[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

195 / MARZO 2024 (CCXXVI)


attualità

Mar "Rosso fuoco"
La sfida degli Houthi al commercio globale
di Gian Marco Boellisi

 

Di tutte le conseguenze che l’invasione israeliana di Gaza ha avuto sul sistema internazionale, la crisi del Mar Rosso causata dagli Houthi yemeniti è risultata di gran lunga la più inaspettata. Portando ad un rapido panico delle principali potenze occidentali, gli attacchi alle navi mercantili transitanti attraverso il Mar Rosso hanno dimostrato ancora una volta in pochi anni quanto le principali rotte marittime siano cruciali per il mantenimento della società globale come la conosciamo oggi. Risulta quindi interessante capire il perché di questi attacchi ed in quale maniera essi possano influenzare gli equilibri geostrategici del Mediterraneo allargato e non solo.

 

Partiamo dal comprendere chi sono i protagonisti di questa storia. Con il termine Houthi si vuole indicare il movimento Ansar Allah, letteralmente dall’arabo “partigiani di Dio”. Il nome proviene dal primo esponente dell’organizzazione, Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūthī, ucciso dalle forze armate yemenite nel settembre del 2004. Il movimento nasce come gruppo politico armato nel nord dello Yemen riunendo sotto la sua bandiera principalmente zayditi, una confessione minoritaria dell’islam sciita. Il gruppo precursore degli Houthi nasce nel 1992 col nome di “Gioventù credente” all’interno del governatorato di Sa’ada, nel nord del paese. Il movimento si pone come obiettivo quello di far cessare la discriminazione degli zayditi all’interno dello Yemen, paese a maggioranza sunnita, per arrivare all’obbiettivo ultimo di rendere indipendente il nord.

 

Le tensioni con il governo centrale crescono negli anni fino ad arrivare ad un conflitto aperto con il regime di Ali Abdallah Saleh, dittatore dello Yemen dal 1990 al 2012. Gli scontri proseguono dal 2004 fino al 2010, concludendosi con un debolissimo cessate il fuoco. Nel 2011, in occasione delle primavere arabe, riprendono le manifestazioni in piazza e, ovviamente, in brevissimo si riaprono anche gli scontri contro le forze governative. Di lì a poco ha inizio quella che verrà conosciuta come Guerra Civile Yemenita la quale, insieme alla Guerra Civile Siriana, rappresenta ancora oggi una delle più grandi catastrofi umanitarie del nuovo millennio. Durante la guerra gli Houthi conquistano una fetta consistente del nord del paese, portando le forze governative ad una perenne fase di stallo.

 

Con il passare degli anni il conflitto yemenita si è sempre di più configurato come una “guerra per procura” tra potenze regionali. Infatti, gli Houthi sciiti sono sempre stati sostenuti dall’Iran, mentre le forze governative sunnite sono state supportate in primis dall’Arabia Saudita più una serie di paese appartenenti ad una Coalizione internazionale. Questi, nonostante il superiore grado tecnologico dei mezzi a propria disposizione, non sono riusciti a debellare gli Houthi dopo quasi dieci anni di guerra civile. Al contrario, gli Houthi sono arrivati a perpetrare attacchi usando droni kamikaze contro una delle più importanti raffinerie saudite appartenente alla compagnia Aramco ed a cacciare il neo presidente Hadi per farlo trasferire nella città portuale di Aden. Quindi tutto fuorché dei guerriglieri sprovveduti.

 

Nonostante lo scarso interesse dell’opinione pubblica mondiale nei confronti di questo conflitto, i riflettori si sono magicamente riaccesi sullo Yemen non appena gli Houthi hanno deciso di entrare a gamba (più o meno) tesa all’interno del conflitto israelo-palestinese. Infatti all’indomani dell’invasione israeliana di Gaza sono iniziati a susseguirsi una serie di attacchi alle navi mercantili transitanti dallo Stretto di Bab el-Mandeb, il quale conduce al Mar Rosso e da qui al Canale di Suez. Gli attacchi si sono verificati principalmente tramite l’utilizzo di droni o di missili da crocera, costringendo molte compagnie di trasporto ad optare per la circumnavigazione del continente africano, portando ad un aumento stratosferico dei costi e ad un allungamento abnorme dei tempi di consegna. È infatti importante ricordare come il 12% circa del commercio mondiale passi dal Canale di Suez. Nel mondo esistono 4 principali colli di bottiglia senza i quali il commercio globale potrebbe andare in crisi: lo Stretto di Malacca, il Canale di Suez, il Canale di Panama e lo Stretto di Hormuz. Gli Houthi, attaccando le navi mercantili, hanno de facto lanciato una sfida alla globalizzazione stessa.

 

Prova ne sia, non appena sono iniziati gli attacchi alle navi sia Stati Uniti sia Gran Bretagna hanno subito iniziato una campagna di bombardamenti di dubbia efficacia contro le postazioni degli Houthi in Yemen. Infatti i raid contro i mercantili non si sono fermati e non hanno sortito neanche alcun effetto le navi da guerra di svariati paesi occidentali schierate nello Stretto con lo scopo di proteggere le navi portacontainer. La sola idea di un attacco ad uno di questi colli di bottiglia è uno dei peggiori incubi a cui Washington potrebbe andare incontro in un momento storico così teso. Il processo di globalizzazione, e quindi lo status di prima potenza planetaria statunitense, si regge sul predominio dei mari, sia esso militare o commerciale. Provare ad intaccare la catena mondiale del commercio equivarrebbe a bloccare parzialmente questo predominio costruito negli ultimi 70 anni, e questo è qualcosa che Washington non si può e non vuole permettere.

 

Un’altra importante sfida è stata lanciata prendendo di mira un nuovo dominio sottovalutato finora dalla maggior parte degli analisti: quello dei cavi sottomarini. Infatti lo scorso 25 e 26 febbraio sarebbero stati danneggiati 4 degli almeno 15 cavi sottomarini che si trovano sui fondali del Mar Rosso. Questi sono essenziali per le reti internet ed in generale per le comunicazioni tra Europa, Asia e Africa. In particolare si tratterebbe dei cavi Europe India Gateway (EIG), Asia-Africa-Europe 1 (AAE-1), TGN Eurasia (TGN-EA) e un cavo dell’azienda SEACOM. La particolarità di questa contingenza è che gli Houthi non hanno rivendicato gli attacchi, anzi hanno smentito categoricamente qualsiasi coinvolgimento nel danneggiamento dei cavi a largo dello Yemen.

 

Il sabotaggio di queste infrastrutture non sarebbe critico solamente per alcuni paesi, ma potrebbe esserlo per interi continenti. Basti pensare a cosa potrebbe portare l’assenza di comunicazione per alcune ore tra le varie borse del mondo, così come banalmente alle transazioni finanziarie internazionali, al funzionamento di strutture sanitarie o ai flussi energetici da un paese all’altro. Collegando parti del globo estremamente distanti tra loro, è inevitabile che tali infrastrutture passino attraverso gli stretti strategici, rendendole quindi estremamente vulnerabili ed anche potenziali bersagli nel caso di un conflitto asimmetrico tra grandi potenze.

 

Ed è proprio qui che l’Iran entra potenzialmente in gioco. Oltre a fornire da anni armi, droni e missili, Teheran potrebbe aver fornito al movimento anche le attrezzature necessarie per effettuare un attacco sottomarino ai cavi presenti nei fondali. Gli Houthi di certo non possiedono mezzi tecnologici per raggiungere profondità così elevate e potrebbero aver effettuato l’azione di sabotaggio solamente se qualcuno dall’esterno avesse fornito loro le attrezzature necessarie. Un’azione similare tuttavia avrebbe un enorme potere destabilizzante. Infatti, per quanto l’Iran stia tentando negli ultimi anni di riguadagnare terreno a discapito degli Accordi di Abramo tra Israele e le varie potenze del Golfo, un attacco ai cavi sottomarini porterebbe il confronto strategico ad un livello superiore, tanto da innalzare la tensione dell’area ancora di più rispetto a quanto già sta succedendo a valle degli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Che siano stati gli Houthi o meno, se i cavi diventeranno un bersaglio al pari dei mercantili, le azioni di paesi come Arabia Saudita o degli stessi Stati Uniti e Gran Bretagna potrebbero raggiungere un ulteriore livello di escalation. Fattore decisamente non necessario in un’area già martoriata come il Medio Oriente odierno.

 

In conclusione, gli Houthi yemeniti stanno cercando in tutti i modi di supportare la causa palestinese danneggiando il commercio mondiale attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb. Per quanto possano tentare, è improbabile che le forze della Coalizione Internazionale riusciranno a fermare nel breve termine gli attacchi del movimento sciita, vista la grande esperienza degli Houthi in guerra asimmetrica ed azioni di guerriglia. Fa tuttavia riflettere come l’attuale crisi abbia riportato i riflettori su un conflitto che sembrava dimenticato dalla maggior parte dell’opinione pubblica mondiale e a cui, probabilmente, smetterà di interessare lo Yemen non appena il flusso dei commerci avrà ripreso il suo normale corso.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]