.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

moderna


N. 147 - Marzo 2020 (CLXXVIII)

La politica machiavelliana
l'importanza del conflitto

di Luigi Pezzella

 

Niccolò Machiavelli è uno dei pensatori più importanti a cavallo tra Medioevo ed Età Moderna. Hanno riflettuto sulle sue opere i maggiori storici e filosofi nei momenti di crisi. Machiavelli ha avuto una fortuna/sfortuna: è uno dei pochi pensatori, forse l’unico, intorno al quale si è creato addirittura una corrente contraria, l’antimachiavellismo.

 

Quando si parla di Machiavelli viene in mente il termine “machiavellico”, ma questo termine non ha nulla a che vedere con le idee politiche del Segretario. Possiamo dire che Machiavelli fu machiavelliano, no machiavellico.

 

Distinguiamo bene le accezioni dei due termini. Oggi si intende per machiavellico la caricatura di Machiavelli, s’intende colui che con astuzia, con atti meschini, pensa al proprio particulare, mentre l’obiettivo della politica machiavelliana non era affatto questo, ma, l’obiettivo del Segretario, e del suo pensiero politico, era il bene comune.

 

Questo elemento è stato spesso trascurato, ma nell’opera Discorsi sulla prima deca di Tito Livio ricorre molto spesso il concetto di “bene comune” rendendolo però come frutto di “conflitto”.

 

Machiavelli è “un uomo del suo tempo”, pienamente immerso nella Firenze di fine Quattrocento inizio Cinquecento. Nella sua città “il conflitto” non è un conflitto virtuoso, ma è un conflitto fazioso. A Firenze la pacificazione del conflitto si otteneva con l’eliminazione, spesso fisica, dell’avversario.

 

Dal punto di vista di Machiavelli il conflitto non deve essere spento, per il Segretario l’esperienza politica ha delle cadenze “eraclitee”. Nel mondo della politica domina il polemòs. Contrariamente a una politica che pretenda di esorcizzare le antinomie, Machiavelli ritiene necessario una politica conflittuale che nel suo divenire produca “buoni ordini” ossia leggi e istituzioni che abbiano come fine il “bene comune”.

 

A modello di conflitto virtuoso nei Discorsi, Machiavelli prende a esempio la Roma repubblicana dove dal conflitto tra patrizi e plebei nacque la magistratura del Tribuno della Plebe e Machiavelli, scandalosamente, dirà che proprio grazie a questo conflitto Roma sarà libera e potente. Per il Segretario, quindi, è impossibile una riduzione a unità dopo la soppressione dell’opposizione se non si vuole compromettere la libertà e la potenza di una repubblica.

 

L’unità politica può essere conquistata solo con l’in-contro fra le parti, da una loro indispensabile con-vivenza. La decisione politica non è lumeggiata da fondamenti trascendenti o da modelli matematici, ma essa nasce dal perseguimento del “bene comune”. Non affiora mai una necessità deterministica in Machiavelli, il clinamen umanistico del suo pensiero è espresso, appunto, dalla sua strenua affermazione della libertà. Non una libertà che si libra in uno spazio incontrastato, ma una libertà che è tale proprio perché si deve cimentare con una realtà ostile.

 

La virtù politica, la virtù del politico, si rivela nell’intuizione del Kairòs che propizia l’esito favorevole. L’azione politica, per Machiavelli, non solo deve dare unità, conseguendo il bene comune, alle disunioni della città, ma deve affrontare, con virtù, esperienze imprevedibili e casuali che sfuggono a ogni forma predefinita e disgregano ogni pretesa di un ordine compatto.

 

Il Segretario guarda all’antico da una prospettiva diversa. Il suo exemplum, la Roma repubblicana, è politicamente il paradigma della repubblica tumultuaria, vale a dire di un ordine politico che insiste sul conflitto e non lo sopprime nichilisticamente. Invece per Hobbes e per il modello giusnaturalistico moderno, la politica inizia laddove finisce il contrasto fra le parti di una città dove la sovranità nasce dall’annullamento del conflitto.

 

Dalla specola di Machiavelli, sarebbe illusorio, anzi dannoso, pensare di comporre definitivamente gli antagonismi.

 

Non è tollerabile un’azione politica che metamorfosi il divenire della realtà in una guerra civile perenne, per la quale l’obiettivo è la morte o l’esilio del nemico. Machiavelli non esibisce una opposizione schmittiana fra amico e nemico, nella quale la decisione è l’esito di un taglio netto di una delle parti. Al contrario, per Machiavelli è impossibile una riduzione a unità dopo la soppressione dell’opposizione, se non si vuole compromettere la libertà e la potenza di una repubblica.

 

In definitiva per Machiavelli la politica non è quello che poi sarà “sintesi” hegeliana, ma per la politica è necessario il polemòs eracliteo per andare avanti.



 

 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.