ALL’INFERNO E RITORNO
La rinascita sportiva di Marc
Marquez
di Valerio
Acri
Il Mondiale 2025 della MotoGP
incorona nuovamente Marc Marquez a
distanza di sei anni dall’ultima
volta, e il trionfo del fuoriclasse
spagnolo ci consegna uno di quei
risultati sportivi ricchi di
sfumature esistenziali che per
questo vanno a incastonarsi nella
storia con più forza e significato.
Per riconquistare la corona della
MotoGP Marquez ha dovuto
attraversare un suo inferno
personale, e la vittoria sul
circuito giapponese di Motegi,
arrivata grazie a un secondo posto
in gara, ha voluto dire la chiusura
di un cerchio dentro il quale c’è
stato un po’ di tutto. Perché fino
al 2019 Marc era il dominatore
incontrastato delle due ruote e gli
oltre duemila giorni senza più
vincere sono stati per lui
l’offuscamento repentino e
inaspettato di una stella che arriva
molto vicina a eclissarsi per poi
incredibilmente tornare a
risplendere come un tempo.
Le porte degli abissi per il pilota
di Cervera si erano aperte nella
ghiaia di Jerez de la Frontera,
sbalzato violentemente dalla sua
Honda durante gli ultimi giri del
primo Gran Premio stagionale in una
Domenica pandemica dell’estate 2020,
quando anche il circus delle moto
era più o meno tornato alla
normalità dopo i mesi di lockdown.
La vera discesa agli inferi cominciò
però sei giorni più tardi quando,
sullo stesso circuito spagnolo,
Marquez si presentò in pista per
salire sulla moto nonostante la
frattura in tre parti dell’omero
destro appena ricomposta, dopo aver
inspiegabilmente ottenuto il via
libera dallo staff medico. Uno
slancio di ottimismo che diventa
peccato di presunzione e la caduta
verso il basso è drammaticamente
compiuta.
Dopo aver conosciuto solamente la
gloria con otto trionfi Mondiali in
undici stagioni di professionismo, a
partire dal 2020 Marquez inizia a
scoprire la sofferenza, passando
attraverso lunghe assenze dalle gare
e un totale di quattro operazioni,
l’ultima delle quali in Minnesota da
uno specialista che, come extrema
ratio, gli applica una placca
di titanio e una sfilata di chiodi
sul braccio martoriato per
correggere la rotazione innaturale
dell’omero e regalargli ancora una
possibilità di tornare a guidare una
moto.
La caduta libera dopo quello
sciagurato rientro affrettato sembra
finita ma il sentiero per la
risalita è lungo e tortuoso perché
la Honda che lo ha consacrato tra i
più grandi del motociclismo è nel
frattempo diventata una trappola,
incapace senza il suo pilota di
rimanere al passo con gli sviluppi
richiesti da uno sport in continua
evoluzione. Marquez è relegato a due
anni di anonimato mentre ad
attanagliarlo con i dubbi su un
completo recupero ci si mette anche
un principio di diplopia.
La possibilità di inseguire una
gloria ritrovata passa forzatamente
per la rinuncia ai milioni della
scuderia giapponese e la scelta di
una moto privata del team Ducati
Gresini, un mezzo non aggiornato
eppure veloce quanto basta per
consentirgli di tornare a sentirsi
ancora un pilota competitivo.
È una tappa intermedia per
ritrovarsi nel marzo 2025 in sella
alla Ducati ufficiale che, fin dal
primo weekend di gare in Thailandia,
sembra fatta apposta per farlo
tornare il pilota perfetto sulla
moto perfetta in quella che diventa
una cavalcata trionfale fino a
Motegi.
Gara dopo gara la Rossa GP25 nelle
mani di Marquez è imprendibile per
tutti, precisa in frenata, veloce in
percorrenza di curva e con poca
usura delle gomme. In Qatar il
numero 93 mette tutti in fila dopo
una cattiva partenza riscattando
l’ingenua caduta di Austin, al
Mugello stampa la 100.ma pole
position centrando la ottava
vittoria Sprint (la mini-gara del
sabato) su nove e la prova di forza
nella gara della Domenica è
impressionante perché dopo cinque
giri di lotta con il compagno Pecco
Bagnaia a colpi di staccate prende
il comando e vince in solitaria in
un circuito nel quale aveva vinto
una sola volta nel trionfale 2014 (l’anno
migliore della sua prima vita
motociclistica), caricato ancor più
dai fischi di una parte della
tribuna, retaggio di una controversa
e mai sopita rivalità con Valentino
Rossi.
Gomito basso, gamba aperta, massima
reattività alle perdite di aderenza,
gestione impeccabile della gomma
anteriore, oltre che al Sachsenring,
storico feudo dello spagnolo, la
Ducati di Marquez domina il weekend
austriaco di Ferragosto sul circuito
dello Spielberg e poi sull’inedito
tracciato ungherese del Balaton Park
mentre a Barcellona, dopo aver vinto
la Sprint, si accontenta del secondo
gradino del podio nella gara della
Domenica mettendo in mostra un
pilota ormai capace anche di gestire
la mentalità da all-in e
farsi bastare il gusto dolce della
vittoria senza inseguire
pericolosamente il sovrappiù.
Il successo settembrino a Misano,
con un guizzo a metà gara per
approfittare di un errore in frenata
dell’Aprilia di Bezzecchi, gli
consegna virtualmente il nono iride,
il settimo nella classe regina,
certificato aritmeticamente a Motegi
perché Marquez possa lasciarsi
andare a un pianto liberatorio e
davanti alle telecamere definirsi “una
persona in pace con sé stessa”.
Come recita la maglia celebrativa
indossata sul podio giapponese il
suo nono Mondiale è più di un numero,
diverso dal primo in assoluto del
2010 nella classe 125 oppure da
quello conquistato nel 2013 da
esordiente in MotoGP, perché dentro
c’è un’avventura umana con la quale
si può empatizzare magari anche
senza capire troppo di moto. La
vittoria di Marquez va oltre il
record di essere il campione più
longevo (nessun pilota era mai
riuscito a vincere un titolo dopo
sei anni), perché rappresenta la
capacità di risalire la china fino a
trovare un rifugio definitivo dai
rimorsi per una di quelle scelte
sbagliate che possono tarlarti la
mente per una vita intera.
Ritornato padrone della MotoGP,
Marquez può ragionevolmente pensare
di conquistare già la prossima
stagione il decimo Mondiale ma la
pace con sé stesso vale più di ogni
numero.