[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 150 / GIUGNO 2020 (CLXXXI)


contemporanea

Sulla riforma agraria in Lettonia

periodo interbellico / Parte II

di Andrea Cecchini


La caduta della coalizione Meierovics e l’ascesa al potere dell’esecutivo guidato da Voldemārs Zāmuels segnò un ulteriore inasprimento delle misure adottate dal governo. Una nuova legge del 30 aprile 1924 ribadiva difatti le precedenti disposizioni emanate dalla Costituente, esonerando perciò lo Stato da qualsiasi onere risarcitorio. Frattanto i «governi francese e polacco hanno già dato assicurazione che i rispettivi ministri a Riga si associarono in una nota di protesta». Parallelamente lo schieramento balto-tedesco alla Camera si appellò, ma invano, alla Società delle Nazioni il cui raggio d’azione era circoscritto alla sola diplomazia internazionale e non comprendeva dunque l’elaborazione di specifici piani di interventi capaci di risolvere le controversie sorte all’interno delle singole compagini statali.

 

Il governo Zāmuels ebbe vita breve non riuscendo perciò ad addivenire a una soluzione istituzionale condivisa che, in tempi brevi, accontentasse tutte le parti in causa. L’adozione del sistema proporzionale produsse, in sintesi, effetti profondamente negativi, quali lo snaturamento del parlamentarismo, la frammentazione della rappresentanza e l’indebolimento dell’autorità governativa.

 

Gli unionisti contadini, dopo aver avviato complesse consultazioni con i gruppi moderati più vicini al loro schieramento, garantirono al Paese un nuovo esecutivo guidato da Hugo Celmiņš. Nel frattempo, la questione agraria, ancora insoluta, aveva assunto connotati politici e sociali «della più alta importanza, e i partiti politici ne hanno fatto quasi una bandiera per combattersi tra loro: la destra sostenendo la moralità dell’indennità, i socialisti affermando il carattere del privilegio di classe a favore dell’aristocrazia e della borghesia».

 

Parallelamente il nuovo Ministro degli Affari Esteri, Meierovics, avviò colloqui privati con l’ambasciatore italiano a Riga Renato Piacentini al fine di risolvere i «casi italiani» e pervenire alla conciliazione tra la Repubblica baltica e il governo di Roma. Era chiaro che Riga non aveva dimenticato gli sforzi diplomatici compiuti dall’Italia per far sì che la Lettonia venisse pienamente riconosciuta a livello internazionale. A tal proposito Zigfrīds Anna Meierovics, il 25 luglio 1925, si recò in visita ufficiale a Roma. Nella sfarzosa cornice di Villa Torlonia il ministro lettone incontrò il presidente del consiglio del Regno d’Italia Benito Mussolini con il quale concluse un’importante convenzione commerciale la cui entrata in vigore, però, era «inestricabilmente legata agli indennizzi da percepire agli otto italiani residenti in Lettonia a fronte degli espropri avvenuti nel 1920».

 

La questione, dunque, ebbe un considerevole eco internazionale e delle pesanti ricadute sulla tenuta complessiva della coalizione. I componenti dell’esecutivo, difatti, avevano maturato visioni contrastanti mentre cominciò a serpeggiare l’idea «che concessioni ai proprietari espropriati, sia pure stranieri possano offrire un’arma elettorale al già forte partito socialista».

 

Dal canto loro i socialdemocratici, in virtù dei maggiori seggi occupati in Parlamento, erano disposti a tutto pur di evitare che lo Stato versasse qualsiasi somma riparatoria ai cittadini stranieri espropriati. Il complesso scenario politico interno venne ulteriormente scosso dalla sopraggiunta notizia della morte del Ministro Meierovics, che tanto si era prodigato e sacrificato per risolvere gli innumerevoli problemi sorti in seguito all’emanazione della riforma.

 

È all’interno di questo convulso, frenetico e incerto quadro politico-istituzionale che nell’ottobre 1925 si erano svolte le nuove elezioni nazionali. Dalle urne era uscita l’immagine di un Paese fortemente spaccato, che aveva indirizzato le proprie preferenze verso il Partito socialdemocratico e l’Unione dei contadini, tra loro incompatibili e in costante competizione per definire i nuovi possibili assetti governativi. Questa lacerante contrapposizione non permetteva di percorrere alcuna soluzione di compromesso istituzionale, rappresentando al contempo un grave ostacolo per il progresso della Nazione. La soluzione della questione appariva così difficile, complessa e soprattutto impercorribile.

 

Dopo una lunga fase di transizione, il 24 dicembre 1925, Ulmanis costituì un debole governo di minoranza. Parallelamente i rappresentanti diplomatici francesi avevano indirizzato al nuovo esecutivo una nota di protesta nella quale biasimavano «la lunga dilazione delle trattative circa la questione agraria» e richiedevano apertamente «che i sudditi francesi non siano indennizzati con cifre fittizie ma reintegrati nel valore dei rispettivi possedimenti sequestrati calcolato al prezzo effettivo di avanti guerra». Il consiglio dei ministri, di concerto con le commissioni finanze ed esteri, ritenne equo e adeguato determinare la somma risarcitoria in «30 franchi d’oro per ettaro su intera proprietà espropriata».

 

L’ambasciatore italiano a Riga Renato Piacentini, in un telegramma del 19 marzo 1926, traccia un resoconto piuttosto dettagliato sul gravoso tema degli indennizzi e sulla stabilità della coalizione Ulmanis: «l’incaricato dal ministro per gli affari esteri, prof. Albat, il quale aveva promesso di inviare una nota impegnativa solo da parte lettone confermante la proposta del governo lettone di pagare 30 franchi d’oro per ogni ettaro espropriato ai cittadini italiani e francesi e fissate le modalità del pagamento e toccante la questione degli interessi legali non ha finora espletato alle sue promesse mettendo nero su bianco. Il governo lettone dopo il rifiuto del dottor Schuman è privo di un titolare per gli affari esteri, la direzione del ministero è stata assunta dal segretario generale con la qualifica di reggente. Il prof. Albat ha rifiutato già più di una volta la carica di ministro, perché estraneo alla politica, privo di una basa parlamentare del Ministro Ulmanis è minata dall’ostruzionismo parlamentare che da oltre un mese a questa parte boicotta ogni decisione del governo avendo preso lo spunto dalla discussione delle leggi doganali. Cosa che anche il presidente del consiglio deve prendere di volta in volta per prendere decisioni importanti un onore finanziario ottenere il preventivo placet delle commissioni parlamentari. Il concedere l’indennità di 30 franchi è già di per sé una agevolazione. Il governo lettone avrebbe in animo di assegnare gli stranieri da indennizzare a due categorie e ciò per quelli che erano tali prima del 1914 e quelli che hanno acquisito la cittadinanza estera solo inseguito concedendo a quest’ultimi non più di 10 franchi d-oro per ettaro. Quanto alle modalità di pagamento il prof. Albat stima che qualora il governo italiano fosse disposto ad accettare la base di pagamento di 30 lire non sarebbe difficile accordarsi con il governo lettone disposto a iniziare i pagamenti già dal prossimo giugno. Sulla questione degli interessi legali come si evince avrebbe discusso il consiglio dei ministri. Lo stesso incaricato di Francia con il quale sono in quotidiani rapporti mi ha detto di ritenere che il suo governo avrebbe rinunciato agli interessi e avrebbe accettato i trenta franchi d’oro esigendo adeguate condizioni di pagamento. Egli ha anche confidato al diplomatico italiano a Riga che la minaccia francese di ricorrere all’Aja doveva considerarsi del tutto accademica. Il termine fissato sia dalla Francia che dalla Polonia al governo lettone scade il 31 corrente e non credo che quest’ultimo lo lascerà scadere senza dare anche a noi la risposta impegnativa scritta che ha promesso».

 

Il 4 maggio 1926 si apriva una nuova crisi politica che costrinse l’esecutivo Ulmanis a rassegnare le dimissioni. Il 7 maggio 1926, dopo varie e intense consultazioni, Arturs Alberings assunse la guida del governo. Tuttavia, la nuova maggioranza visse fra continue oscillazioni e incertezze in quanto minata dalle diffidenze reciproche che intercorrevano fra le sue diverse componenti. Malgrado ciò, però, la coalizione Alberings decise di confermare la proposta «di 30 lats per ettaro senza interesse né arrotondamento». Una somma dunque assai inferiore rispetto al reale valore dei beni confiscati dallo Stato a partire dal 1920. E per di più il governo lettone, data la complessa situazione finanziaria del Paese, tergiversò a lungo sul tema degli indennizzi assumendo «un atteggiamento ostruzionistico nei riguardi della questione agraria allo scopo di procrastinare i pagamenti e diminuirli».

 

L’esecutivo dovette inoltre affrontare le crescenti pressioni provenienti dai cittadini lettoni, i quali continuavano a chiedere con insistenza nuovi spazi coltivabili. La maggioranza iniziò persino a paventare l’ipotesi di requisire le vaste distese rurali che circondavano i maggiori centri urbani pur di soddisfare le numerose richieste avanzate dalle differenti fasce sociali della popolazione. Tale ipotesi, al centro di intensi dibattiti e discussioni parlamentari, appariva agli occhi di molti deputati come un’operazione illegittima e perciò inattuabile. Lo stesso Mussolini, in un telegramma del 22 luglio 1926, annotava che «la risposta formalizzata dal governo lettone in relazione alla gravosa questione dell’indennità da versare nei confronti dei sudditi italiani sia vaga e dilatatoria su alcuni punti».

 

Ma una nuova nota del 22 settembre annunciava «l’inizio delle trattative tra la marchesa Tommasi della Torretta barone Pilar e questo ministero degli affari esteri per la liquidazione del suo reclamo». Sull’esito finale di queste particolari trattative non abbiamo, purtroppo, notizie precise. Verso la fine del 1926 il fragile governo Alberings cadde, aprendo così la strada all’ascesa al potere dei socialdemocratici che riuscirono a promuovere un esecutivo a trazione socialista. Questi rivolgimenti politici ebbero un’eco profonda a livello internazionale poiché Mosca, diplomaticamente isolata, vi intravedeva l’opportunità di sviluppare e incrementare le relazioni bilaterali tra i due Stati.

 

A tal proposito, il 2 giugno 1927, Riga e il Cremlino siglarono un importante accordo commerciale che segnò l’inizio di una fase di profonda distensione nei rapporti lettoni-sovietici. Parallelamente il Ministro degli Affari Esteri Felikss Cielēns organizzò una serie di incontri con l’ambasciatore polacco al fine di discutere uno degli aspetti più controversi: il problema delle riparazioni per i cittadini polacchi che vennero privati delle loro terre. Cielēns formulò una prima proposta di compensazione che prevedeva il pagamento «di dieci lats per ogni ettaro di terreno espropriato più gli interessi a partire dalla data dell’avvenuta espropriazione cioè in totale circa 15 lats».

 

La risposta di Varsavia fu, però, ferma e perentoria. Nonostante il diniego del governo polacco, l’offerta rappresentava un «punto di partenza per una futura ripresa delle conversazioni non si è esclusa che la faccenda possa risolversi come si è fatto con la Germania con l’offerta da parte del governo lettone di una somma globale essendo i proprietari polacchi moltissimi sarebbe difficile liquidare caso per caso». Ed è sicuramente paradossale che una coalizione a maggioranza socialdemocratica tentasse ora di intavolare trattative allo scopo di addivenire a una soluzione conciliativa. Alla fine del ’27 l’esecutivo Skujenieks fu ampiamente delegittimato a causa dell’intensa opposizione di cui gli unionisti contadini si fecero portavoce in Parlamento.

 

La guida del Paese fu così assunta da Pēteris Juraševskis (Centro Democratico) che fu chiamato a “traghettare” il Saeima sino alle elezioni politiche del 6-7 ottobre 1928. Sin dagli esordi del suo mandato, il primo ministro dovette gestire una situazione che si faceva sempre più difficile a causa delle innumerevoli accuse rivolte al Ministro della giustizia Magnus (Partito minoranza tedesca) il quale venne tacciato «di voler in avvenire modificare le basi della riforma agraria in maniera tale di arrecare un vantaggio ai possidenti tedeschi–baltici».

 

Il 28 novembre 1928, dopo un lungo periodo di consultazioni e incessanti trattative interparlamentari, Hugo Celmiņš (LZS) formò un nuovo governo presentando al Parlamento la lista dei nuovi ministri. La questione agraria era uno dei tasselli fondamentali del programma elaborato dall’esecutivo Celmiņš che «si adopererà in maniera tale che la riforma agraria abbia la sua definitiva esecuzione, sia al consolidamento delle nuove economie rurali, sia con la condivisione della proprietà fondiaria in Letgallia. Nell’esecuzione della riforma agraria sarà sempre difeso il principio della proprietà privata come nelle vecchie aziende rurali. Nel bilancio annuo saranno assegnati sussidi e crediti per la restaurazione delle aziende andate distrutte durante la guerra».

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]