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arte


N. 95 - Novembre 2015 (CXXVI)

Land Art

la questione ambientale diventa espressione culturale
di Monica Vargiu

 

Siamo negli anni 60, una rivoluzionaria libertà interpretativa, frutto di un intenso momento storico, politico e sociale, investe il mondo dell'arte che, grazie ai copiosi fermenti intellettuali di inizio secolo, elabora nuovi codici di comportamento e di espressione.

 

Di fatto l'intero Novecento è all'insegna di una ricerca espressiva che vira in modo sempre più marcato verso una consacrata libertà di temi e dove le immagini, le scelte esecutive, i "sottotraccia" creativi, diventano veri e propri protocolli personali di atteggiamento e sperimentazione.

 

Nel 1965, una corrente artistica, meglio conosciuta come "Arte concettuale", sancisce una profonda frattura con quelli che erano stati fino ad allora i modelli esecutivi universalmente riconosciuti; questa nuova filosofia espressiva elude infatti ogni possibilità di comunicazione e qualunque intento "didattico", per porre unicamente l'accento sul concetto intrinseco di rappresentazione, ossia sull'idea che è alla base della creazione artistica e non sulla sua realizzazione.

 

Nell'alveo di questo sperimentale codex etico ed estetico, si sviluppa la Land Art che rappresenta la reale presa di coscienza dell'esistenza della questione ambientale da parte degli artisti, "l'affermazione visiva" di un intento a volte liberatorio, a volte provocatoriamente costrittivo e non "funzionale" alla mercificazione, che racchiude in sé, l'intento più profondo di una riflessione slegata dagli schemi e dai canoni esecutivi tradizionali, percepiti ormai come troppo accademici e obsoleti.

 

Assistiamo dunque all'arte per l'arte nel suo farsi, dove fine e mezzo coincidono, dove oggetto e soggetto della rappresentazione si fondono in un mutevole divenire, simboli nel contempo di effimero ed eterno, destinati a consumarsi e a rigenerarsi in modo autonomo e significativi degli estremi opposti insiti nella natura: forza e debolezza, caducità e rinascita.

 

La Land Art attinge a una sintassi dinamica esaltando però la fissità assoluta degli archetipi e rivolgendo la propria attenzione a materiali 'comuni' come la terra o le pietre e dispiega, attraverso un apparente nonsenso, la sua riflessione estetica sul rapporto fra uomo e ambiente.

 

La rappresentazione, diventa allora riflessione aperta a differenti conclusioni e dibattito spesso estremo e originale, dove la natura non è solo soggetto statico, ma materia viva, autrice a sua volta, nonché vera e propria essenza dell'opera.

 

L'artista crea spesso enormi allestimenti permeati di profondi significati simbolici, che esprimono nella loro veste straordinaria la propria condizione transitoria e queste immagini di breve durata temporale, vengono consegnate ai posteri attraverso sequenze di scatti e filmati che immortalano l'intero iter esecutivo.

 

Se, come affermava il grande Michelangelo Buonarroti, l'opera d'arte è imprigionata nella materia e il compito dello scultore è liberarla e portarla alla luce, nella Land Art, l'artista sviluppa una sorta di atto maieutico, soprattutto a livello concettuale e tale gesto, diventa parte integrante dell'opera, segmento creativo che conferisce forza espressiva all'intera rappresentazione.

 

La performance esecutiva, sviluppa quindi l'intento fondamentale di essere "atto culturale" nella sua forma più pura, anche se non immediatamente intuibile, e la natura è di fatto rappresentativa di se stessa, nella sua veste più intima e primordiale, esprimendo, tutta la sua deflagrante forza espressiva attraverso l'astrazione.

 

Sconfinate distese desertiche, corsi d'acqua, fondali marini e costoni rocciosi, divengono temporanei siti ideali per sviluppare e amplificare l'espressione artistica, dove l'autore 'esplora' e si confronta con il territorio, dilatandone le sue infinite possibilità attraverso un'azione straordinaria di straniamento del reale e semplificando il proprio registro linguistico-rappresentativo fino a raggiungere in taluni casi, un cripticismo da adepti.

 

L'osservatore viene quindi coinvolto in un'esperienza estetica di cui l'artista è promotore e arbiter e dove il paesaggio è luogo di vita, animato da dialoghi cromatici di forte impatto visivo, che si trasforma con il variare della luce, dando luogo talvolta, a surreali immagini oniriche, marcatamente enigmatiche.

 

Per Richard Long, (che nel tempo ha preso le distanze dalla Land Art, ma la cui opera presenta molti punti di contatto), la relazione fra uomo e natura è autonomamente "fatto creativo", che, nella trasposizione artistica, deve essere spogliata di inutili ridondanze e deve essere colta nel suo significato più puro e immediato; questo intento viene ben rappresentato nella sua opera "A line made by walking" del 1967, che, in uno scatto fotografico immortala una semplice linea retta creata dai suoi ripetuti passaggi sul terreno, un gesto elementare, abituale, ma proprio per questo carico di significati ancestrali.

 

In realtà, il concetto simbolico di cammino viene reiterato in gran parte della sua produzione, anche attraverso l'uso di materie prime povere, segni totemici di un percorso di vita individuale e solitario che anela all'infinito e che conquista nel tempo, anche gli spazi espositivi delle più prestigiose rassegne internazionali.

 

Il leitmotiv della coppia di artisti Christo e Jeanne Claude è invece l'operazione di impacchettamento di imponenti strutture naturali o create dall'uomo che inizialmente, prende spunto dal Surrealismo, per poi svilupparsi in maniera sempre più autonoma e positivamente ambiziosa.

 

Destano stupore e meraviglia gli scatti che immortalano l'imponente costa australiana avvolta da migliaia di metri di tessuto bianco, impresa avvenuta nel 1969, o quella del Parlamento tedesco, fino alle mura romane nei pressi di Villa Borghese nel 1974, solo per citare le opere più suggestive.

 

Robert Smithson incentra invece l'intera sua opera sulla ricerca espressiva legata alla connotazione mutevole della materia, egli è principalmente attratto dal processo di disgregazione, disfacimento e decadenza di quest'ultima anche per mano dell'uomo.

 

L'artista crea talvolta un legame con i consueti spazi espositivi, introducendone all'interno opere costituite da agglomerati di terra e pietre, elementi naturali da cui ha origine il tutto, anche le stesse strutture in cui le opere sono esposte e proprio per questo, esse assumono un significato assoluto, un senso attraverso il non senso in relazione all'arte tradizionale, fino a diventare stimolo culturale e avanguardia di pensiero.

 

Smithson utilizza anche frammenti di specchio che riflettono e moltiplicano le possibilità visive, come nell'opera "Sandstone with mirror" del 1969, anche se il suo lavoro maggiormente rappresentativo risulta essere la "Spiral jetty", straordinario allestimento colorato e cangiante prodotto nel lago salato dello Utah e visibile parzialmente solo dall'alto, che rimanda alle possenti strumentazioni meccaniche che lo hanno determinato, attraverso l'interazione dell'azione umana con lo specchio d'acqua.

 

Jason deCaires Taylor, trova nei fondali marini il luogo più consono per esprimere la propria idea di arte, egli infatti crea imponenti gruppi di statue realizzate in materiali ecocompatibili, che gli permettono, attraverso le variazioni naturali di flora e fauna presenti negli ecosistemi di integrare le proprie opere nella natura, alimentando una sorta di simbiosi estetica molto suggestiva. questa forma di integrazione e di intima riflessione che viene proposta allo spettatore è sempre un motivo dominante, di cui è possibile fruire visitando il Museo subacqueo dell'Arte in Messico o i gruppi scultorei presenti nel parco acquatico sito nella costa occidentale di Grenada.

 

La sperimentazione, la ricerca espressiva nelle sue infinite variazioni della Land Art, accoglie anche lo stimolo legato alla custodia del ricordo storico del territorio, a questo proposito "Il Cretto di Gibellina" di Alberto Burri diventa immagine solenne di una catastrofe naturale, custode silente della devastazione drammatica del terremoto avvenuto nel paese siciliano nel 1968.

 

L'autore infatti, attraverso una gigantasca colata di cemento bianco prodotta sulle desolanti macerie, ferma in qualche modo il tempo, lo espande, consegnandoci un'immagine densa di significato e di intima commozione, che porta lo spettatore a confrontarsi con la forza distruttrice della natura, in relazione alla quale l'uomo è infinitamente piccolo.

 

Attraverso l'evoluzione della ricerca stilistica e creativa operata dal mondo dell'arte e soprattutto attraverso la maggiore sensibilità che cresce sempre più in relazione alla questione ambientale, saranno possibili e anche auspicabili nuovi scenari culturali che interpretino e valorizzino la vocazione dinamica della natura, mai uguale a se stessa, a volte spietata, ma sempre intimamente dotata di atavica saggezza.

 

Gli artisti, sempre attenti per antonomasia a captare gli stimoli e gli imput intellettuali dei tempi sapranno cogliere, in forme sempre più avvenieristiche e sperimentali la potenziale bellezza e la congenita fragilità del pianeta, ponendo l'accento, si spera, attraverso le loro opere, sulla tutela e sul rispetto di esso.



 

 

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