[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 211 / LUGLIO 2025 (CCXLII)


arte

MACHIAVELLI INASPETTATO
I versi “ONANISTICI” del segretario fiorentino
di Federica Campanelli

 

Quando il nascente sol l’aurora caccia

E le cime de’ monti paion d’oro

E gli uccellj escon fuor da’ nidj loro

Perché la fame e ‘l giorno gli minaccia,

Allhor vorrej haver nelle mie braccia

Il dolce ricco mio caro tesoro;

Perché ‘l caxxo mi dà tanto martoro,

Ch’io non so s’io me ‘l menj, o quel ch’io faccia.

 

Ebbene sì. Niccolò Machiavelli (1469-1527), noto ai più per le sue analisi politiche, potrebbe anche essere l’autore di questi versi decisamente poco istituzionali. O, per dirla con le parole dell’umanista Leonardo Salviati (1539-1589), che li trascrisse in una lettera del 1563: “sporchi e disonesti”. Ma, checché ne dicesse Salviati, non sorprende che un intellettuale della portata di Machiavelli abbia saputo descrivere con sorprendente grazia il “martirio” dell’eccitazione maschile mattutina, il risveglio “agitato” di un uomo che, in assenza del suo “dolce ricco caro tesoro”, si trovi combattuto tra la castità e un più pratico sollievo autogestito (“s’io me ‘l menj”).

 

La riscoperta di questa ottava infuocata, palesemente dedicata alla masturbazione, si deve al lavoro filologico del professor Antonio Corsaro dell’Università di Urbino, che ha restituito attenzione a un documento conservato presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara: una lettera polemica di Salviati a Jacopo Corbinelli, la quale contiene appunto il riferimento diretto al componimento incriminato, e che l’autore attribuisce al “Machiavello”.

 

Pubblicato sulla rivista Interpretes (Salerno Editrice), lo studio propone una lettura critica di questa testimonianza unica, finora ignorata persino dagli studiosi più attenti del corpus poetico machiavelliano: «Dell’ottava attribuita a Machiavelli» scrive Corsaro, «non risulta altra testimonianza, e ciò la rende quanto mai interessante, a dispetto della trascuraggine dei primi editori (poco attenti alla trascrizione ma attenti a censurare i vv. 7-8 dell’ottava per riflessi condizionati di pruderie) e dei successivi lettori».

 

Insomma, se autentica, l’ottava andrebbe ad arricchire quel piccolo gruppo di componimenti poetici noti dell’autore fiorentino: «Noto che si tratta di un metro tutt’altro che  estraneo al versificatore Machiavelli, del quale sopravvivono due strambotti lirici (Io spero e lo sperar cresce ‘l tormento; Nasconde quel con che nuoce ogni fera)  e inoltre la siliqua di 33 ottave della cosiddetta Serenata, esercizio più impegnativo (fra l’altro giuntoci autografo) che rinvia a una poetica di marca quattrocentesca e polizianea».

 

Che Machiavelli si dilettasse di poesia non è dunque una novità. Ma è più interessante vederlo impegnato nel registro licenzioso e burlesco, proprio della Firenze del tempo, un tono che peraltro non gli era affatto lontano, come dimostrano anche testimonianze aneddotiche coeve. Lodovico Domenichi (1515-1556), ad esempio, nel suo Detti e fatti di diversi signori et persone private, racconta di una gara d’improvvisazione poetica durante la quale l’autore fiorentino, spinto dalla pressione del momento, concluse una stanza in versi con un doppio senso sessuale così sfacciato da far arrossire le gentildonne presenti.

 

In questo contesto, l’ottava “dell’alba”, con il suo alternarsi di lirismo paesaggistico e crudo desiderio corporale, non appare fuori luogo. Anzi, rientra in quella tradizione poetica giocosa e provocatoria che va da Cecco Angiolieri a Lorenzo il Magnifico, fino al Berni. Un mondo dove si poteva parlare di politica e di sesso con pari raffinatezza linguistica, e dove la tensione tra forma elevata e contenuto basso generava l’effetto comico più godibile.

 

Ciononostante, Corsaro non afferma con certezza assoluta che l’ottava sia di Machiavelli, ma presenta solide argomentazioni a favore dell’attribuzione. Prima di tutto, la fonte è credibile dato che Salviati era figura centrale della cultura fiorentina e ben inserito nell’ambiente letterario. Lo stile e la metrica coincidono con altri testi poetici di Machiavelli. In ultimo, il contenuto erotico non è affatto incompatibile con la sua produzione minore.

 

In altre parole, è plausibile che questi versi – pur volutamente provocatori – siano usciti dalla penna di Niccolò, magari in un contesto privato e conviviale, come spesso accadeva nella cultura cortigiana del Cinquecento.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]