[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

162 / GIUGNO 2021 (CXCIII)


filosofia & religione

LEIBNIZ E LA CONCEZIONE DELL’UNIVERSO

UN'INFINITÀ DI PROSPETTIVE

di Raffaele Pisani

 

Impegno concreto per migliorare la condizione umana generale e ricerca dei principi fondamentali della realtà hanno caratterizzato le varie fasi del percorso esistenziale e filosofico di Leibniz.

 

Gottfried Wilhelm Leibniz nacque nel 1646 a Lipsia, il padre, professore di Diritto, morì quando il piccolo aveva appena sei anni. Studiando i libri presenti nella ricca biblioteca paterna ebbe modo di farsi una cultura di base, imparando da solo il latino. Compì l’intero ciclo di studi giuridici, prima a Lipsia poi ad Altdorf, fino al dottorato in utroque iure, ottenne anche la docenza universitaria, ma capì ben presto che il suo campo d’azione era altrove.

 

Si impegnò infatti nell’attività diplomatica, che proprio nel momento storico successivo alla Pace di Westfalia del 1648 veniva ad assumere tratti uniformi nell’intera Europa. Dal 1668, al servizio dell’elettore di Magonza, ebbe modo di attendere ai propri studi senza preoccupazioni economiche. Incaricato di ordinare il Diritto civile, si spinse oltre i compiti a lui richiesti pretendendo di spiegare More geometrico la necessità di appoggiare l’elettore del Palatinato quale re di Polonia. L’attività multiforme di quegli anni andava dagli studi matematici, il calcolo infinitesimale, agli esperimenti chimici, all’approntamento di tecniche che permettessero di ottimizzare il lavoro nelle miniere.

 

L’incarico diplomatico a Parigi per far desistere Luigi XIV dall’invasione dei Paesi Bassi, orientando le mire espansionistiche verso l’Egitto, non raggiunse il suo scopo. In ogni caso il suo soggiorno nella capitale francese, dal 1672 al 1676 con qualche breve interruzione, fu molto proficuo. Venne a conoscere e si confrontò con i filosofi Malebranche e Arnauld e con il matematico Huygens. In una breve parentesi londinese venne accolto alla Royal Society, divenendo membro della prestigiosa istituzione. Di passaggio da L’Aja ebbe modo di incontrare Spinoza, che gli avrebbe letto alcune pagine del manoscritto dell’Etica; ad Amsterdam conobbe lo scienziato Leeuwenhoeck, famoso per le sue ricerche sulla microbiologia.

 

Alla fine del periodo parigino accettò l’incarico di bibliotecario fattogli da Giovanni Federico duca di Hannover, divenendo poi anche consigliere di corte e storiografo ufficiale. Operò con tenacia per l’unione delle Chiese e nel 1683, durante l’assedio turco di Vienna, criticò aspramente il sovrano francese alleato dei turchi in funzione anti imperiale scrivendo Mars Christianissimus ou apologie des armes du Roy Très Chrétien contre les Chrétiens.

 

Consigliere di Federico I di Prussia e dello zar Pietro il Grande, nel 1713 venne accolto alla corte di Vienna, dove elaborò vari progetti economico-sociali. Delle sue opere possiamo ricordare il Discorso di Metafisica (1686), Nuovo sistema della natura (1695), Saggi di Teodicea (1710), Principi della natura e della grazia (1714), la Monadologia 1714 e numerose Epistole.

 

Nella Monadologia, una serie di brevi proposizioni che alcuni paragonano al novecentesco Tractatus di Wittgenstein, scritta negli ultimi anni della sua vita e pubblicata postuma, Leibniz delinea in maniera sistematica la complessa architettura del suo pensiero. L’aveva fatto anche con altre opere come nel Discorso di Metafisica o nel Nuovo sistema della natura e la comunicazione delle sostanze, ma questa può essere considerata una sorta di testamento spirituale. Vedere le stesse cose da punti di vista diversi in un gioco di identità e di differenze costituisce una prerogativa del suo procedere filosofico.

 

Leibniz, si era formato culturalmente con la Scolastica delle università e con la Scienza Nuova delle accademie e dei circoli culturali più innovativi. Né l’una né l’altra a suo dire erano in grado di spiegare con ragione il fondamento filosofico in accordo con i singoli fenomeni. In un periodo in cui le cose erano ancora mescolate egli ha in questo contribuito a far chiarezza distinguendo i vari ambiti. Se Galilei diceva di non voler tentar l’essenza, Leibinz si proponeva di cercare proprio questa.

 

Comincia la Monadologia trattando della sostanza su cui si fonda l’intera realtà: le monadi o entelechìe, il primo termine è di derivazione pitagorica il secondo è chiaramente aristotelico. I sensi non le colgono, la loro esistenza si dimostra razionalmente; constatando che ci sono i composti è necessario concludere che vi siano dei semplici da cui derivano. Diversamente dagli atomi, allora intesi come unità minime inscindibili, ma comunque materiali con forma e dimensione, le monadi sono entità semplici e inestese. La loro semplicità le rende immutabili. La concezione teologica, che chiarirà nelle pagine successive, permetterà di affermare che le monadi sono state create da Dio e solo lui le potrebbe annichilire.

 

Prive come sono di caratteri corporei, si distinguono per le loro qualità che sono la percezione, definita appercezione quando è cosciente, e l’appetizione. Ogni monade percepisce l’intero universo dal suo punto di vista: il medesimo è colto in un’infinità di variazioni; è un po’ come a teatro, gli spettatori collocati in punti diversi vedono certamente la stessa opera rappresentata, ma da angolature differenti. Quanto all’appetizione, ognuna delle monadi ha una tendenza, una sorta di dinamismo interno che la fa passare da uno stato a un altro. Tale concezione si distacca sia dalla meccanica aristotelica sia da quella cartesiana.

 

Se tutte le monadi percepiscono, anche quelle disposte alla costituzione del mondo inanimato, negli animali la percezione è cosciente; lo possiamo inferire osservando i loro organi di senso e il fatto che abbiano la memoria. Nell’uomo a tutto questo si aggiunge la ragione, capace di conoscere le verità necessarie ed eterne della logica e capace pure del dinamismo riflessivo che porta all’autocoscienza.

 

Il principio logico della contraddizione, più comunemente denominato: principio di non contraddizione, ci permette di cogliere quelle verità che non possono non essere tali. La geometria offre al riguardo un campo privilegiato per capire tali principi. D’altra parte l’esistenza umana porta a rilevare dei fatti indubitabilmente veri ma non necessari logicamente. Un esempio di verità del primo tipo, verità di ragione, è che la somma degli angoli interni di un triangolo corrisponde a un angolo piatto; uno del secondo tipo, verità di fatto, potrebbe essere che Giovanni e Anna si sono uniti in matrimonio. Il primo è necessario il secondo contingente. Visto che ci sono delle realtà di fatto, contingenti, vuol dire che c’è una ragione sufficiente affinché esse siano.

 

Il rapporto causale di contingenti rispetto altri contingenti non può reggersi in un rimando all’infinito, «Perciò la ragione ultima delle cose deve essere in una sostanza necessaria, nella quale la particolarità dei mutamenti si trovi solo eminentemente come nella sua origine, e questa è quello che chiamiamo Dio». Alla dimostrazione a posteriori dell’esistenza di Dio conseguono gli attributi di unità, infinità e somma perfezione. Si tratta di una prova a posteriori.

 

Quella a priori segue un ragionamento ancor più sottile, vediamola nel dettaglio: noi abbiamo l’idea di cose possibili, ad esempio, è possibile che in questa casa fra tre mesi nasca un bambino. La proposizione: «esistono realtà possibili» non è solamente vera, ma pure necessaria (non può non essere), infatti è impossibile che tutto sia impossibile; questa solida tautologia ci mette al riparo da ogni dubbio. Assodata la realtà dei possibili, dobbiamo convenire della necessità di un Ente in atto che li pensi come possibili e che possa anche attuarli. La prova assume una diramazione ulteriore, infatti noi non abbiamo difficoltà a concepire Dio come possibile; l’impossibile in senso stretto è solo il contradditorio: l’impensabile come ad esempio un cerchio quadrato; ma se Dio è possibile, considerando la sua natura priva di limiti deve necessariamente esistere.

 

Dio nel creare l’essenza e l’esistenza degli enti dell’universo non procede ad arbitrio, riguardo le verità necessarie egli procede con coerenza logica, non fa essere vera una contraddizione; riguardo invece le verità contingenti sceglie con il principio del meglio, come spiegherà poco oltre.

 

L’universo è costituito dall’insieme di monadi, unità inestese che non comunicano fra di loro, ma direttamente con Dio. È pur vero che il senso comune ci farebbe pensare il contrario e almeno in prima istanza si concilierebbe con la fisica cartesiana. Leibniz ritiene si possa chiarire ricorrendo all’idea di armonia prestabilita. Dio nel creare ogni singola monade la dispone in relazione con le altre secondo il criterio del meglio, del migliore dei mondi possibili, e quella che sembra essere un’azione di una monade su di un’altra è solo una percezione più distinta rispetto l’altra.

 

Una monade A sembra spingere una monade B, ma in realtà sono state disposte da Dio in modo tale che in occasione del movimento della prima si verifichi anche quello della seconda, senza azione dell’una sull’altra.

 

Il corpo degli animali e dell’uomo è costituito da un insieme di monadi unificate da un’anima o monade dominante; naturalmente il significato dei termini si discosta alquanto da quello del cartesianesimo imperante: anima e corpo non sono due sostanze distinte né destinate a separarsi. La morte propriamente non esiste ma è solo una continua graduale trasformazione che dispone le monadi a formare macro o micro corpi.

 

Quanto poi alla monade dominante dovrebbe essere chiaro che lo è perché disposta da Dio a tendere a un fine mentre quelle del corpo agiscono in virtù di una casualità efficiente, il tutto nell’armonia stabilita da Dio. Tra anima sensitiva e anima razionale non c’è differenza sostanziale ma gradualità, Leibniz dice al riguardo: «Sebbene mi paia che ci sia in fondo la stessa cosa in tutti i viventi» a un certo punto si notano delle differenze che meritano essere considerate. Quella fondamentale è che le anime sensitive ordinarie sono perlopiù riflesso del creato mentre quelle razionali, chiamate anche spiriti, sono anche immagini dalle divinità stessa.

 

La società degli spiriti costituisce l’ultima parte dell’opera. Pur concependo anche i Genii, vale a dire esseri spirituali che per comodità potremmo chiamare angeli, peraltro anch’essi provvisti di corpo, il suo discorso sembra riferirsi perlopiù agli uomini.

 

Dio è in rapporto con questi spiriti in quanto ne è artefice per averli creati, principe in quanto li governa con le sue leggi, e anche padre che si prende cura dei suoi figli. La realtà del mondo fisico e quella del mondo morale sono poste in armonia in modo tale che l’azione moralmente giusta è compensata dalla natura stessa, mentre quella malvagia con lo stesso mezzo è punita; questo avviene nei tempi e nei modi che solo Dio può conoscere.

 

Se in quest’opera possiamo vedere una sintesi del pensiero leibniziano, è pur vero che tante cose rimangono da spiegare, Ad esempio, da quel che abbiamo letto è difficile capire se le monadi siano libere o rigidamente determinate, e ancora: com’è possibile la sofferenza del giusto?

 

Per questo si rende necessario allargare un po’ il raggio di ricerca ad altre sue opere e anche al suo agire concreto. Leibniz non è certamente un pensatore solitario ma ben inserito nel dibattito europeo e la sua filosofia sarà destinata a dominare nelle università fino a Kant.

 

Cercando di interpretare il suo pensiero riguardo la formazione delle monadi, possiamo ritenere per certo che, se di libertà si tratta, deve essere una libertà creaturale, simile a quella che la tradizione attribuisce agli uomini e al loro libero arbitrio. Nell’Europa uscita dalla guerra dei trent’anni e dagli strascichi successivi il tema della libertà, della grazia e della predestinazione divenne una questione interna ai singoli stati. Questo dava una certa garanzia di pace anche se rimaneva a livello teorico una questione aperta.

 

La posizione di Leibniz si articola in argomentazioni molto sottili, che peraltro hanno riscosso una limitata approvazione. Le monadi, qui parliamo di quelle superiori, sono state create libere, in quanto non limitate da fattori esterni; sono intelligenti e possono passare da un grado minore a uno maggiore di perfezione. Il loro agire contingente sembra confliggere con l’armonia prestabilita; la spiegazione è data dal fatto che Dio nel suo infinito presente prevede i futuri contingenti, senza per questo interferire. Prevedendo quale sarà la singola azione libera delle infinite monadi, Dio le dispone a costituire il migliore dei mondi possibili. Egli non procede come un contabile che, numeri alla mano, constata qual è il meglio. Egli sceglie con la sua infinita saggezza.

 

Se il male presente nel mondo possa coesistere con la giustizia e la bontà divina è tema che Leibniz affronta nei Saggi di Teodicea. Dio è il luogo dei possibili ed egli fra questi ha scelto con la volontà antecedente l’insieme migliore. Il mondo in cui siamo posti, pur essendo il migliore dei possibili non è tuttavia perfetto avendo il limite metafisico della creaturalità. Il male fisico non comporta tanti problemi di spiegazione, può infatti essere agevolmente messo in relazione sia al limite creaturale sia a comportamenti sbagliati.

 

Il punto forse più interessante riguarda libertà delle monadi superiori, che può portare a scelte verso il male. D’altra parte anche dall’azione malvagia, di solito si fa l’esempio del tradimento di Giuda, Dio con la sua volontà conseguente riesce a trarre il meglio. Non vuole il male ma lo consente e ricava da questo un bene più grande.

 

Leibniz pensava di poter spiegare con i suoi sottili ragionamenti il rapporto tra libertà e predestinazione, sperando di poter conciliare le dottrina cattolica con quella calvinista.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Massimo Donà, Gottfried Wilhelm Leibniz, in Filosofie nel tempo, vol. II, SPAZIO TRE, Roma 2002.

Gottfried Wilhelm Leibniz, Monadologia, a cura di Sofia Vanni Rovighi, Editrice la Scuola, Brescia 1975.

Gottfried Wilhelm Leibniz, Saggi di Teodicea, a cura di Vittorio Mathieu, San Paolo Edizioni, Milano 1994.

Vittorio Mathieu, Introduzione a Leibniz, Editori Laterza, Roma-Bari 1986.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]