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N. 95 - Novembre 2015 (CXXVI)

LUCIANO GALLINO
UN INTELLETTUALE FRA ACCADEMIA E INDUSTRIA

di Filippo Petrocelli

 

Luciano Gallino non è mai stato un rivoluzionario. Piuttosto un accademico mite, uomo di riflessione più che di impeto, con occhiali dalla montatura sottile e capelli pettinati alla perfezione. Uno dei più grandi della sociologia italiana cresciuto nell’Ufficio studi relazioni sociali del centro ricerche della Olivetti – che in molti rimpiangono come modello perfetto di azienda – oltreché eccellenza economica durante il boom degli anni Cinquanta e Sessanta.

 

Un think tank si direbbe oggi, in cui Gallino entra nel ’56, guidato al tempo con perizia e innovazione da Alessandro Pizzorno, anche lui padre nobile della sociologia contemporanea, che ha contribuito a “internazionalizzare” le scienze sociali nel nostro paese, innestando non poche rivoluzioni teoriche, anche grazie allo svecchiamento dei metodi di indagine e della speculazione teorica. Una struttura fortemente voluta da Adriano Olivetti, che ha contribuito a fare di questa fabbrica un modello innovativo di impresa.

 

Gallino si è spento alla soglia dei novant’anni, dopo aver dato alle stampa un ultimo libro uscito per Einaudi a metà 2015 e intitolato Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti. Un libro destinato alle nuove generazioni che riflette con dovizia di dati sulla doppia crisi, quella economica ma anche ambientale, che si potrebbe definire con un aggettivo un po’ d’antan: “sistemica”.

 

Ma negli ultimi anni era consuetudine di Gallino, professore ordinario di sociologia fino al 2002 all’Università di Torino, dare alle stampe saggi – un tempo si sarebbe detto pamphlet – sui temi più scottanti dell’economia contemporanea.

 

Riflessioni pioneristiche sui temi delle disuguaglianze – termine oggi molto di moda, ma che per lungo tempo è stato ai margini del mondo accademico – nonché sulla globalizzazione, sul neoliberismo, sulla fine del fordismo e sulla finanziarizzazione dell’economia, fin dal finire degli anni Ottanta, quando il mondo accademico-culturale rifletteva annoiato su fumosi temi filosofici come la “Fine della storia”.

 

Pungenti per certi versi, gli scritti di Gallino si sono sempre distinti per aver intravisto qualcosa con largo anticipo, fuori dal coro, persino controcorrente.

 

Proprio alla finanza e al capitalismo è dedicato uno dei suoi ultimi libri più riusciti Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi uscito per Einaudi nel 2011, dove si parla con rigore scientifico del sistema finanziario e della sua crisi – qui economica e culturale – ma anche dei meccanismi che hanno permesso la conquista di potere da parte di ristrette élite economiche, così come si discute di governance  e politiche pubbliche. In 324 pagine sono snocciolati dati, grafici utili a fare qualcosa di più di una semplice riflessione.

 

Gallino ha dedicato molto tempo allo studio dell’organizzazione del lavoro, analizzata dall’interno dell’Olivetti ma anche studiata attraverso le lenti dei rapporti e degli studi di settore, riflettendo sulla forma dell’impresa e sulle sue responsabilità nella crisi contemporanea, come in L’impresa irresponsabile uscito per Einaudi nel 2005, prima del grande crack finanziario.

 

Uno dei più sagaci libri pubblicati da Gallino è invece La lotta di classe dopo la classe, pubblicato per Laterza nel febbraio 2012 sotto forma di intervista condotta da Paolo Borgna. Un breve saggio concentrato su un’analisi della lotta di classe, condotta però dai ricchi contro i poveri, dalle classi elevate contro quelle più basse. Un curioso punto di vista sul perché oggi, i poveri siano sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi.

 

Insomma la radiografia di una lotta perseguita dall’alto verso il basso, senza tregua, come ricorda lo stesso Gallino: “Dagli anni Ottanta, la lotta che era stata condotta dal basso per migliorare il proprio destino ha ceduto il posto a una lotta condotta dall'alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente”.

 

E questo libro fa da sponda anche a una delle intuizioni più note del professore torinese, che individuava proprio nella fine degli anni Settanta e nell’avvento del neoliberismo, uno dei momenti cruciali della crisi odierna.

 

Quel passaggio da una politica economica fondata sul compromesso keynesiano-fordista, a un paradigma monetarismo e di libero mercato, sostenuto con forza dalla Scuola di Chicago e realizzato da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, rappresentano per lo studioso torinese qualcosa come Scilla e Cariddi, come ricorda puntualmente sottolineato anche in questo estratto: “Verso il 1980 ha avuto inizio in molti paesi – Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Germania – quella che alcuni hanno poi definito una contro-rivoluzione e altri, facendo riferimento a un’opera del 2004 dello studioso francese Serge Halimi, un grande balzo all’indietro.

 

Le classi dominanti si sono mobilitate e hanno cominciato loro a condurre una lotta di classe dall’alto per recuperare il terreno perduto. Simile recupero si è concretato in molteplici iniziative specifiche e convergenti. Si è puntato anzitutto a contenere i salari reali, ovvero i redditi da lavoro dipendente; a reintrodurre condizioni di lavoro più rigide nelle fabbriche e negli uffici; a far salire nuovamente la quota dei profitti sul Pil che era stata erosa dagli aumenti salariali, dagli investimenti, dalle imposte del periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Ottanta”.

 

Questo per Gallino è sempre stato una cesura fondamentale, non solo a livello di politica economica ma persino di Weltschang, di visione del mondo. Il cambio più significativo della recente modernità. E il sociologo torinese è stato fra i primi a intuirne la centralità.



 

 

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