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N. 145 - Gennaio 2020 (CLXXVI)

La Germania in camicia bruna: 1936

Il nazismo “visitato” in un anno di quiete

da un attento giornalista italiano

di Francesco Cappellani

 

Girando tra i mercatini di libri usati trovo un volumetto, con le pagine un po’ ingiallite ma integro, di Arnaldo Frateili dal titolo La Germania in camicia bruna pubblicato da Bompiani nel 1937.

 

Frateili è stato un valente giornalista, saggista e scrittore del Novecento; nato nel 1888, si laurea in Lettere a Roma nel 1911 con Giuseppe Antonio Borgese iniziando a lavorare come insegnante ma, dopo la prima guerra mondiale, si dedica totalmente al giornalismo e all’attività letteraria. Nel 1924 fonda, con Giuseppe Bottai, uno dei migliori intellettuali del regime fascista, la rivista “Lo Spettatore italiano. Rivista letteraria dell’Italia nuova”, sul modello della francese “Nouvelle Revue Française”, sulla quale scriveranno Pirandello, Panzini, Grazia Deledda e tanti altri.

 

Collabora, fin dalla sua fondazione nel 1925, con La Fiera Letteraria. Nel 1932 pubblica il suo primo romanzo a cui ne seguiranno molti altri fino all’ultimo libro del 1963 (Dall’Aragno al Rosati) dove raccoglie i suoi ricordi della vita letteraria della Roma fra le due guerre. Dal 1945 in poi, scrive articoli su numerose riviste e quotidiani, dall’Unione Sarda, al Giornale, alla Sicilia, a Paese Sera e altri. Muore nel 1965.

 

La Germania in camicia bruna è un attento saggio sulla Germania visitata nel 1936, tre anni dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, paragonata alla Germania degli anni precedenti il nazismo che Frateili aveva visto e conosciuto da ragazzo, ai tempi dell’impero austro-ungarico e poi, nel 1930, al tempo della Repubblica di Weimar. È un’inchiesta sulla vita tedesca nei suoi vari aspetti, dallo sviluppo della grande industria (Bayer, Hoechst, Zeiss etc.), alla costruzioni delle autostrade, all’educazione paramilitare della gioventù, alla organizzazione e alla formazione delle classi lavoratrici e dei giovani secondo i canoni del nazismo, nonché al controllo delle nuove correnti artistiche e letterarie e alla lotta contro gli ebrei. Questi due ultimi aspetti sono molto inquietanti e, come vedremo, Frateili, che pure proveniva dall’Italia totalitaria e fascista di Mussolini, fatica a condividerli anche se in fondo finisce per accettarli, o quanto meno a cercare di farsene una ragione.

 

L’equivalente del Dopolavoro Fascista è nella Germania di Hitler l’istituzione Kraft durch Freude (“Forza attraverso la Gioia”) che sposa sport e divertimento e ha un impatto assai importante e capillare sulle classi meno abbienti. Lo scopo è “di mantenere allegri i tedeschi con divertimenti sani, onesti, istruttivi, e nel considerare il divertimento come un’opera di profilassi sociale”.

 

In quest’ottica il ministro della cultura Joseph Goebbels aveva dato precise istruzioni all’industria cinematografica nazionale per produrre “più film lieti che malinconici, più commedie che drammi”. Inizia così una sorta di “bonifica” del divertimento; il Nazionalsocialismo sopprime tutto ciò che riguarda il libero godimento secondo le proprie passioni, in quanto occorre ricostruire un ordine morale basato “sul sentimento familiare e la sanità della razza”.

 

Oggi, scrive Frateili, basta essere denunziato come pederasta per avere a che fare con la polizia. E ricorda la Berlino del 1930 dove tutto era lecito e permesso perché nulla era considerato immorale, anzi poteva costituire una interessante esperienza di vita e di libertà. Il Nazionalsocialismo ha capito il rischio potenziale di questa mancanza di controllo perché “in tal modo una civiltà e un popolo se ne andavano in malora” e ha fatto piazza pulita limitando il rapporto esibito fra i due sessi ma, conclude, “un bacetto in pubblico anche nella Germania hitleriana non è proibito”!

 

Frateili indaga sul rapporto tra gli intellettuali e lo stato e si interroga su “quale pane spirituale offre o permette il regime hitleriano” e quale considerazione ha per quel mondo di artisti, scrittori, filosofi, musicisti, che hanno reso grande la Germania. Premette che la classe degli intellettuali è per sua natura la più restia a farsi dirigere e organizzare in una “norma comune d’azione e di pensiero” ma ricorda che in Italia “l’ordine fascista è stato accolto senza turbamenti e dispersione di forze”. Purtroppo questa frase conferma come anche una persona intelligente come Frateili fosse alla fine succube dell’indottrinamento fascista e, forse, del timore di uscire dai canoni del pensiero politico e culturale mussoliniano.

 

Il giornalista annota che secondo il regime nazista, per la scarsa duttilità della sua dottrina ”e particolarmente per la dogmaticità del principio razziale posto da Hitler alla base del suo programma (quando si pensi che moltissimi dei più noti ingegni tedeschi nel campo delle scienze erano ebrei), l’inquadramento degli intellettuali doveva produrre maggiori scosse”. Per capirne di più Frateili si rivolge all’entourage della Reichskulturkammer (Camera Statale di Cultura), creata da Goebbels che ne è presidente, per unire e sorvegliare gli intellettuali tedeschi.

 

La Reichskulturkammer sovrintende alle varie arti in modo capillare affinché nessuna attività possa sfuggire al suo controllo che è politico, spirituale e anche economico. Ne sono esclusi gli ebrei che in Germania “sono tollerati, ma isolati” però, aggiunge Frateili, “è anzitutto da escludere nell’azione del nazionalsocialismo contro gli ebrei, ogni manifestazione violenta”. Questa affermazione sarà tragicamente smentita dalla devastante Kristallnacht (Notte dei Cristalli), il pogrom condotto dalle SS contro la comunità ebraica con la distruzione di oltre 1.000 sinagoghe, 7.000 negozi, case, scuole e ospedali ebraici, che sarebbe avvenuta due anni dopo, nel novembre del 1938. Circa 30.000 ebrei maschi di età compresa fra i 16 e i 60 anni furono arrestati e deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen.

 

Una delle manifestazioni del nuovo ordine della cultura tedesca è stato il decreto di Goebbels sul divieto della critica artistica che “è stato un altro sasso scagliato con teutonica durezza nella palude del libertarismo internazionale”. Frateili ne rimane stupito ma, anche se non lo condivide, tenta di giustificarlo considerando che la mentalità tedesca e molto diversa dalla nostra. Il decreto vieta alla critica ogni giudizio di merito e le impone un compito puramente informativo; si rivolge particolarmente alla critica giornalistica, per il suo impatto immediato sull’opinione pubblica, e a quella cinematografica data la grande importanza che il nazionalsocialismo affida a questa arte.

 

Il decreto vieta l’attività giornalistica ai minori di 30 anni, impone la pubblicazione di un articolo dopo almeno 24 ore dall’avvenimento, ma quello che conta “è lo spirito del provvedimento, che è spirito antiebraico e antibolscevico”. Le ragioni del decreto, secondo il partito nazista, vanno ricercate nel nefasto influsso che i giornalisti e i critici ebrei hanno avuto dall’inizio del Novecento imponendo “il loro particolare concetto della vita e dell’arte, le prodezze del loro spirito, le loro freddure (…). A questi ebrei non importava la validità del lavoro artistico che recensivano, ma la bontà del loro articolo critico dove giudicavano qualunque cosa con grande presunzione e supponenza, glorificando spesso critiche e derisioni allo spirito nazionale tedesco, esaltando ad esempio le opere teatrali “dell’ebreo bolscevico Piscator”.

 

Il regista teatrale Erwin Piscator nel 1939 dovette emigrare negli Stati Uniti dove creò la scuola d’arte Dramatic Workshop che avrà tra i suoi allievi Tennessee Williams, Marlon Brando, Tony Curtis, Rod Steiger e tanti altri attori e commediografi divenuti famosi nel dopoguerra. Tornerà in Germania nel 1951.

 

Frateili vede lucidamente “lo sconquasso che il regime hitleriano ha prodotto nel campo intellettuale, e la funzione fondamentale che il nazionalsocialismo attribuisce ai propri postulati politici, morali e razziali nelle questioni dell’arte”. In particolare, nel campo della letteratura, il giornalista ha una lunga conversazione con due intellettuali appartenenti alla Reichsschriftumkammer (Camera degli Scrittori) che gli spiegano la situazione: prima dell’avvento del nazionalsocialismo vi era una letteratura che riguardava i problemi sociali, di tendenza marxista o comunista, “anarcoide e di un pessimismo deleterio”.

 

Autori di questa tendenza sono considerati Alfred Döblin (Berlin-Alexanderplatz), Heinrich Mann (Der Untertan), Bertold Brecht (Dreigröschenoper) e molti altri. Poi c’è il gruppo della letteratura borghese che è di carattere decadente, liberale, estetizzante, “dominata dal problema sessuale sotto l’aspetto della psicanalisi”. Gli autori principali sono Thomas Mann (La montagna incantata), Stefan Zweig , Franz Werfel, Klaus Mann ecc.

 

Molti di questi scrittori erano ebrei (Döblin, Werfel, Zweig, Maz Brod e altri) e la loro letteratura di guerra era totalmente disfattista, basta pensare a Im Westen nicht Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale) di Erich Maria Remarque. Come si può constatare oggi, questi autori hanno rappresentato il meglio della letteratura tedesca della prima metà del Novecento, mentre il lungo elenco di scrittori la cui opera “contiene elementi assai importanti dell’ideologia filosofica del nazionalsocialismo” sono praticamente sconosciuti se si eccettua Ernst Jünger i cui saggi sono ancora di notevole interesse.

 

Per la poesia, Frateili afferma che ci sono dei poeti validi usciti dalle file del partito le cui opere sono ispirate dall’idea nazionalsocialista: “esse volgono intorno alla poesia del Terzo Reich, e trattano del lavoro, del movimento, dell’unione delle classi, del socialismo”. I nomi che vengono elencati hanno oggi un riscontro pressoché nullo nella poesia europea.

 

Frateili accenna all’atteggiamento ostile del nazionalsocialismo verso il Cristianesimo Cattolico e Protestante e lo spiega con lo sforzo del regime di sottrarre al controllo delle organizzazioni confessionali l’educazione politica della gioventù. Inoltre nota con preoccupazione che in certe correnti naziste si propugna il ritorno ai miti pagani e quindi a una forma di pangermanesimo ateo e primitivo.

 

Ma è sulla questione ebraica che il giornalista italiano chiede spiegazioni in modo molto netto: “Non capisco come si possa imperniare sulla lotta contro gli ebrei tutta la vita spirituale, politica, economica di un grande popolo. Il bando che voi date agli ebrei, se lo si può giustificare in linea di principio, si risolve in pratica in una persecuzione inumana, dove paga anche il giusto per il peccatore”.

 

La risposta del suo interlocutore è egualmente decisa: “Gli ebrei non sono tedeschi”.

 

Frateili insiste dicendo che non si può risolvere la questione appellandosi al materialismo delle teorie di Rosenberg, e inoltre ci deve essere una ragione molto profonda per arrivare, discriminando in modo violento gli ebrei, a tirarsi addosso l’odio di mezzo mondo per la negazione dei più elementari sentimenti di umanità.

 

Qui l’interlocutore ribatte citando un passo dell’ebreo Walter Rathenau, ministro nel 1922 della Repubblica di Weimar per pochi mesi prima dell’assassinio da parte di due terroristi di estrema destra, che rivolgendosi ai suoi correligionari nel 1897 iniziava dicendo: “Siete diventati un popolo di mercanti e di mediatori, che non può piacere al Dio dell’ira e della vittoria, cui piacque soltanto un popolo guerriero. Vi dicevate scaltri e furbi, perché chi ha la ricchezza ha il potere. Ora avete la ricchezza, ma i vostri ricchi sono meno rispettati dei vostri poveri (…)”.

 

Ma, continua l’intervistato, l’appello di Rathenau restò inascoltato, mentre orde di ebrei si lanciarono alla conquista dei posti di potere dopo la sconfitta della Grande Guerra, corrodendo l’impalcatura dello Stato “demolendo ogni concetto etico e morale, sino a fare l’apologia dell’incesto e di tutti i pervertimenti”. Inoltre attraverso i confini orientali erano immigrati in Germania ebrei di infimo ordine “carichi di odio contro tutto ciò che era legge, ordine, regola, tradizione”.

 

Costoro praticarono ogni sorta di corruzione, di truffa, e lavorarono per organizzare un forte partito bolscevico nella nostra patria. Furono accolti e integrati subito dagli ebrei tedeschi che avevano in mano ogni potere, banche, università, giornali, teatri, industrie, commerci. Fu così che il giudaismo raggiunse posizioni di assoluto predominio nei vari settori della vita tedesca. “Deputati e alti funzionari ebrei appoggiavano ogni idea uscita dal crogiolo giudaico e diretta al fine di portare alla perdizione il popolo tedesco”. Inoltre le intelligenze ebraiche compivano un incessante lavoro corrosivo nel campo della letteratura, del teatro e del cinema, mentre spadroneggiavano nel campo finanziario e universitario.

 

A questo punto l’interlocutore si domanda: “Che cosa doveva fare il popolo tedesco? (…) Se voleva vivere, anzi rinascere, non gli restava che rimettere ordine, ridando la Germania ai tedeschi e riducendo gli ebrei alla condizione di ospiti non desiderati”.

 

Qui Frateili depone le armi e scrive: “Ed io confesso che, da quel momento, ho visto la questione degli ebrei in Germania sotto una nuova luce”.

 

Ma, come si vedrà al termine del secondo conflitto mondiale, il massacro di milioni di ebrei nei campi di sterminio, una delle più grandi atrocità mai compiute nella storia dell’umanità, sarà la vera soluzione che il nazismo aveva già in mente per risolvere il problema degli “ospiti non desiderati”.



 

 

 

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