Muhammad, Sigillo dei profeti
Recensione DI Maometto, di
CLAUDIO Lo Jacono
di Andrea
Piscitelli
Il contesto
europeo di forte interazione
culturale, le ondate migratorie e la
rapida globalizzazione alimentano
forme di avversione nei confronti
della dignità e della libertà
dell'uomo. In particolar modo, i
movimenti di popolazioni causa da
conquiste militari, catastrofi
naturali, carestie, spinte
economiche e colonizzazioni sono
sempre esistiti, i fenomeni
migratori moderni, però, si
iscrivono nella cornice degli stati
nazionali e sono condizionati dalla
limitazione politica giuridica del
territorio che fa coincidere la
dicotomia cittadino/straniero con
quella di interno/esterno.
L'immagine dell'immigrato
rappresenta un'anomalia all'interno
dei contesti europei, in quanto o
viene integrato e assimilato, oppure
rischia di trasformarsi in un paria
, secondo la definizione offerta
dalla filosofa Hannah Arendt in
relazione agli essere umani senza
stato e senza diritti.
Tornando al concetto di repulsione e
di ostilità nei confronti
dell'immigrato, in questo senso
un'importanza peculiare viene
assunta dal fenomeno dell'islamofobia,
nella misura in cui la religione
islamica ei suoi fedeli diventano
oggetto di modelli interpretativi
fortemente stigmatizzanti. Per
rafforzare questa visione, emerge un
sondaggio del 2010 che mostra,
inequivocabilmente, che la
maggioranza degli immigrati in
Europa è legata alla fede islamica.
Questo riferimento, insieme a una
sovrastima del numero di immigrati,
ha generato una percezione non
aderente alla realtà dei fatti, in
cui i cittadini europei avvertono
una scarsa disponibilità e apertura
al mondo occidentale da parte dei
fedeli musulmani, generando così lo
stereotipo di una cultura islamica
come altamente incompatibile
rispetto ai valori di una società
secolarizzata e laica tipicamente
europea. Ovviamente, anche gli
attentati terroristici dell'11
settembre negli Stati Uniti,
seguiti, a distanza di poco tempo,
da quelli avvenuti a Madrid e Londra
e da tutta una serie di eventi che,
in particolar modo nel nostro
continente, hanno avuto come
protagonisti persone invariabilmente
identificate a partire dalla propria
religione, ci sembra aver riproposto
la questione dell'alterità nella
nostra società. Quindi, si è venuto
a creare lo stereotipo penalizzante
del credente musulmano che alimenta,
purtroppo, un sentimento d'odio nei
confronti di una intera comunità.
In questo quadro si condensano,
infatti, storie e immagini secolari
di guerre, odii, stermini,
dominazioni, rapporti conflittuali e
pregiudizi reciproci che hanno fatto
sì che si rinsaldassero, nel corso
dei secoli, rappresentazioni
simboliche dei diversi, o detti
“Altri”, e di Noi, in cui
proiettare, di volta in volta, paure
e ostilità, anche attraverso
immagini e propaganda. In merito al
concetto di “Altro”, la storica
Ottavia Niccoli, descrivendo il
rapporto nel corso del Cinquecento
tra cristiani ed ebrei, con
quest'ultimi che potrebbero essere
sostituiti con i fedeli musulmani,
ha definito il concetto di alterità
in questi termini: «essi apparivano
necessari al mondo cristiano […] in
quanto rappresentavano l'alterità
codificata e regolata, l'altro
mantenuto all'interno di una società
attenta ad annullare tutte le
alterità: un altro proprio accettato
perché assurto a simbolo e specchio
del rapporto con l'alterità, e di
conseguenza con la propria
identità». In altre parole, una
delle ragioni di questa persistenza
è da rinvenire in una sorta di
tendenza primitiva da parte delle
società, perlopiù europee, che,
attraverso la definizione
dell'Altro, costruiscono, negoziano
e cercano di stabilizzare o di
modificare le relazioni che
caratterizzano la loro vita sociale
e di dare senso agli individui e al
mondo che li circondano. La figura
dell'Altro, nel corso dei millenni,
ha assunto forme e sembianze
piuttosto variegate: lo straniero,
l'estraneo, l'immigrato, l'ebreo e,
infine, il musulmano.
Dunque, la percezione dello
straniero come minaccia e le
reazioni culturali che ne seguono
non costituiscono dei fatti naturali
o reazioni spontanee di comunità che
si sentono minacciate, «ma
costruzioni sociali complesse, in
cui gli elementi politici e quelli
mitologici […] sembrano prevalere
sugli elementi considerati
classicamente razionali come gli
“interessi”». In sostanza, questa
definizione di straniero, con
un'accettazione di minaccia, è
veicolata anche dagli attori
politici e dagli organi di stampa e
influenza, quindi,le percezioni di
senso comune e il punto di vista
della società. Si tratta, perlopiù,
di una forma di razzismo che non si
basa più sulla mitologia della
razza, bensì sulla differenza
culturale e, in questo caso,
religiosa. In sintesi, «riusciremo
mai a iniziare ad apprezzare e
valorizzare le differenze culturali,
etniche, religiose, e non meramente
a tollerarle, spianando la strada
alla consapevolezza che le diverse
eredità culturali sono fonti di
ricchezza in un mondo ormai
globalizzato?».
In virtù di questo contesto europeo
fortemente caratterizzato dalla
questione migratoria e dalla
conseguente islamofobia, è
fondamentale recensire un'opera,
pubblicata nel 2011, che si
concentra sulla figura che ha dato
vita alla religione musulmana:
Muhammad. Prima di dedicarci sulla
struttura interna e sulle profonde
riflessioni avanzate dall'autore, è
opportuno menzionare alcune
indicazioni biografiche di
quest'ultimo.
Claudio Lo Jacono si laureò nel 1970
con una tesi su Partiti e movimenti
politici in Irāq dalla fine delle
dominazione ottomana a Qāsem ,
nell'ambito dell'insegnamento di
“Storia dei partiti e movimenti
politici”. A solo un anno di
distanza, diventò redattore della
rivista «Oriente Moderno», e
attraverso una serie di rubriche su
Tunisia, Libia, Egitto, Sudan e
attraverso un'analisi molto efficace
sulla Resistenza palestinese, Lo
Jacono ottenne a ottenere visibilità
e successo, sino a ricoprire, nel
1977, la cattedra di “Storia e
Istituzioni Musulmane”
all'Università di Cagliari. Dal 1986
la sua vita avrebbe subito una
svolta, in quanto divenne titolare
della cattedra di “Islamistica” alla
facoltà di Scienze Politiche
dell'Istituto Universitario
Orientale di Napoli e, nel 1996,
divenne Direttore della rivista
pocanzi citata.
Nel suo periodo napoletano, in cui
ottenne di rinominare il corso
attraverso una sua proposta, ovvero
“Storia del Vicino Oriente
islamico”, pubblicò moltissime
opere, che tra l'altro sono state
tradotte in numerose lingue
straniere e che l'hanno consolidato
come uno dei massimi esperti in
questo settore di studi. Proprio nel
2011, anno in cui terminò anche il
suo percorso come docente ordinario,
Lo Jacono pubblicò Maometto , edito
da Laterza; un lavoro che mostra la
fondazione della religione islamica
attraverso la biografia del suo
profeta e attraverso un continuo
parallelismo teologico con figure
del passato, come Gesù, Abramo e
Mosè. In sostanza, Lo Jacono cerca
di rappresentare una religione,
quella musulmana, non come distante
da quelle occidentali, bensì come
molto simile e fortemente favorita
nelle pratiche quotidiane e nei riti
che ne sono scaturiti. Quindi, per
poter conoscere l'Altro risulta
fondamentale rileggere, con occhi
non pregiudiziali, la vita di un
uomo che ha posto le basi di quella
che, fino a oggi, è la religione con
più fedeli al mondo.
La struttura dell'opera prevede la
divisione in quattro
capitoli,partendo dalla descrizione
del territorio arabo, per poi si
proseguire successivamente con una
presentazione della biografia del
futuro profeta; infine, l'opera
termina con la costruzione dell'
Umma e la successiva vittoria ai
danni dei politeisti della Mecca e
con annesso pellegrinaggio intorno
alla Ka'ba , preludio
dell'occupazione della città che
sarebbe avvenuta un anno dopo, nel
630. Inoltre, Lo Jacono presenta
alla fine del testo una cronologia
degli eventi, un glossario e una
ricchissima bibliografia da cui
attingere ulteriori riferimenti per
approfondire il tema. I materiali
utilizzati dall'autore riguardano
fonti primarie, sia orali che
scritte, provenienti perlopiù
dall'universo arabofono, e una
letteratura secondaria
caratterizzata da una serie di
materiali scritti da studiosi
europei, in particolare tedeschi e
francesi.
La descrizione del territorio
arabico ha come obiettivo quello di
presentare una vastissima regione
divisa geograficamente da una zona
meridionale, contrassegnata da
popolazioni sedentarie e da
un'agricoltura possibile grazie alle
piogge e alle dighe artificiali
costruite, e da quella
settentrionale, caratterizzata,
invece, dalla presenza di beduini e
dalla presenza di forti divisioni
interne. Sulla scorta di questa
divisione, l'Arabia presentava
un'altrettanto frammentazione
religiosa; per quanto riguarda il
sud non si possiedono tantissime
informazioni, ma è possibile,
attraverso iscrizioni scolpite su
steli, affermare che adorassero
alcune divinità sia maschili che
femminili, ovvero un culto
politeista che i musulmani avrebbero
rinominato poi “Età dell'ignoranza”
e il cui centro culturale era
sicuramente la Mecca e una
costruzione cubica, detta Ka'ba , al
cui angolo sudorientale è infissa la
Pietra Nera, venuta dal cielo.
Inoltre, l'autore rimarca, in questo
primo capitolo, l'importanza della
presenza in queste zone di ebrei e
cristiani, con i primi che si
stabilirono nella penisola in tempi
diversi; agli inizi, si trattò di
una progressiva presa di possesso
delle zone semidesertiche e poi si
stanziarono al sud, lungo la via
carovaniera. In tal senso, una
testimonianza del rapporto tra ebrei
e arabi meridionali è presente
nell'Antico Testamento. Nel corso
delle generazioni, le comunità
ebraiche, pur mantenendo la loro
religione, sembrano si fossero
mescolate e assimilate con la
popolazione araba locale, tanto che,
leggendo le cronache del VII secolo,
sono in molti a frequentare chiesti
se si trattasse di ebrei arabizzati
o viceversa. Al credo giudaico si
riferivano anche numerose comunità
del Nord-Ovest le quali, attraverso
matrimoni misti, avrebbero assorbito
le strutture sociali locali,
contraccambiando, al contemporaneo,
con soddisfacenti dosi di
sensibilità spirituale.
Sulla diffusione del Cristianesimo
nella penisola araba si sa poco, ma
si può asserire al fatto che ci
fossero importanti comunità sparse
in diverse città come Tà'if, Mecca e
Yàthrib. L'aspetto più importante
riguarda la forte influenza
riscontrata nella costruzione della
dottrina islamica; infatti alcune
comunità giudeo-cristiane del Nord,
in forte contrapposizione con la
visione paolina, pensavano che Gesù
fosse un uomo di straordinaria
energia profetica, carismatica e
taumaturgica ma che non fosse
incarnazione divina. Il Gesù del
Corano, non a caso, può fare
miracoli, nascere da una vergine, e
perfino emergere incolume dal
complotto ebraico per ucciderlo, ma
siccome Allah è uno, non può essere
Allah o suo figlio. Inoltre, non è
un mistero che Muhammad avesse un
profondo rispetto verso la comunità
cristiana presente nell'attuale
Yemen e, infine, in ultima battuta,
sembra che fosse stato proprio un
Bahira , termine che indica un
ecclesiastico, a intravedere nel
piccolo Muhammad i segni della
profezia che si sarebbe palesata al
mondo decenni più tardi. Di contro,
non bisogna pensare che le altre
culture non abbiano influenzato il
credo islamico; difatti, la
penetrazione persiana nella
costruzione amministrativa, politica
e militare fu imponente. Da questa
prima analisi emerge palesemente una
visione di forte condivisione,
naturalmente non sempre costruttiva,
tra le tre fedi monoteiste.
Sulla scorta di quest'ultima
riflessione, cercando di tracciare
il profilo biografico di un profeta,
Lo Jacono presenta tutte le
complessità nel presentare racconto
figura, in quanto la tradizione
islamica tende a valorizzare i
poteri sovrannaturali di Muhammad.
Prima di presentare le analogie e di
analizzare i luoghi comuni e gli
stereotipi creati dal mondo
occidentale, è bene ricordare quali
sono le fonti primarie utilizzate
per la stesura della biografia del
profeta. Il primo riferimento per
qualsiasi storico dell'Islam che
intende occuparsi di Muhammad è Ibn
Ishāq, ovvero il primo biografo del
profeta, sebbene il documento sia
stato adattato da Ibn Hishām, altro
biografo, al fine di eliminare tutte
le dimensioni umane del profeta. Un
altro riferimento è sicuramente la
Sunna del profeta, che racchiude
tutte le notizie raccolte e
tramandate alle generazioni
successive riguardanti Maometto.
Unità di misura della Sunna è il
hadìth , ossia le singole
testimonianze che accennano alle
decisioni prese dal profeta, ma
anche alle azioni, ai comportamenti,
alle opinioni e perfino ai suoi
gusti culinari.
Naturalmente, come ricorda Lo Jacono,
tutte queste fonti sono
apologetiche, in sostanza cercano di
elevare la figura e l'immagine del
profeta e, inoltre, non sono state
le uniche utilizzate dagli storici.
Infatti, per via delle carenze delle
fonti scritte, Lo Jacono opta, come
tanti altri studiosi, anche per
l'uso di fonti orali, anche se ciò
significa imbattersi in incongruenze
e attestazioni non aderenti alla
realtà dei fatti che spesso si
rintraccia, non a caso, nel hadìth .
Come si può notare, non si è
presentato sin da subito il Corano,
adattamento della parola araba Qur'àn
che significa « lettura », in quanto
la sua struttura non è articolata in
un arco temporale e, per la maggior
parte del testo, non si preoccupa
del contesto o delle persone alle
quali viene rivelato; infatti, non a
caso, il nome di Muhammad ricorre
solo quattro volte nel testo. Questo
non significa che Lo Jacono non
abbia ricavato informazioni dal
Corano, anzi spesso impiega la
traduzione italiana del testo
compiuta da Alessandro Bausani,
nonché suo docente, ma questa
precisazione serve a rimarcare che
quell'immagine stereotipata, che
mette in relazione costantemente il
Corano alla figura del profeta, è
del tutto errata, dato che Muhammad
ebbe il compito di rivelare e non
ispirare la volontà divina di Allah.
Di Muhammad gli storici musulmani
non possono vantare con certezza
assoluta la data di nascita, ma la
stragrande maggioranza degli
studiosi propende per il fatto che
alla morte, nel 632, il profeta
aveva sessantatré anni; quindi, di
conseguenza, si è soliti fissare la
nascita tra il 569 e il 570. Nacque
dall'unione di Abd Allāh e Āmina, di
cui il padre, che il profeta non
avrebbe mai conosciuto per via di
una morte precoce, discendente dai
potenti Quraysh, sebbene la potenza
economica di questa famiglia,
intorno al 570, fosse transitata
saldamente nelle mani di un'altra
famiglia, quella dei Hāshim. Questo
contesto familiare, rammenta Lo
Jacono, ricorda molto quello di
Gesù, ossia nato, quest'ultimo, in
un umile ricovero di pastori a
Betlemme ma discendente dalla regale
famiglia di Davide.
Durante l'infanzia e l'adolescenza
Muhammad fu assistito e seguito
costantemente da figure femminili,
di cui si ricordano, in particolare,
Fākhita bt. Abī Tālib, Umm Hakīm
al-Baydā e Halīma. La prima, Fākhita,
nonché sua cugina, era molto
affezionata a Muhammad, tanto che si
prospettava un matrimonio, che gli
esperti chiamano «matrimonio
preferenziale», ma che non ebbe
luogo per via della volontà del
padre di lei, Abū Tālib, il quale
non voleva che si sommassero due
situazioni economiche gracili
all'interno della stessa famiglia;
inoltre, Fākhita fu una delle prime
convertite alla fede islamica, una
testimonianza del forte legame
venutosi a creare. Umm Hakīm,
invece, era sua zia e probabilmente
sorella, o addirittura gemella del
padre del profeta. Anch'essa si
convertì subito ed ebbe un ruolo
fondamentale durante gli anni
difficili del postulato del nipote.
Infine, vi è Halīma che, secondo una
tradizione consolidata, fu scelta
dalla madre del profeta, Āmina,
affinché ricoprisse il ruolo di
balia. Il loro rapporto fu così
forte che, in alcune fonti, si narra
che Muhammad la chiamava
affettuosamente «mamma». Inoltre,
secondo l'esegeta Tabarī, il primo
incontro tra il «Sigillo dei
profeti» e due esseri, probabilmente
gli arcangeli Gabriele e Michele,
avvenne proprio quando il piccolo
Muhammad alloggiava all'umile dimora
di Halīma. Da questa prima
presentazione si può desumere un
ruolo molto importante ricoperto
dalle donne, una testimonianza che
quella retorica occidentale sul
ruolo del genere femminile nella
storia dell'Islàm non rispecchia
interamente la funzione avuta da
queste donne. In aggiunta, se si
vuole abbattere tale stereotipo, si
può fare riferimento, come indica Lo
Jacono, a un'altra donna, forse la
più importante per il profeta,
Khadīğa.
I due si conobbero poiché la donna
propone a Muhammad di diventare suo
agente e, nel giro di poco tempo,
anche grazie alle capacità
mercantili e al grandissimo carisma
del profeta, Khadīğa si convince a
sposarlo. La sua figura ricopre un
doppio ruolo; infatti, se da un lato
il loro amore è testimoniato da
ventiquattro anni di matrimonio e
dalla nascita di molti
figli,avvalorato anche da una
volontaria monogamia malgrado la
diffusissima poliginia dell'epoca,
dall'altro questa donna fu la prima
a convertirsi e ad accettare la
prime rivelazioni avute dal marito,
affermando che non si trattava di
ğinn , come pensava il marito, bensì
di Nāmūs , ovverosia il nòmos , la
Parola di Allah.
Da rilevare, inoltre, che Khadīğa
interpellò Waraqa b. Nawfal,
indicato nelle fonti come cristiano
o come hanīf . Quest'evento viene
considerato dalla dottrina islamica
come “La Rivelazione”, ossia il
momento in cui l'arcangelo si palesò
per la prima volta al profeta,
mentre quest'ultimo si era recato,
per via di alcuni strani fenomeni
futuri che lo avevano interessato,
sul monte Hirā, a pochi chilometri
fuori dalla Mecca, affinché
ritrovasse una serenità interna.
Quindi, la figura di Khadīğa
testimonia ancor di più il ruolo
centrale ricoperto dalla donna nella
fondazione della religione islamica
e, rifacendosi alla discendenza del
profeta, potrebbero addirittura dire
che fu la sua ultima figlia, Fātima,
sposandosi con Alī, cugino di
Muhammad, a dare seguito alla grande
dinastia, con i figli al-Hasan e
al-Husayn.
Continuando a ripercorrere le
vicende coniugali di Muhammad, che
ci aiutano a capire il vero ed
effettivo ruolo della donna nella
cultura islamica, si giunge alla
figura di Āisha. Nel 620, stando a
fonti abbastanza certe, il profeta
decise di sposarsi con Sawda bt. Zam
e con Āisha. Quest’ultima fu spinta
nelle braccia del profeta dal padre,
Abū Bakr, affinché diventasse il
suocero del «Sigillo dei profeti».
La figura di Āisha ci aiuta a
decostruire una delle tante accuse
mosse nei confronti del profeta,
quella della pedofilia. Infatti,
secondo una tradizione antislamica
la fanciulla avrebbe avuto circa
nove anni quando fu portata
nell’abitazione del profeta; di
contro, Lo Jacono, incrociando delle
fonti posteriori alla biografia di
Muhammad, in particolare Ibn Ishāq,
afferma che la fanciulla non poteva
avere meno di tredici anni. In
questo caso, ovviamente, l’autore
non cerca di giustificare dei
rapporti sessuali tra un uomo, che
in quel periodo aveva circa
quarantaquattro anni, e una
ragazzina di tredici anni,
ma,siccome uno dei compiti di uno
storico è quello di
contestualizzare, allora risulta
insensato attuare il nostro sistema
di valori etici e morali a un
passato molto lontano sia nel tempo
che nello spazio. Un esempio molto
efficace è sicuramente quello di
Maria, madre di Gesù, la quale,
stando anche alla stessa Chiesa,
avrebbe messo al mondo suo figlio
all’età di quattordici anni, essendo
quindi rimasta gravida all’età di
tredici. Questa riflessione,
naturalmente, condanna quelle
pratiche, ancor oggi largamente
diffuse, che obbligano molte bambine
a sposarsi alla sola età di nove
anni.
Le mogli di Muhammad, che, da come
si può dedurre, risultano utili
storiograficamente per rigettare
alcuni cavalli di battaglia dei più
acerrimi nemici dell'Islàm, erano
costrette a portare un hiğāb durante
la lettura di versetti coranici.
Naturalmente, poiché il termine
usato pocanzi rimanda sia al velo
che alle accuse dei moltissimi
detrattori, questo tema merita
qualche riflessione. In primis , il
termine hiğāb rimanda a quel velo
che veniva utilizzato nelle case
islamiche per separare gli ambienti
delle donne e quello degli uomini;
invece, il termine che rimanda al
velo atto a nascondere il volto
femminile era il khimār che era già
largamente utilizzato nell'Arabia
preislamica. Si deve, inoltre,
ricordare che l'uso del velo non è
prescritto dal Corano, ma si tratta
di una consuetudine di una Legge
scritta successivamente. In
aggiunta,si può riscontrare
nuovamente un riferimento biblico,
questa volta nel Nuovo Testamento,
in cui Paolo di Tarso, memore del
suo passato, raccomodava alle donne
l'uso del velo. L'autore attraverso
due passi delle sūre XXIV e XXXIII
decostruisce l'uso religioso del
velo e afferma che l'utilizzo, assai
diffuso oggigiorno, sia frutto di
una costruzione antropologica e
sociale, seppur voluto fortemente
dai dotti esponenti del clero
musulmano.
Dopo questa digressione sul ruolo
delle donne nella prima fase
dell'istituzionalizzazione
dell'Islam, è giunto il momento di
concentrarci su alcuni aspetti che
testimoniano la grande vicinanza tra
le tre grandi religioni monoteiste.
Infatti, Lo Jacono sottolinea come
nell'attività proselita Muhammad
affermava che Allah era onnisciente
e onnipotente, misericordioso con
chi si assoggettava completamente
alla sua volontà e severo nel punire
i trasgressori, proprio come lo YHVH
antico testamentario.
Fondamentalmente, una divinità che,
al pari del Dio cristiano, avrebbe
fatalmente sgretolato la pace
familiare e sociale della Mecca
politeista, il cui benessere, come
detto nella prima parte, era basato
sui commerci e sulle cerimonie
religiose. Sulla scorta di questa
riflessione, si possono trarre due
informazioni, la prima riguardante
il contesto della città chiamata in
causa e la seconda riguardante la
costruzioni dottrinaria dell'Islam.
Dunque, relativamente al commercio e
alle cerimonie politeiste interne
alla Mecca, il profeta fu molto
attivo sia attraverso un'azione
predicatoria, a cui i Quraysh
decisero di rispondere
allontanandosi quando cominciava a
parlare e inducendo gli altri a fare
lo stesso, sia attraverso una serie
di battaglie, che caratterizzarono
tutti gli anni Venti del VII secolo.
Ovviamente, i riferimenti bellici
rimandano al 624, anno in cui ci fu
lo scontro svolto a Badr che
determinò una grande vittoria
musulmana e, successivamente, al
625, in cui i due eserciti si
scontrarono nuovamente, questa volta
a Uhùd, con annessa vittoria meccana,anche
se non schiacciante. Infine,
l'ultimo riferimento è l'anno 627,
preludio della vittoria musulmana,
in quanto i meccani giunsero alle
porte di Medina, la vecchia Yàthrib,
con un numero elevatissimo di
uomini, ma fu tutto inutile perché
l'attacco si ruppe davanti a una
trincea scavata dai medinesi. Dopo
questa serie infinita di scontri,
nel 629, Muhammad entrò alla Mecca
per il pellegrinaggio intorno alla
Ka'ba .
La seconda riflessione riguarda un
pilastro dei cinque atti culturali
dell'Islam, ossia la salāt . In
merito il «Sigillo dei profeti»
avrebbe detto: «l'Islam è basato su
cinque [fondamenti]: la šahāda
(professione di fede), la salāt
(preghiera), la zakāt (elemosina
rituale), il hağğ (pellegrinaggio
alla Mecca) e il digiuno ( saum )
del mese di Ramadān».In sostanza, la
preghiera, o meglio conosciuta come
orazione canonica, era una delle
parziali novità apportate
dall'Islam. Difatti, al pari
dell'Ebraismo, la salāt non pretende
che si attuino i complessi movimenti
per puro convenzionalismo, bensì per
ansiosa volontà di obbedire a un
preciso ordine di Allah, evitando di
trasgredirne la volontà e di far
macchiare di una colpa non veniale
chiunque voglia e deve essere
assoggettato al volere divino. Il
numero di preghiere fu fissato a
cinque al giorno, periodi
determinati dall'apparente corso del
sole, e possono compiersi dovunque
in quanto Muhammad avrebbe detto:
«Tutta la terra è una moschea».Tra
gli elementi che rendono la salāt
molto simile alle preghiere
cristiane e giudaiche, forse
l'elemento del sangue risulta quello
più emblematico in quanto può
invalidare la preghiera. Esso,
infatti, è veicolo di vita, il
sangue è carico di sacralità da
contaminare l'essere umano qualora
ne entri in contatto, obbligandolo a
effettuare il previsto lavacro.
Questo pilastro della dottrina
islamica ci permette di parlare di
una disputa ancora in atto tra gli
islamisti ei dantisti. Infatti,
secondo una tradizione, si sostiene
che le precise indicazioni
riguardanti la salāt fossero state
fornite al profeta dall'arcangelo
Gabriele già al momento delle
primissime rivelazioni, mentre un
altro hadìth sposta quel momento
informativo a margine di un
miracoloso viaggio notturno e alla
successiva ascesa al cielo di
Muhammad. Quest'ultimo episodio, che
corrisponde alla sura XVII, fu
ripreso dalla cultura cristiana
medievale, attraverso una traduzione
in lingue volgari presenti nella
Spagna islamica, una delle quali
tradotte in dialetto toscano. Dante
probabilmente meno il contenuto di
quel viaggio notturno del profeta,
soffermandosi sul percorso che aveva
portato Muhammad a fronteggiare i
gironi infernali in cui i dannati
erano sottomessi a un abbozzo di
contrappasso, passando poi per i
sette Cieli, con ciò che essi
includevano. Dalla lettura di questo
passo, Dante ne trasse un grande
vantaggio, quello dell'impianto
narrativo, a cui però va aggiunto il
grande estro poetico dello scrittore
fiorentino. Ovviamente, questo
provocò una feroce polemica, ricorda
Lo Jacono, tra i dantisti e coloro i
quali avevano osato parlare di quel
debito formale contratto dal sommo
poeta.
Tornando alla vita del profeta,
simultaneamente alla formazione
della dottrina islamica, si
svilupparono, come si è presentato
in precedenza, degli scontri con i
pagani della città meccana e con
tutti i loro alleati, tra cui vi
erano anche delle comunità
giudaiche. Questa fase di confronto
bellico è spesso riproposta dalla
propaganda occidentale per parlare
di uno dei temi più in voga di
questi ultimi decenni: la ğihād .
Anche personaggi di spicco
dell'epoca moderna contribuirono
alla diffusione di questo concetto,
su tutti si ricordano lo zwingliano
Bibliander, che tradusse il Qur'àn
in latino, e Voltaire, noto
antislamista. A tale accusa è
difficile contrappore una tesi
accettabile e veritiera, dato che,
ricorda l'autore, è la stessa
tradizione islamica ad aver coniato
la frase secondo cui «il paradiso è
all'ombra delle spade».
La ğihād ha avuto un ruolo centrale
nella conquista della penisola araba
e, inoltre, è difficile negare la
centralità che fino ad oggi ha
conservato quest'aspetto. Tutto è
testimoniato dal fatto che, dopo
l'entrata alla Mecca e la creazione
di un vasto impero nel giro di pochi
secoli, il mondo islamico non si
sarebbe fatto mai promotore e
creatore di messaggi di pace, se non
alle sue precise condizioni. Ma,
anche in questo caso, non si può
parlare di una contro parte
occidentale che, invece, si sia
sempre elevata a paladina della
pace, ovviamente riferendosi sia ai
secoli passati che ai nostri giorni.
Infatti, se si pensa al contesto
ebraico, basandoci sugli scritti
antico testamentari, si possono
rilevare grandissime figure di
profeti che intrapresero le
cosiddette guerre “sante” e che, non
impropriamente, vennero definiti
guerrieri o condottieri. Così come
per la storia cristiana che vide
l'istituzionalizzazione del bellum
iustum , ossia una norma che offriva
il pretesto ai vescovi e, in alcuni
casi, ai pontefici di poter avanzare
dichiarazioni, sempre con la
giustificazione che si trattava di
una volontà divina.
Dopo aver presentato alcuni temi dei
primi tre capitoli e aver deciso,
volontariamente, di non analizzare
eventi che ovviamente ricoprono un
ruolo centrale nelle dinamiche della
fondazione dell'Islam, è giunto il
momento di discutere degli ultimi
aspetti presenti nell'ultima sezione
dell'opera. L'ultimo capitolo del
libro in questione si sofferma sugli
ultimi anni di vita del «Sigillo dei
profeti», periodo in cui l'azione
bellica, fortemente caratterizzata
anche da una oculata diplomazia,
come testimoniano il Rescritto di
Medina e il trattato di Hudaybiyya,
fece da fulcro centrale nelle
dinamiche interne alla penisola
arabica. Ancora una volta, Muhammad
si dimostrò molto abile nel non
modificare, almeno inizialmente, le
pratiche e gli usi delle popolazioni
politeiste. Di questo capitolo è
significativo segnalare l'arrivo
alla Mecca, avvenuto l'11 gennaio
630 con diecimila uomini al suo
fianco, che segnò la fine di
un'epoca.
Altrettanto fondamentale è
evidenziare come Muhammad, una volta
giunto alla Ka'ba , scelse di
eliminare ogni riferimento al
politeismo meccano, ma di
risparmiare tutte le immagini di
Abramo, Gesù e di sua madre. Questa
scelta testimonia, inoltre, quanto
siano legati le tre religioni
monoteiste, non solo per ragioni di
discendenza ma soprattutto per via
della venerazione di figure
profetiche condivise.
Gli ultimi anni della sua vita
furono contrassegnati da gioie
dovuti dall'aver portato a termine
il progetto che Allah gli aveva
assegnato, ma anche da dolori causa
sia da continue emicranie che da
gravi perdite, in particolare del
figlio Ibrāhīm, concepito con sua
moglie Māriya. Così, tornato a
Medina, il profeta cadde preda di
violente emicranie e di un malessere
generale, interpretato da uno dei
suoi biografi, Tabarī, come
probabile sintomo di pleurite. A
nulla servirono le cure effettuate,
che forse non fecero altro che
peggiorare la situazione, così
Muhammad morì l'8 giugno del 632
nelle braccia dell'adorata Āisha.
L'opera di Claudio Lo Jacono, appena
recensita, dona la possibilità di
discutere di alcuni temi proposti
già in parte nella prima sezione di
questo lavoro. Il primo spunto di
riflessione riguarda proprio l'islamofobia,
in quanto, in Italia, questo
fenomeno non ha riscontrato
l'attenzione dei mass media e
nemmeno dell'opinione pubblica,
nonostante il nostro paese sia al
centro delle tratte migratorie.
Queste mancate riflessioni nel
contesto italiano provocano dovute
conseguenze: la prima è che, non
essendoci un particolare interesse
da parte del cittadino, gli studi ei
lavori sulla nascita dell'Islàm e
sui secoli successivi scarseggiano,
avvantaggiando così tutti i
detrattori che trovano una strada
spianata per poter attaccare con
stereotipi antiislamici.
La seconda conseguenza, strettamente
collegata alla prima, è che invece
gli studiosi, come Lo Jacono e
Bausani, sono stati costretti ogni
volta, nelle loro opere, a
decostruire e smantellare attraverso
vaste digressioni tali accusano
xenofobo e, quindi, a concentrarsi
poco sulle vicende storiche dei
protagonisti, come nel caso del
libro appena recensito. Ovviamente,
non si tratta di una critica verso
il lavoro, ma dimostra come ci sia
bisogno di una fitta rete di
studiosi che, attraverso una serie
di collaborazioni, facciano in modo
che questi lavori siano in numero
maggiore e che, anche con l'ausilio
dei mass media , si dimostri
effettivamente che nelle società
moderne esista una valenza plurale e
ibrida, composta anche, in buona
parte, da fedeli islamici. Tornando
sui cosiddetti “punti deboli”
dell'opera, si può riscontrare una
certa concertazione di informazioni
racchiuse in poche pagine, anche se,
su quest'ultimo aspetto, l'autore
non nasconde la finalità di tale
lavoro. Infatti, Lo Jacono non si
pone come obiettivo finale quello di
presentare una biografia completa di
Muhammad, ma cerca di mostrare i
tratti salienti della sua vita
affinché il lettore resti colpito e
incuriosito da tali informazioni e
che, quindi, decida di approfondire
l'argomento, anche mediante la vasta
bibliografia proposta alla fine del
testo.
In ultima battuta, i “punti di
forza” sono molteplici:
innanzitutto, parla la vita
accademica di Claudio Lo Jacono,
presentata all'inizio di questo
lavoro, che mostra un'impeccabile
formazione e la totale padronanza
dell'argomento; altro elemento che
rende la lettura scorrevole è la
grande maestria nell'esposizione e,
in alcuni tratti, la volontà di
romanzare la biografia del profeta,
che aiuta, e non poco, a rendere un
argomento, molto complesso, fruibile
a qualsiasi lettore. Dal punto di
vista storiografico, l'opera, pur
non essendo vastissima, racchiude
ogni aspetto e, talvolta, curiosità
sulla vita di un profeta,
riferimento che spesso non si trova
nei lavori su personaggi relativi
alla storia del cristianesimo,
utilizzando un gran numero di fonti
primarie, perlopiù di origini arabe,
e di fonti secondarie di ampio
respiro europeo. In conclusione,
risulta essere un'opera consigliata
a chiunque voglia cimentarsi nello
studio della cultura islamica,
partendo da chi ha fatto in modo che
tutto nascesse: Muhammad.
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