e sono destinati a una pluralità generica, interagisce con persone concrete in una determinata situazione della loro vita. Si può dire che non ha che fare con l’essere cristallizzato e pensato come ente ma piuttosto, come lo intendevano i primi filosofi della natura, come un venire alla luce e un differenziarsi.
 
La Vocazione è una chiamata alla quale è già seguita una risposta di assenso; un passivo: essere chiamato, essere vocato, che si trasforma in attività. La vocazione infatti è un addensarsi del soggetto nel sé più profondo per poi espandersi nell’azione a cui si sente chiamato. Quella principale del maestro è la mediazione. Intende Maestro nella sua accezione etimologica che lo fa derivare da magister, da magis, ciò che è di più che è maggiormente e che ha la funzione di mediare di liberare dall’ignoranza; questa, senza l’aiuto del maestro, rischia di trasformarsi in sorda aggressività. Lo dice mentre è a Roma negli anni che precedono il Sessantotto e che già vedono nell’ambiente universitario una messa in discussione del ruolo mediatore dell’insegnante.
 
Nel rapporto docente-discente, non limitato al campo strettamente scolastico, pare avere una visione tutto sommato piuttosto tradizionale riguardo i rispettivi ruoli, anche se questo non va inteso in modo rigidamente unilaterale. Dice infatti che l’educando è oggetto ma soprattutto soggetto della propria formazione. L’analogia che usa è quella del matrimonio cattolico, questo richiede la presenza del sacerdote che benedice l’unione, ma i ministri del sacramento sono gli sposi stessi: «Nel “sacramento” dell’educazione capita lo stesso che nel matrimonio:in verità, sono i contraenti ad amministrarlo, anche se sono guidati, benedetti e testimoniati. Se esiste solo l’educatore non c’è educazione possibile, se il primo educatore non è l’educando stesso» (Zambrano 2021, p. 159).
 
Durante ogni crisi, come quella che il mondo occidentale viveva nella metà del Novecento, emergono in tutta la loro evidenza quegli elementi della condizione umana che sempre erano stati presenti allo stato di latenza. Afferma la Zambrano che: «Speranza e necessità si configurano in modi differenti, creando la peculiare struttura di ogni cultura e di ogni epoca in ogni cultura» (Zambrano 2021, p. 126). Si tratta di due punti imprescindibili che si rapportano tra di loro dinamicamente potendo conseguire un’armonia oppure degenerare verso soluzioni estreme e fatali.
 
Le élites sono guidate nel loro agire dalla speranza, le masse dalla necessità; al grido di «libertà!» delle prime corrisponde quello di «pane!» per le seconde. Ma la realtà è più complessa e dinamica di questo schema dualistico: l’ideale elitario rimane sterile se non riesce a incarnarsi nella concretezza di una determinata situazione storico-sociale, d’altra parte anche l’azione scaturente dalla necessità si accompagna a una speranza che diventa ideale.
 
Educare per l’amore e per la libertà è fin dall’inizio anche un educare nell’amore e nella libertà, il sapere trasmesso senza amore chiude al vero dialogo, ancor più il sapere che pretende di imporsi sopprimendo in tal modo la libertà. L’uomo è l’unica creatura che abita la terra a cui la natura da sola non basta, se biologicamente è sottoposto alle sue leggi, c’è sempre un qualcosa che va oltre. Compito dell’uomo è questo continuo autotrascendimento; se nell’animale la costruzione di nidi e di tane si ripete in un ritorno circolare, l’homo faber, ancor prima dell’homo sapiens, edifica per i posteri e idealmente per l’eterno. «La vita umana è un viaggio verso la realtà, ma questo esige una morale che sostenga l’anima e indirizzi la volontà verso di essa, che tempri il cuore e la sensibilità come accade per ogni vocazione» (Zambrano 2021, p. 153).
 
Intravvista qua e là in alcuni dei suoi scritti, la venatura mistica del suo linguaggio è ben presente nella esposizione e interpretazione della Parabola Araba Sufi, dove descrive come sottili sensazioni siano veicolo che innalza la mente verso una sublime spiritualità. Due opere pittoriche vennero commissionate da un sultano a due gruppi, uno cinese l’altro bizantino, che dovevano operare senza contatti fra di loro; alla meravigliosa rappresentazione figurativa del primo corrispose un’azione di pulizia capace di mutare la parete prospiciente «in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva come in un mezzo più puro le forme sulla parete cinese» (Zambrano 2021, p.139).
 
Questo racconto, alla pari delle narrazioni bibliche e dei miti classici apre a molteplici interpretazioni, che l’autrice spiega lasciando tutto lo spazio per poter continuare autonomamente «poiché ogni capolavoro dello spirito – piccolo o grande che sia – è un racconto senza fine» (Zambrano 2021, p. 140).
 
Nell’impegnativo cammino verso una piena umanizzazione, si parte talvolta da situazioni di piatta banalità, che solo con una grande forza spirituale si può sperare di poter elevare.
 
Maria Zambrano è più affascinata dal biancore dell’una che dal dipinto dell’altra parete; in questa situazione anche un’opera mediocre resterebbe sublimata da questo mistico biancore: «Nulla è brutto se si guarda attraverso un altro mezzo più puro e più intellegibile» (Zambrano 2021, p. 139).
 


Riferimenti bibliografici:
 
Zambrano M., Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996.
Zambrano M., Per l’amore e per la libertà, Centro editoriale dehoniano, Bologna 2021.
Latouche S., La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]