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N. 15 - Agosto 2006

IL LINGUAGGIO POLITICO DELLE PARI OPPORTUNITA'

Rapido excursus nel lessico utilizzato dai parlamentari nostrani tra termini tecnici, espressioni colorite e nuove coniazioni

di Tiziana Bagnato

 

Un susseguirsi di termini tecnici, a volte fin troppo sterili e aridi, accompagnato di tanto in tanto da una manciata di termini colloquiali, importati dal bacino da cui attingiamo la maggior parte del lessico che anima la nostra vita quotidiana. E’ questa l’istantanea del linguaggio politico utilizzato dai parlamentari nostrani per discutere, tra Palazzo Madama e Montecitorio, le questioni legate alle pari opportunità.

A porre la lente di ingrandimento sugli interventi politici sul tema è una ricerca che ha avuto come focus primario le discussioni parlamentari che hanno portato nel 2003 alla modifica dell’articolo 51 della Costituzione. I risultati dell’analisi sono più che mai attuali e spiegano in maniera vivida e lucida come mai, dopo tanta attenzione data al tema, le pari opportunità in ambito politico siano rimaste solamente un tema maltrattato dell’agenda politica e un argomento di assalto dell’agenda dei media.

Il concetto politico più gettonato è quello  di “azioni positive”. Un termine  con il quale si fa riferimento, secondo i glossari elaborati dal Ministero delle Pari opportunità e dalla Commissione Europea, a “misure rivolte ad un gruppo particolare e finalizzate ad eliminare e prevenire la discriminazione o a compensare gli svantaggi derivanti da atteggiamenti, comportamenti e strutture esistenti”.

Una discriminazione positiva, insomma, quella a cui si richiamano la maggior parte dei politici che intervengono sul tema, alla cui forza innovativa attentano continuamente i termini che attorniano il concetto di azione positiva e che contribuiscono a crearne la topografia. Si tratta di termini che rimarcano la temporaneità del concetto, il suo essere un provvedimento non stabile o definitivo ma sempre in attesa di essere sostituito.

Parlare di provvedimenti la cui finalità è incidere sul terreno culturale, ponendo l’accento sempre sulla loro provvisorietà denota l’incertezza che ne guida l’approccio. Un’incertezza legata anche ad un sentimento di timore che diventa esplicito con un altro dei concetti usato più di frequente dai parlamentari, quello di “quote rosa”.

Il concetto divide i rami del parlamento ma la maggior parte dei giudizi che raccoglie sono negativi. Tant è che più volte gli sforzi sono indirizzati a rimarcare che il concetto di quota e quello di azione positiva non sono sovrapponibili ma che, piuttosto, il concetto di quota è una delle componenti logiche del concetto di azione positiva ma non ne è costitutiva.

Le quote vengono spesso affiancate ai concetti di “uguaglianza sostanziale” ed “effettiva”  di cui vengono considerate garanzia effettiva. Ma, molto più spesso emergono dal linguaggio quotidiano termini come tabù, spauracchio, ombra che tracciano un quadro molto verosimile dell’approccio negativo con cui si guarda a questo tipo di provvedimenti. Ma questi non sono gli unici termini arbitrari che costellano gli interventi politici. Molto usati sono anche i termini riserva indiana, riserva di caccia, donne come animale protetto, casta ecc.Ma parlare di quote significa anche per i nostri parlamentari  parlare di meccanismi cogenti, avallare una soluzione forzosa e una coartazione sull’elettorato.

Un altro dei concetti che in maniera corposa marcano il dibattito sulle pari opportunità è quello di genere. La sua incidenza quantitativa è molto forte e il dato è ancora più importante se si pensa che il concetto è del tutto arbitrario in quanto non corrisponde, come nei casi precedenti, ad uno specifico strumenti legislativo. Eppure è viva l’esigenza di ancorare il discorso a dei presupposti sociologici e allo stesso tempo quella di creare dei nuovi concetti a partire proprio da quello di genere.

Ecco allora espressioni come democrazia di genere, differenza di genere, rappresentanza di genere. Si tratta di espressioni che si richiamano tutte al concetto di una democrazia effettiva e reale alla quale può concorrere esclusivamente la realizzazione di politiche che non appiattiscano l’universo politico ai soli uomini ma che riconoscano le donne e contribuiscano a rappresentarle.

Un altro dei concetti che accorrono nelle prassi linguistica dei parlamentari del Belpaese per sviscerare la questione delle pari opportunità nell’ambito politico è quello di deficit democratico. Il concetto è contemplato nel glossario della Commissione europea ma non in quello redatto dal nostro ministero delle Pari Opportunità. L’inclusione e l’esclusione di un tale concetto potrebbe essere non causale ed essere legata al tipo di approccio con cui il nostro Paese guarda alla mancata rappresentanza femminile italiana rispetto agli altri paesi europei.

Certo è che un istituto rappresentativo quale il Parlamento, tra i cui banchi siedono quasi esclusivamente uomini non può essere definito democratico. Una reale democrazia dovrebbe lasciare spazio alle donne e non escluderle con meri mezzi come i mancati finanziamenti alle loro candidature, cattivi sistemi di marketing politico, scarse attenzione da parte dei partiti per i quali si candidano e ultimi posti nelle liste dei sistemi elettorali di tipo proporzionale.

Ecco perché questa lacuna democratica si è innestata in un vero e proprio concetto tipico del linguaggio politico. Un concetto dalla portata ampia ed esplicativa ai quali si accompagnano espressioni altrettanto ‘importanti’ come democrazia dimezzata e sessuazione della democrazia nati dall’esigenza di uscire dagli schemi di un italiano convenzionale per coniare espressioni che siano reali nell’impatto  e nelle immagini che suscitano.

È impossibile immaginare una politica che non si avvalga delle parole come strumento, mezzo, arma. La politica intesa come giochi di forza, attribuzioni di potere, visibilità e legittimazione dell’autorità prende vita nelle parole, nel loro articolarsi a formare concetti, frasi, discorsi, tesi per affermare se stessi e ciò che si sostiene.  Solo così la politica scende sul campo, ingurgita ciò che è esterno ad essa, lo definisce, lo plasma, lo rende visibile, tangibile e chi parla crea una piattaforma su cui invita il suo interlocutore a seguirlo, ad acconsentire,  a vedere ciò che lui stesso vede.

Ciò che l’analisi del linguaggio politico delle pari opportunità ci porta a vedere è un quadro ambivalente. Da un lato non si nega l’esistenza di mancate pari opportunità nel mondo politico ma dall’altro l’adozione di strumenti concreti per creare un equilibrio suscita timori, paure ed incertezze oltre che opposizioni serrate e pareri negativi. Le stesse reazioni che a tre anni di distanza hanno portato a fallire qualsiasi tentativo di introdurre nel nostro sistema legislativo il meccanismo delle quote rosa.

 

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