[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 206 / FEBBRAIO 2025 (CCXXXVII)


filosofia & religione

Muhammad, Sigillo dei profeti
Recensione DI Maometto, di CLAUDIO Lo Jacono

di Andrea Piscitelli


Il contesto europeo di forte interazione culturale, le ondate migratorie e la rapida globalizzazione alimentano forme di avversione nei confronti della dignità e della libertà dell'uomo. In particolar modo, i movimenti di popolazioni causa da conquiste militari, catastrofi naturali, carestie, spinte economiche e colonizzazioni sono sempre esistiti, i fenomeni migratori moderni, però, si iscrivono nella cornice degli stati nazionali e sono condizionati dalla limitazione politica giuridica del territorio che fa coincidere la dicotomia cittadino/straniero con quella di interno/esterno. L'immagine dell'immigrato rappresenta un'anomalia all'interno dei contesti europei, in quanto o viene integrato e assimilato, oppure rischia di trasformarsi in un paria , secondo la definizione offerta dalla filosofa Hannah Arendt in relazione agli essere umani senza stato e senza diritti.


Tornando al concetto di repulsione e di ostilità nei confronti dell'immigrato, in questo senso un'importanza peculiare viene assunta dal fenomeno dell'islamofobia, nella misura in cui la religione islamica ei suoi fedeli diventano oggetto di modelli interpretativi fortemente stigmatizzanti. Per rafforzare questa visione, emerge un sondaggio del 2010 che mostra, inequivocabilmente, che la maggioranza degli immigrati in Europa è legata alla fede islamica. Questo riferimento, insieme a una sovrastima del numero di immigrati, ha generato una percezione non aderente alla realtà dei fatti, in cui i cittadini europei avvertono una scarsa disponibilità e apertura al mondo occidentale da parte dei fedeli musulmani, generando così lo stereotipo di una cultura islamica come altamente incompatibile rispetto ai valori di una società secolarizzata e laica tipicamente europea. Ovviamente, anche gli attentati terroristici dell'11 settembre negli Stati Uniti, seguiti, a distanza di poco tempo, da quelli avvenuti a Madrid e Londra e da tutta una serie di eventi che, in particolar modo nel nostro continente, hanno avuto come protagonisti persone invariabilmente identificate a partire dalla propria religione, ci sembra aver riproposto la questione dell'alterità nella nostra società. Quindi, si è venuto a creare lo stereotipo penalizzante del credente musulmano che alimenta, purtroppo, un sentimento d'odio nei confronti di una intera comunità.

In questo quadro si condensano, infatti, storie e immagini secolari di guerre, odii, stermini, dominazioni, rapporti conflittuali e pregiudizi reciproci che hanno fatto sì che si rinsaldassero, nel corso dei secoli, rappresentazioni simboliche dei diversi, o detti “Altri”, e di Noi, in cui proiettare, di volta in volta, paure e ostilità, anche attraverso immagini e propaganda. In merito al concetto di “Altro”, la storica Ottavia Niccoli, descrivendo il rapporto nel corso del Cinquecento tra cristiani ed ebrei, con quest'ultimi che potrebbero essere sostituiti con i fedeli musulmani, ha definito il concetto di alterità in questi termini: «essi apparivano necessari al mondo cristiano […] in quanto rappresentavano l'alterità codificata e regolata, l'altro mantenuto all'interno di una società attenta ad annullare tutte le alterità: un altro proprio accettato perché assurto a simbolo e specchio del rapporto con l'alterità, e di conseguenza con la propria identità». In altre parole, una delle ragioni di questa persistenza è da rinvenire in una sorta di tendenza primitiva da parte delle società, perlopiù europee, che, attraverso la definizione dell'Altro, costruiscono, negoziano e cercano di stabilizzare o di modificare le relazioni che caratterizzano la loro vita sociale e di dare senso agli individui e al mondo che li circondano. La figura dell'Altro, nel corso dei millenni, ha assunto forme e sembianze piuttosto variegate: lo straniero, l'estraneo, l'immigrato, l'ebreo e, infine, il musulmano.

Dunque, la percezione dello straniero come minaccia e le reazioni culturali che ne seguono non costituiscono dei fatti naturali o reazioni spontanee di comunità che si sentono minacciate, «ma costruzioni sociali complesse, in cui gli elementi politici e quelli mitologici […] sembrano prevalere sugli elementi considerati classicamente razionali come gli “interessi”». In sostanza, questa definizione di straniero, con un'accettazione di minaccia, è veicolata anche dagli attori politici e dagli organi di stampa e influenza, quindi,le percezioni di senso comune e il punto di vista della società. Si tratta, perlopiù, di una forma di razzismo che non si basa più sulla mitologia della razza, bensì sulla differenza culturale e, in questo caso, religiosa. In sintesi, «riusciremo mai a iniziare ad apprezzare e valorizzare le differenze culturali, etniche, religiose, e non meramente a tollerarle, spianando la strada alla consapevolezza che le diverse eredità culturali sono fonti di ricchezza in un mondo ormai globalizzato?».

In virtù di questo contesto europeo fortemente caratterizzato dalla questione migratoria e dalla conseguente islamofobia, è fondamentale recensire un'opera, pubblicata nel 2011, che si concentra sulla figura che ha dato vita alla religione musulmana: Muhammad. Prima di dedicarci sulla struttura interna e sulle profonde riflessioni avanzate dall'autore, è opportuno menzionare alcune indicazioni biografiche di quest'ultimo.

Claudio Lo Jacono si laureò nel 1970 con una tesi su Partiti e movimenti politici in Irāq dalla fine delle dominazione ottomana a Qāsem , nell'ambito dell'insegnamento di “Storia dei partiti e movimenti politici”. A solo un anno di distanza, diventò redattore della rivista «Oriente Moderno», e attraverso una serie di rubriche su Tunisia, Libia, Egitto, Sudan e attraverso un'analisi molto efficace sulla Resistenza palestinese, Lo Jacono ottenne a ottenere visibilità e successo, sino a ricoprire, nel 1977, la cattedra di “Storia e Istituzioni Musulmane” all'Università di Cagliari. Dal 1986 la sua vita avrebbe subito una svolta, in quanto divenne titolare della cattedra di “Islamistica” alla facoltà di Scienze Politiche dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli e, nel 1996, divenne Direttore della rivista pocanzi citata.

Nel suo periodo napoletano, in cui ottenne di rinominare il corso attraverso una sua proposta, ovvero “Storia del Vicino Oriente islamico”, pubblicò moltissime opere, che tra l'altro sono state tradotte in numerose lingue straniere e che l'hanno consolidato come uno dei massimi esperti in questo settore di studi. Proprio nel 2011, anno in cui terminò anche il suo percorso come docente ordinario, Lo Jacono pubblicò Maometto , edito da Laterza; un lavoro che mostra la fondazione della religione islamica attraverso la biografia del suo profeta e attraverso un continuo parallelismo teologico con figure del passato, come Gesù, Abramo e Mosè. In sostanza, Lo Jacono cerca di rappresentare una religione, quella musulmana, non come distante da quelle occidentali, bensì come molto simile e fortemente favorita nelle pratiche quotidiane e nei riti che ne sono scaturiti. Quindi, per poter conoscere l'Altro risulta fondamentale rileggere, con occhi non pregiudiziali, la vita di un uomo che ha posto le basi di quella che, fino a oggi, è la religione con più fedeli al mondo.

La struttura dell'opera prevede la divisione in quattro capitoli,partendo dalla descrizione del territorio arabo, per poi si proseguire successivamente con una presentazione della biografia del futuro profeta; infine, l'opera termina con la costruzione dell' Umma e la successiva vittoria ai danni dei politeisti della Mecca e con annesso pellegrinaggio intorno alla Ka'ba , preludio dell'occupazione della città che sarebbe avvenuta un anno dopo, nel 630. Inoltre, Lo Jacono presenta alla fine del testo una cronologia degli eventi, un glossario e una ricchissima bibliografia da cui attingere ulteriori riferimenti per approfondire il tema. I materiali utilizzati dall'autore riguardano fonti primarie, sia orali che scritte, provenienti perlopiù dall'universo arabofono, e una letteratura secondaria caratterizzata da una serie di materiali scritti da studiosi europei, in particolare tedeschi e francesi.

La descrizione del territorio arabico ha come obiettivo quello di presentare una vastissima regione divisa geograficamente da una zona meridionale, contrassegnata da popolazioni sedentarie e da un'agricoltura possibile grazie alle piogge e alle dighe artificiali costruite, e da quella settentrionale, caratterizzata, invece, dalla presenza di beduini e dalla presenza di forti divisioni interne. Sulla scorta di questa divisione, l'Arabia presentava un'altrettanto frammentazione religiosa; per quanto riguarda il sud non si possiedono tantissime informazioni, ma è possibile, attraverso iscrizioni scolpite su steli, affermare che adorassero alcune divinità sia maschili che femminili, ovvero un culto politeista che i musulmani avrebbero rinominato poi “Età dell'ignoranza” e il cui centro culturale era sicuramente la Mecca e una costruzione cubica, detta Ka'ba , al cui angolo sudorientale è infissa la Pietra Nera, venuta dal cielo. Inoltre, l'autore rimarca, in questo primo capitolo, l'importanza della presenza in queste zone di ebrei e cristiani, con i primi che si stabilirono nella penisola in tempi diversi; agli inizi, si trattò di una progressiva presa di possesso delle zone semidesertiche e poi si stanziarono al sud, lungo la via carovaniera. In tal senso, una testimonianza del rapporto tra ebrei e arabi meridionali è presente nell'Antico Testamento. Nel corso delle generazioni, le comunità ebraiche, pur mantenendo la loro religione, sembrano si fossero mescolate e assimilate con la popolazione araba locale, tanto che, leggendo le cronache del VII secolo, sono in molti a frequentare chiesti se si trattasse di ebrei arabizzati o viceversa. Al credo giudaico si riferivano anche numerose comunità del Nord-Ovest le quali, attraverso matrimoni misti, avrebbero assorbito le strutture sociali locali, contraccambiando, al contemporaneo, con soddisfacenti dosi di sensibilità spirituale.

Sulla diffusione del Cristianesimo nella penisola araba si sa poco, ma si può asserire al fatto che ci fossero importanti comunità sparse in diverse città come Tà'if, Mecca e Yàthrib. L'aspetto più importante riguarda la forte influenza riscontrata nella costruzione della dottrina islamica; infatti alcune comunità giudeo-cristiane del Nord, in forte contrapposizione con la visione paolina, pensavano che Gesù fosse un uomo di straordinaria energia profetica, carismatica e taumaturgica ma che non fosse incarnazione divina. Il Gesù del Corano, non a caso, può fare miracoli, nascere da una vergine, e perfino emergere incolume dal complotto ebraico per ucciderlo, ma siccome Allah è uno, non può essere Allah o suo figlio. Inoltre, non è un mistero che Muhammad avesse un profondo rispetto verso la comunità cristiana presente nell'attuale Yemen e, infine, in ultima battuta, sembra che fosse stato proprio un Bahira , termine che indica un ecclesiastico, a intravedere nel piccolo Muhammad i segni della profezia che si sarebbe palesata al mondo decenni più tardi. Di contro, non bisogna pensare che le altre culture non abbiano influenzato il credo islamico; difatti, la penetrazione persiana nella costruzione amministrativa, politica e militare fu imponente. Da questa prima analisi emerge palesemente una visione di forte condivisione, naturalmente non sempre costruttiva, tra le tre fedi monoteiste.

Sulla scorta di quest'ultima riflessione, cercando di tracciare il profilo biografico di un profeta, Lo Jacono presenta tutte le complessità nel presentare racconto figura, in quanto la tradizione islamica tende a valorizzare i poteri sovrannaturali di Muhammad. Prima di presentare le analogie e di analizzare i luoghi comuni e gli stereotipi creati dal mondo occidentale, è bene ricordare quali sono le fonti primarie utilizzate per la stesura della biografia del profeta. Il primo riferimento per qualsiasi storico dell'Islam che intende occuparsi di Muhammad è Ibn Ishāq, ovvero il primo biografo del profeta, sebbene il documento sia stato adattato da Ibn Hishām, altro biografo, al fine di eliminare tutte le dimensioni umane del profeta. Un altro riferimento è sicuramente la Sunna del profeta, che racchiude tutte le notizie raccolte e tramandate alle generazioni successive riguardanti Maometto. Unità di misura della Sunna è il hadìth , ossia le singole testimonianze che accennano alle decisioni prese dal profeta, ma anche alle azioni, ai comportamenti, alle opinioni e perfino ai suoi gusti culinari.

Naturalmente, come ricorda Lo Jacono, tutte queste fonti sono apologetiche, in sostanza cercano di elevare la figura e l'immagine del profeta e, inoltre, non sono state le uniche utilizzate dagli storici. Infatti, per via delle carenze delle fonti scritte, Lo Jacono opta, come tanti altri studiosi, anche per l'uso di fonti orali, anche se ciò significa imbattersi in incongruenze e attestazioni non aderenti alla realtà dei fatti che spesso si rintraccia, non a caso, nel hadìth . Come si può notare, non si è presentato sin da subito il Corano, adattamento della parola araba Qur'àn che significa « lettura », in quanto la sua struttura non è articolata in un arco temporale e, per la maggior parte del testo, non si preoccupa del contesto o delle persone alle quali viene rivelato; infatti, non a caso, il nome di Muhammad ricorre solo quattro volte nel testo. Questo non significa che Lo Jacono non abbia ricavato informazioni dal Corano, anzi spesso impiega la traduzione italiana del testo compiuta da Alessandro Bausani, nonché suo docente, ma questa precisazione serve a rimarcare che quell'immagine stereotipata, che mette in relazione costantemente il Corano alla figura del profeta, è del tutto errata, dato che Muhammad ebbe il compito di rivelare e non ispirare la volontà divina di Allah.

Di Muhammad gli storici musulmani non possono vantare con certezza assoluta la data di nascita, ma la stragrande maggioranza degli studiosi propende per il fatto che alla morte, nel 632, il profeta aveva sessantatré anni; quindi, di conseguenza, si è soliti fissare la nascita tra il 569 e il 570. Nacque dall'unione di Abd Allāh e Āmina, di cui il padre, che il profeta non avrebbe mai conosciuto per via di una morte precoce, discendente dai potenti Quraysh, sebbene la potenza economica di questa famiglia, intorno al 570, fosse transitata saldamente nelle mani di un'altra famiglia, quella dei Hāshim. Questo contesto familiare, rammenta Lo Jacono, ricorda molto quello di Gesù, ossia nato, quest'ultimo, in un umile ricovero di pastori a Betlemme ma discendente dalla regale famiglia di Davide.

Durante l'infanzia e l'adolescenza Muhammad fu assistito e seguito costantemente da figure femminili, di cui si ricordano, in particolare, Fākhita bt. Abī Tālib, Umm Hakīm al-Baydā e Halīma. La prima, Fākhita, nonché sua cugina, era molto affezionata a Muhammad, tanto che si prospettava un matrimonio, che gli esperti chiamano «matrimonio preferenziale», ma che non ebbe luogo per via della volontà del padre di lei, Abū Tālib, il quale non voleva che si sommassero due situazioni economiche gracili all'interno della stessa famiglia; inoltre, Fākhita fu una delle prime convertite alla fede islamica, una testimonianza del forte legame venutosi a creare. Umm Hakīm, invece, era sua zia e probabilmente sorella, o addirittura gemella del padre del profeta. Anch'essa si convertì subito ed ebbe un ruolo fondamentale durante gli anni difficili del postulato del nipote. Infine, vi è Halīma che, secondo una tradizione consolidata, fu scelta dalla madre del profeta, Āmina, affinché ricoprisse il ruolo di balia. Il loro rapporto fu così forte che, in alcune fonti, si narra che Muhammad la chiamava affettuosamente «mamma». Inoltre, secondo l'esegeta Tabarī, il primo incontro tra il «Sigillo dei profeti» e due esseri, probabilmente gli arcangeli Gabriele e Michele, avvenne proprio quando il piccolo Muhammad alloggiava all'umile dimora di Halīma. Da questa prima presentazione si può desumere un ruolo molto importante ricoperto dalle donne, una testimonianza che quella retorica occidentale sul ruolo del genere femminile nella storia dell'Islàm non rispecchia interamente la funzione avuta da queste donne. In aggiunta, se si vuole abbattere tale stereotipo, si può fare riferimento, come indica Lo Jacono, a un'altra donna, forse la più importante per il profeta, Khadīğa.

I due si conobbero poiché la donna propone a Muhammad di diventare suo agente e, nel giro di poco tempo, anche grazie alle capacità mercantili e al grandissimo carisma del profeta, Khadīğa si convince a sposarlo. La sua figura ricopre un doppio ruolo; infatti, se da un lato il loro amore è testimoniato da ventiquattro anni di matrimonio e dalla nascita di molti figli,avvalorato anche da una volontaria monogamia malgrado la diffusissima poliginia dell'epoca, dall'altro questa donna fu la prima a convertirsi e ad accettare la prime rivelazioni avute dal marito, affermando che non si trattava di ğinn , come pensava il marito, bensì di Nāmūs , ovverosia il nòmos , la Parola di Allah.

Da rilevare, inoltre, che Khadīğa interpellò Waraqa b. Nawfal, indicato nelle fonti come cristiano o come hanīf . Quest'evento viene considerato dalla dottrina islamica come “La Rivelazione”, ossia il momento in cui l'arcangelo si palesò per la prima volta al profeta, mentre quest'ultimo si era recato, per via di alcuni strani fenomeni futuri che lo avevano interessato, sul monte Hirā, a pochi chilometri fuori dalla Mecca, affinché ritrovasse una serenità interna. Quindi, la figura di Khadīğa testimonia ancor di più il ruolo centrale ricoperto dalla donna nella fondazione della religione islamica e, rifacendosi alla discendenza del profeta, potrebbero addirittura dire che fu la sua ultima figlia, Fātima, sposandosi con Alī, cugino di Muhammad, a dare seguito alla grande dinastia, con i figli al-Hasan e al-Husayn.

Continuando a ripercorrere le vicende coniugali di Muhammad, che ci aiutano a capire il vero ed effettivo ruolo della donna nella cultura islamica, si giunge alla figura di Āisha. Nel 620, stando a fonti abbastanza certe, il profeta decise di sposarsi con Sawda bt. Zam e con Āisha. Quest’ultima fu spinta nelle braccia del profeta dal padre, Abū Bakr, affinché diventasse il suocero del «Sigillo dei profeti». La figura di Āisha ci aiuta a decostruire una delle tante accuse mosse nei confronti del profeta, quella della pedofilia. Infatti, secondo una tradizione antislamica la fanciulla avrebbe avuto circa nove anni quando fu portata nell’abitazione del profeta; di contro, Lo Jacono, incrociando delle fonti posteriori alla biografia di Muhammad, in particolare Ibn Ishāq, afferma che la fanciulla non poteva avere meno di tredici anni. In questo caso, ovviamente, l’autore non cerca di giustificare dei rapporti sessuali tra un uomo, che in quel periodo aveva circa quarantaquattro anni, e una ragazzina di tredici anni, ma,siccome uno dei compiti di uno storico è quello di contestualizzare, allora risulta insensato attuare il nostro sistema di valori etici e morali a un passato molto lontano sia nel tempo che nello spazio. Un esempio molto efficace è sicuramente quello di Maria, madre di Gesù, la quale, stando anche alla stessa Chiesa, avrebbe messo al mondo suo figlio all’età di quattordici anni, essendo quindi rimasta gravida all’età di tredici. Questa riflessione, naturalmente, condanna quelle pratiche, ancor oggi largamente diffuse, che obbligano molte bambine a sposarsi alla sola età di nove anni.

Le mogli di Muhammad, che, da come si può dedurre, risultano utili storiograficamente per rigettare alcuni cavalli di battaglia dei più acerrimi nemici dell'Islàm, erano costrette a portare un hiğāb durante la lettura di versetti coranici. Naturalmente, poiché il termine usato pocanzi rimanda sia al velo che alle accuse dei moltissimi detrattori, questo tema merita qualche riflessione. In primis , il termine hiğāb rimanda a quel velo che veniva utilizzato nelle case islamiche per separare gli ambienti delle donne e quello degli uomini; invece, il termine che rimanda al velo atto a nascondere il volto femminile era il khimār che era già largamente utilizzato nell'Arabia preislamica. Si deve, inoltre, ricordare che l'uso del velo non è prescritto dal Corano, ma si tratta di una consuetudine di una Legge scritta successivamente. In aggiunta,si può riscontrare nuovamente un riferimento biblico, questa volta nel Nuovo Testamento, in cui Paolo di Tarso, memore del suo passato, raccomodava alle donne l'uso del velo. L'autore attraverso due passi delle sūre XXIV e XXXIII decostruisce l'uso religioso del velo e afferma che l'utilizzo, assai diffuso oggigiorno, sia frutto di una costruzione antropologica e sociale, seppur voluto fortemente dai dotti esponenti del clero musulmano.

Dopo questa digressione sul ruolo delle donne nella prima fase dell'istituzionalizzazione dell'Islam, è giunto il momento di concentrarci su alcuni aspetti che testimoniano la grande vicinanza tra le tre grandi religioni monoteiste. Infatti, Lo Jacono sottolinea come nell'attività proselita Muhammad affermava che Allah era onnisciente e onnipotente, misericordioso con chi si assoggettava completamente alla sua volontà e severo nel punire i trasgressori, proprio come lo YHVH antico testamentario. Fondamentalmente, una divinità che, al pari del Dio cristiano, avrebbe fatalmente sgretolato la pace familiare e sociale della Mecca politeista, il cui benessere, come detto nella prima parte, era basato sui commerci e sulle cerimonie religiose. Sulla scorta di questa riflessione, si possono trarre due informazioni, la prima riguardante il contesto della città chiamata in causa e la seconda riguardante la costruzioni dottrinaria dell'Islam.

Dunque, relativamente al commercio e alle cerimonie politeiste interne alla Mecca, il profeta fu molto attivo sia attraverso un'azione predicatoria, a cui i Quraysh decisero di rispondere allontanandosi quando cominciava a parlare e inducendo gli altri a fare lo stesso, sia attraverso una serie di battaglie, che caratterizzarono tutti gli anni Venti del VII secolo. Ovviamente, i riferimenti bellici rimandano al 624, anno in cui ci fu lo scontro svolto a Badr che determinò una grande vittoria musulmana e, successivamente, al 625, in cui i due eserciti si scontrarono nuovamente, questa volta a Uhùd, con annessa vittoria meccana,anche se non schiacciante. Infine, l'ultimo riferimento è l'anno 627, preludio della vittoria musulmana, in quanto i meccani giunsero alle porte di Medina, la vecchia Yàthrib, con un numero elevatissimo di uomini, ma fu tutto inutile perché l'attacco si ruppe davanti a una trincea scavata dai medinesi. Dopo questa serie infinita di scontri, nel 629, Muhammad entrò alla Mecca per il pellegrinaggio intorno alla Ka'ba .

La seconda riflessione riguarda un pilastro dei cinque atti culturali dell'Islam, ossia la salāt . In merito il «Sigillo dei profeti» avrebbe detto: «l'Islam è basato su cinque [fondamenti]: la šahāda (professione di fede), la salāt (preghiera), la zakāt (elemosina rituale), il hağğ (pellegrinaggio alla Mecca) e il digiuno ( saum ) del mese di Ramadān».In sostanza, la preghiera, o meglio conosciuta come orazione canonica, era una delle parziali novità apportate dall'Islam. Difatti, al pari dell'Ebraismo, la salāt non pretende che si attuino i complessi movimenti per puro convenzionalismo, bensì per ansiosa volontà di obbedire a un preciso ordine di Allah, evitando di trasgredirne la volontà e di far macchiare di una colpa non veniale chiunque voglia e deve essere assoggettato al volere divino. Il numero di preghiere fu fissato a cinque al giorno, periodi determinati dall'apparente corso del sole, e possono compiersi dovunque in quanto Muhammad avrebbe detto: «Tutta la terra è una moschea».Tra gli elementi che rendono la salāt molto simile alle preghiere cristiane e giudaiche, forse l'elemento del sangue risulta quello più emblematico in quanto può invalidare la preghiera. Esso, infatti, è veicolo di vita, il sangue è carico di sacralità da contaminare l'essere umano qualora ne entri in contatto, obbligandolo a effettuare il previsto lavacro.

Questo pilastro della dottrina islamica ci permette di parlare di una disputa ancora in atto tra gli islamisti ei dantisti. Infatti, secondo una tradizione, si sostiene che le precise indicazioni riguardanti la salāt fossero state fornite al profeta dall'arcangelo Gabriele già al momento delle primissime rivelazioni, mentre un altro hadìth sposta quel momento informativo a margine di un miracoloso viaggio notturno e alla successiva ascesa al cielo di Muhammad. Quest'ultimo episodio, che corrisponde alla sura XVII, fu ripreso dalla cultura cristiana medievale, attraverso una traduzione in lingue volgari presenti nella Spagna islamica, una delle quali tradotte in dialetto toscano. Dante probabilmente meno il contenuto di quel viaggio notturno del profeta, soffermandosi sul percorso che aveva portato Muhammad a fronteggiare i gironi infernali in cui i dannati erano sottomessi a un abbozzo di contrappasso, passando poi per i sette Cieli, con ciò che essi includevano. Dalla lettura di questo passo, Dante ne trasse un grande vantaggio, quello dell'impianto narrativo, a cui però va aggiunto il grande estro poetico dello scrittore fiorentino. Ovviamente, questo provocò una feroce polemica, ricorda Lo Jacono, tra i dantisti e coloro i quali avevano osato parlare di quel debito formale contratto dal sommo poeta.

Tornando alla vita del profeta, simultaneamente alla formazione della dottrina islamica, si svilupparono, come si è presentato in precedenza, degli scontri con i pagani della città meccana e con tutti i loro alleati, tra cui vi erano anche delle comunità giudaiche. Questa fase di confronto bellico è spesso riproposta dalla propaganda occidentale per parlare di uno dei temi più in voga di questi ultimi decenni: la ğihād . Anche personaggi di spicco dell'epoca moderna contribuirono alla diffusione di questo concetto, su tutti si ricordano lo zwingliano Bibliander, che tradusse il Qur'àn in latino, e Voltaire, noto antislamista. A tale accusa è difficile contrappore una tesi accettabile e veritiera, dato che, ricorda l'autore, è la stessa tradizione islamica ad aver coniato la frase secondo cui «il paradiso è all'ombra delle spade».

La ğihād ha avuto un ruolo centrale nella conquista della penisola araba e, inoltre, è difficile negare la centralità che fino ad oggi ha conservato quest'aspetto. Tutto è testimoniato dal fatto che, dopo l'entrata alla Mecca e la creazione di un vasto impero nel giro di pochi secoli, il mondo islamico non si sarebbe fatto mai promotore e creatore di messaggi di pace, se non alle sue precise condizioni. Ma, anche in questo caso, non si può parlare di una contro parte occidentale che, invece, si sia sempre elevata a paladina della pace, ovviamente riferendosi sia ai secoli passati che ai nostri giorni. Infatti, se si pensa al contesto ebraico, basandoci sugli scritti antico testamentari, si possono rilevare grandissime figure di profeti che intrapresero le cosiddette guerre “sante” e che, non impropriamente, vennero definiti guerrieri o condottieri. Così come per la storia cristiana che vide l'istituzionalizzazione del bellum iustum , ossia una norma che offriva il pretesto ai vescovi e, in alcuni casi, ai pontefici di poter avanzare dichiarazioni, sempre con la giustificazione che si trattava di una volontà divina.

Dopo aver presentato alcuni temi dei primi tre capitoli e aver deciso, volontariamente, di non analizzare eventi che ovviamente ricoprono un ruolo centrale nelle dinamiche della fondazione dell'Islam, è giunto il momento di discutere degli ultimi aspetti presenti nell'ultima sezione dell'opera. L'ultimo capitolo del libro in questione si sofferma sugli ultimi anni di vita del «Sigillo dei profeti», periodo in cui l'azione bellica, fortemente caratterizzata anche da una oculata diplomazia, come testimoniano il Rescritto di Medina e il trattato di Hudaybiyya, fece da fulcro centrale nelle dinamiche interne alla penisola arabica. Ancora una volta, Muhammad si dimostrò molto abile nel non modificare, almeno inizialmente, le pratiche e gli usi delle popolazioni politeiste. Di questo capitolo è significativo segnalare l'arrivo alla Mecca, avvenuto l'11 gennaio 630 con diecimila uomini al suo fianco, che segnò la fine di un'epoca.

Altrettanto fondamentale è evidenziare come Muhammad, una volta giunto alla Ka'ba , scelse di eliminare ogni riferimento al politeismo meccano, ma di risparmiare tutte le immagini di Abramo, Gesù e di sua madre. Questa scelta testimonia, inoltre, quanto siano legati le tre religioni monoteiste, non solo per ragioni di discendenza ma soprattutto per via della venerazione di figure profetiche condivise.

Gli ultimi anni della sua vita furono contrassegnati da gioie dovuti dall'aver portato a termine il progetto che Allah gli aveva assegnato, ma anche da dolori causa sia da continue emicranie che da gravi perdite, in particolare del figlio Ibrāhīm, concepito con sua moglie Māriya. Così, tornato a Medina, il profeta cadde preda di violente emicranie e di un malessere generale, interpretato da uno dei suoi biografi, Tabarī, come probabile sintomo di pleurite. A nulla servirono le cure effettuate, che forse non fecero altro che peggiorare la situazione, così Muhammad morì l'8 giugno del 632 nelle braccia dell'adorata Āisha.

L'opera di Claudio Lo Jacono, appena recensita, dona la possibilità di discutere di alcuni temi proposti già in parte nella prima sezione di questo lavoro. Il primo spunto di riflessione riguarda proprio l'islamofobia, in quanto, in Italia, questo fenomeno non ha riscontrato l'attenzione dei mass media e nemmeno dell'opinione pubblica, nonostante il nostro paese sia al centro delle tratte migratorie. Queste mancate riflessioni nel contesto italiano provocano dovute conseguenze: la prima è che, non essendoci un particolare interesse da parte del cittadino, gli studi ei lavori sulla nascita dell'Islàm e sui secoli successivi scarseggiano, avvantaggiando così tutti i detrattori che trovano una strada spianata per poter attaccare con stereotipi antiislamici.

La seconda conseguenza, strettamente collegata alla prima, è che invece gli studiosi, come Lo Jacono e Bausani, sono stati costretti ogni volta, nelle loro opere, a decostruire e smantellare attraverso vaste digressioni tali accusano xenofobo e, quindi, a concentrarsi poco sulle vicende storiche dei protagonisti, come nel caso del libro appena recensito. Ovviamente, non si tratta di una critica verso il lavoro, ma dimostra come ci sia bisogno di una fitta rete di studiosi che, attraverso una serie di collaborazioni, facciano in modo che questi lavori siano in numero maggiore e che, anche con l'ausilio dei mass media , si dimostri effettivamente che nelle società moderne esista una valenza plurale e ibrida, composta anche, in buona parte, da fedeli islamici. Tornando sui cosiddetti “punti deboli” dell'opera, si può riscontrare una certa concertazione di informazioni racchiuse in poche pagine, anche se, su quest'ultimo aspetto, l'autore non nasconde la finalità di tale lavoro. Infatti, Lo Jacono non si pone come obiettivo finale quello di presentare una biografia completa di Muhammad, ma cerca di mostrare i tratti salienti della sua vita affinché il lettore resti colpito e incuriosito da tali informazioni e che, quindi, decida di approfondire l'argomento, anche mediante la vasta bibliografia proposta alla fine del testo.

In ultima battuta, i “punti di forza” sono molteplici: innanzitutto, parla la vita accademica di Claudio Lo Jacono, presentata all'inizio di questo lavoro, che mostra un'impeccabile formazione e la totale padronanza dell'argomento; altro elemento che rende la lettura scorrevole è la grande maestria nell'esposizione e, in alcuni tratti, la volontà di romanzare la biografia del profeta, che aiuta, e non poco, a rendere un argomento, molto complesso, fruibile a qualsiasi lettore. Dal punto di vista storiografico, l'opera, pur non essendo vastissima, racchiude ogni aspetto e, talvolta, curiosità sulla vita di un profeta, riferimento che spesso non si trova nei lavori su personaggi relativi alla storia del cristianesimo, utilizzando un gran numero di fonti primarie, perlopiù di origini arabe, e di fonti secondarie di ampio respiro europeo. In conclusione, risulta essere un'opera consigliata a chiunque voglia cimentarsi nello studio della cultura islamica, partendo da chi ha fatto in modo che tutto nascesse: Muhammad.
 

 

Riferimenti bibliografici

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]