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N. 111 - Marzo 2017 (CXLII)

Gli studi sul linguaggio di Ippia
 Un esempio di critica letteraria dalle pagine dell’Ippia Minore - Parte I

di Paola Scollo

 

L’Ippia Minore, insieme a Ippia Maggiore, Ione e Menesseno, viene inserito nella settima tetralogia del corpus di Platone forse dall’Accademia di Arcesilao. Non sembrano esserci dubbi sull’autenticità del dialogo, anche sulla base di una testimonianza di Aristotele (Met. V 29, 1025 a 6).

 

Questo dialogo, per lungo tempo, è stato considerato dalla critica un testo minore all’interno della produzione letterario - filosofica di Platone. Tuttavia, di recente non sono mancati acuti studiosi che hanno sottoposto il dialogo a rivalutazione generale. La rilevanza filosofica dell’Ippia Minore è emersa a partire dai contributi di Mulhern, Müller, Weiss, Erler, Jantzen. A questi lavori va riconosciuto il merito di aver colto nel dialogo un nucleo tematico che ben si inserisce all’interno del pensiero e delle dottrine di Platone.

 

L’Ippia Minore ha inizio nel momento in cui Ippia ha appena concluso una lezione su Omero. Mostrando apprezzamento per la conferenza, Eudico, personaggio sconosciuto, esorta Socrate a esprimere il proprio parere. Socrate prega Ippia di esprimere la sua opinione riguardo al fatto che l’Iliade sia un poema migliore dell’Odissea e che Achille sia migliore di Odisseo (363 b 1 - 4). Infatti, i due poemi sono funzionali ai due eroi: l’Iliade è composta in funzione di Achille; l’Odissea in funzione di Odisseo. Con ogni probabilità questa convinzione doveva essere molto diffusa tra gli interpreti di Omero.

 

Socrate considera la sapienza di Ippia un dono per la città di Elide e per i suoi genitori: Ippia è beato (364 a 1), perché a ogni Olimpiade si reca nel tempio fiducioso nell’animo per il suo sapere. Da questo primo scambio di battute emerge sia l’alta considerazione che Ippia ha di sé sia l’ironia di Socrate nei confronti del presunto sapere di Ippia.

 

Socrate desidera conoscere il criterio in base al quale Ippia, nella sua conferenza, distingueva Achille da Odisseo (364 b 9 - c 2): d’altra parte, il sofista ha più volte mostrato le caratteristiche di Omero e di altri poeti. Ippia afferma di fornire insegnamenti su questo genere di distinzioni, ritenendo giusto farsi pagare (364 d 3 - 6).

 

L’indagine, volta a fornire risposta alla quaestio sugli eroi di Omero, viene condotta con il metodo dialettico, ovvero per associazione di idee. Nel frattempo, la folla accorsa ad assistere alla conferenza di Ippia si è dissolta: le condizioni appaiono ottimali per l’avvio dell’indagine speculativa. Ippia spiega che Omero ha rappresentato Achille come il migliore tra coloro che sono giunti a Troia, Nestore il più saggio, Odisseo il più astuto. Inoltre, Achille è schietto e semplice, mentre Odisseo è astuto e bugiardo.

 

Che Achille sia migliore di Odisseo può essere mostrato in molti modi. Ma il contrario? Con ogni probabilità, qui Platone intende rovesciare il giudizio negativo di Ippia su Odisseo, esaltando la σοφία come tratto distintivo del personaggio. «Il punto di partenza della discussione dell’Ippia Minore, in relazione sia al testo omerico sia al problema generale del dialogo -spiega Giuliano- è un confronto tra uomini, è motivo da sempre proprio della mentalità greca». La quaestio sui poemi di Omero doveva costituire un problema etico per la sensibilità del V secolo. Di qui l’interesse di Platone. Il dibattito potrebbe essere sorto in ambienti filosofici, dove veniva contestato il primato assoluto del carattere di Achille su quello di Odisseo. D’altra parte, i pensatori sono fra i primi a mettere in discussione la componente etica dei poemi omerici.

 

Tornando all’Ippia Minore, Socrate giunge a due conclusioni. Ippia considera il qualificativo polytropos  riferito a Odisseo come equivalente al termine bugiardo. L’uomo sincero e l’uomo bugiardo non sono la stessa persona. Si potrebbe pensare a un’accusa ad Omero di incoerenza nella costruzione dei personaggi. Ma non è così. Socrate esorta Ippia a lasciare da parte Omero, dal momento che è impossibile interrogarlo, e lo invita a rispondere per Omero e per se stesso (365 c 8 - d 4).

 

Da questo momento in poi Ippia si sforza di difendere il pensiero di Omero, di cui si ritiene interprete. Dietro le parole di Socrate non si può non scorgere la polemica di Platone contro il discorso scritto. Il richiamo è al Fedro (275 d - e), dove Platone sostiene che il logos, la parola scritta, è incapace di difendersi, per cui ha bisogno del costante sostegno del suo autore, oppure al Protagora (328 e 5 - 329 b 1), in cui Platone paragona gli oratori ai libri che, se interrogati, non sono in grado né di rispondere né a loro volta di interrogare.

 

Il passo dell’Ippia Minore si rivela interessante anche per un altro motivo: mostra la netta distanza del metodo esegetico di Socrate da quello dei sofisti. L’esegesi auspicata da Socrate mira a penetrare nella διάνοια dell’autore, attraverso la considerazione dell’opera nel suo complesso. Ippia, al contrario, procede attraverso la selezione di citazioni poetiche, senza cure per l’organicità dello scritto in sé. Socrate auspica il recupero di un metodo esegetico volto alla scoperta delle intenzioni dell’autore. Un’analisi che, partendo dal testo, in assenza del suo autore, riesca a dare voce al muto componimento.

 

Nelle parole di Socrate è racchiusa la critica di Platone all’insufficienza dell’approccio dei sofisti ai testi. Attraverso Ippia, che si fa interprete di Omero, qui il filosofo interroga il testo; attraverso Socrate, esprime il suo modo di intendere i testi poetici. Ed è proprio in antitesi a questo metodo che possiamo immaginare l’approccio di Ippia ai testi.



 

 

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