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CONTEMPORANEA


N. 2 - Febbraio 2008 (XXXIII)

LETTERA 22

UN CARO RICORDO

di Arturo Capasso

 

Tempo fa ho scritto un breve articolo,  dedicato alla mia macchina fotografica Condor. e ai rapporti speciali avuti con lei in tanti anni.

 

Da quel momento – di tanto in tanto – si affacciava un’altra immagine anche a me tanto cara: la Lettera 22.

 

Uno strumento indispensabile per intere generazioni di studenti scrittori poeti professionisti.

 

La portavo sempre con me. Era un gioiellino di efficienza. Il design accattivante, rimase per decenni il cavallo di battaglia della Olivetti.

 

Quando incontrai il grande Adriano Olivetti, in giro per il suo movimento di Comunità, ero lì lì per ringraziarlo, anche a  nome di tanti  piccoli e grandi utenti.

 

La portavo sempre con me, nei brevi e lunghi viaggi. Proprio cinquanta anni fa –nel 1958 – dopo essere stato alcuni mesi a Stoccolma, feci un giro per le città del nord, in pieno inverno e grazie all’Istituto Svedese che me ne diede la possibilità.

 

Arrivai oltre il Circolo Polare Artico nella piccola città di Kiruna, per visitare le miniere di carbone ad oltre quattrocento metri di profondità.

 

E vi arrivai in piena notte, con una ventina di gradi sottozero. Ero equipaggiato maluccio, con un semplice impermeabile di gabardine e un paio di pullover al di sotto. Non avevo neppure le scarpe adatte, e più calzini mettevo più freddo sentivo. Mi fecero capire che occorreva  abbinare cotone e lana, creando una intercapedine fra scarpa e piede.

 

Avevo un pesante zaino sulle spalle e, poggiata su questo, la mia Lettera 22.

 

In piena notte scivolai in malo modo, lo zaino all’indietro e la Lettera davanti, proprio sul capo. La botta fu notevole.

 

Ma io volevo  e volli sempre bene alla mia Lettera 22.

 

Di ritorno dalla Svezia, andai a visitare ad Ivrea la fabbrica dove la producevano.

 

Era un modello di  efficienza e di ottimi rapporti con le maestranze, come fu anche per lo stabilimento di Pozzuoli.

Incapacità e tensioni sociali distrussero  quel mondo felice.

 

I nuovi proprietari non riuscirono a rendersi conto che il vento stava cambiando e tirarono avanti col ricatto dei licenziamenti. Per anni succhiarono miliardi da casse ormai prosciugate e si diedero a pubblicare settimanali e quotidiani, pregni di falso populismo con ammiccanti pagine di pubblicità  di scarpe profumi abiti mutande giubbotti costosissimi.

E con collaboratori super pagati, presi fra professori universitari in corso o ex, consiglieri, tavolorotondisti. E così questi uomini di cultura allattavano – ed allattano a varie zizze: la pensione di professore, la pensione di deputato, la paga per partecipazione ad articoli, mostre, convegni, varie diavolerie.

 

Non solo. Sistemano moglie, figli, nipoti, amiche.

Purtroppo questo costume- anzi malcostume –è in tutte le testate e in tutti i colori politici. Non basterebbe neppure una autentica rivoluzione culturale, come ai tempi di Mao.

 

Ma torniamo alla mia Lettera. Con un bravo ed esperto artigiano la resi più adatta alle mie esigenze. Eliminammo le lettere con gli accenti e lasciammo solo gli accenti nello spazio superiore. Aggiungemmo il dollaro, la sterlina, la cediglia la dieresi e il piccolo accento tondo per le parole svedesi.

 

Ero diventato veloce a scrivere. Oltretutto, avevo fatto lunga esperienza scrivendo decine e decine di bollettini quando ero in Azione Cattolica e si comunicava  la data della prossima adunata.

 

Purtroppo non posso dire per la cara vecchia Lettera quanto dissi per la Condor.

 

Non sta più con me, perché incautamente l’ho riposta in una zona umida e la muffa l’ha resa brutta, inservibile.

 

Non ho avuto la pazienza di pulirla, accarezzarla.

 

Scusami,vecchia cara Lettera 22.

 

 

 

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