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N. 99 - Marzo 2016 (CXXX)

LE ORIGINI DI ROMA

ROMOLO E REMO, DUE GEMELLI PER UNA CITTÀ

di Paola Scollo

 

 

La storia di Roma ha origine dalla questione di Alba. Secondo il mito, per imposizione del re di Alba, Amulio, i figli del fratello Numitore non avrebbero dovuto generare pretendenti al trono. Per queste ragioni, Rea Silvia, figlia di Numitore, viene consacrata vestale. Il divieto regale, però, è infranto dalla volontà divina: dall’unione del dio Marte e di Rea Silvia sono generati due gemelli. Inizia così la storia di Romolo e Remo, ultimi principi di Alba pretendenti al trono, figli non di un re, ma di una principessa e di un dio.

 

Appena nati, i gemelli vengono espulsi da Alba; tuttavia, riescono a sottrarsi all’inevitabile destino di morte, ancora una volta, grazie all’intervento divino: dapprima, una lupa li allatta, poi Faustolo, pastore delle greggi di Amulio, e la sua compagna Acca Larenzia accolgono i gemelli e li allevano. Pur vivendo da pastori, i bambini crescono coraggiosi e forti come divinità. Secondo il mito, un giorno Remo, a causa di un contrasto con i pastori di Numitore, viene fatto prigioniero e condotto al re Amulio per essere punito. Nel frattempo, Faustolo svela a Romolo le sue origini semidivine. Il giovane decide quindi di liberare il fratello: insieme a un gruppo di amici, assale la reggia di Amulio, uccide il re, libera Remo e pone sul trono di Alba Longa il nonno Numitore. In tal modo, Romolo vendica l’oltraggio subito dalla madre, Rea Silvia, e ottiene da Numitore una parte di regno. È proprio a partire da questo momento che il destino di Romolo sembra essere segnato.

 

Dopo aver restituito il regno a Numitore e aver offerto onori alla madre, Romolo e Remo decidono di fondare una città. Giunti sui pascoli del Tevere, laddove erano stati esposti e allevati, sorge una contesa tra Romolo e Remo, indicata da Livio come «il male ereditario della cupidigia del regno» (I 8. 4 - 6). In particolare, i motivi di contrasto sarebbero tre: il sito su cui fondare l’urbs, il nome da assegnare alla nuova città e l’eventuale fondatore/re. La tradizione concorda nel ritenere che i due fratelli siano ricorsi ad auspici per dirimere la contesa.

 

Stando a Plutarco, una volta ottenuto il responso divino, Romolo prende possesso del luogo indicato da Giove, il Palatino, quindi inaugura e trasforma il monte in città, cingendolo di muri sancti, ovvero invalicabili. Tuttavia, «quando Remo scoprì l’inganno (di Romolo), si adirò; e, poiché Romolo scavava un fossato con cui avrebbe circondato tutt’intorno le mura, si faceva beffe dei suoi lavori e cercava di ostacolarli. Alla fine, superò il fossato con un salto; dicono che cadde lì, secondo alcuni colpito dallo stesso Romolo, secondo altri da uno dei suoi compagni, un certo Celere. Nello scontro caddero anche Faustolo e Plistino, che – a quanto dicono – era fratello di Faustolo e lo aveva aiutato a tirar su Romolo e il fratello» (X 1 - 2).

 

L’uccisione di Remo si configura quale elemento essenziale nella struttura del racconto, indispensabile per l’evoluzione della vicenda. Remo non è destinato a regnare, in quanto non ha ottenuto da Giove il diritto di fondare la città, non ha ricevuto l’investitura divina. Ma c’è di più. Ha tentato di opporsi al volere divino, violando la sanctitas delle mura, quindi merita di essere punito. Di contro, Romolo, pur essendosi macchiato dell’orrendo crimine di fratricidio, può esercitare l’imperium e instaurare la monarchia perché è predestinato.

 

Occorre comunque sottolineare che il fantasma di Remo continua a essere vivo. Secondo il mito, infatti, dopo l’uccisione del giovane, la città di Roma è sconvolta da calamità, disordini e lotte intestine. Romolo decide quindi di invocare l’oracolo. «Se tuo fratello non verrà posto sul trono regale, la tua città Roma non si stabilizzerà, né si placheranno il popolo e la guerra» è la sentenza della Pizia. Si narra quindi che Romolo abbia fatto realizzare un busto d’oro a immagine del fratello e che abbia collocato la figura sul suo trono. «E così regnò per il resto del tempo con l’immagine d’oro del fratello Remo vicina a lui; i disordini della città cessarono e la rivolta popolare si placò. E se ordinava o decideva qualcosa, ne parlava come se provenisse da lui e da suo fratello, dicendo “Abbiamo ordinato” e “Abbiamo deciso”».



 

 

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